Uomo di cultura, ambientalista, visionario: un veloce e denso riassunto del pensiero di Michil Costa si trova nel libro FuTurismo. Un accorato appello contro la monocultura turistica, edito da Raetia nel 2022. Materia Rinnovabile l’ha intervistato per provare a capire la sua ricetta per una rinascita umanistica, sensibile, non pornografica della montagna.

 

“Porno-turismo alpino” è l'espressione che usa Michil per riassumere l'immaginario patinato, voluttuoso, falsificato e affetto da un evidente gigantismo – pornografico, appunto – che la montagna addomesticata dall'homo oeconomicus offre al turista. Sfruttamento a ogni costo, cubature di complessi alberghieri sempre più grandi, infinity pool e spa (un incubo energetico) per attirare un turismo ormai completamente invaghito dall'idea.

Scorrendo un po' di notizie online, fenomenologia e conseguenze risultano evidenti: tranne che negli slogan, la montagna turistica si è staccata dalla “montagna da vivere”. La viabilità è congestionata, il mercato immobiliare è dopato e iniquo per i “montanari”, il turista esige piatti elaborati e comfort a cinque stelle anche nei rifugi in quota. I valori trascolorano in immagini vuote e replicate con lo stampino: le baite ingolfate di cuori di legno, la festa paesana in costume, rituali sociali e piatti tipici che si uniformano tra valli che nascevano diversissime. Una “sacralità della montagna” – l'essenza che la contraddistingueva – che si va perdendo.

Questa intervista è stata raccolta a fine novembre 2023. La videochiamata mi collega con le montagne dell'Alto Adige. Dietro a Michil una parete di legno, una finestrella. Mezzo sigaro, la sensazione di un punto tranquillo nello spazio.

 

Come va?

È una giornata spettacolare, quindi va benissimo. Turisti se ne vedono ancora pochi. Volpi e caprioli vengono a trovarci ancora sulla porta di casa, non c'è molto di più da volere.

In fondo è quello che una certa montagna usa per vendersi, l'immagine del selvatico alla porta di casa, uno degli elementi chiave del porno-turismo. Il fatto è che il turismo di massa ormai vede ed esige soltanto quell'immagine, ed è ignaro delle conseguenze. C'è modo per riprogrammare questa massa?

Certo. Con un solo problema: è più facile che si spostino le montagne piuttosto che le persone cambino. Le Dolomiti, per dire, continuano a crescere di un millimetro l'anno. Per cambiare le persone serve tempo, più tempo, e questo tempo non ce l'abbiamo. Potremmo entrare in una fase illuminata e spirituale, di bellissima comunione con la natura... oppure estinguerci prima, chi lo sa? Il fatto è che quella fase è l'unica a rappresentare una opposizione all'uomo economico.

Quindi, cosa possiamo fare per almeno tentare di opporci a questo stato delle cose?

Dovremmo usare il senso del limite. Serve creare (o ricreare) un senso del limite, ma vero: perché gli operatori turistici sono uomini del fare, e mica si fermano di fronte a una staccionata o a un divieto. Il limite deve essere imposto da un'alta politica che sia però ecocratica.

Un governo del bene ecologico.

Esatto. Solo la politica può farci uscire da questo stallo. Dovrebbero essere incentivate le azioni volte al bene comune. E lo strumento base, il più semplice, è quello delle sovvenzioni. Premiare le aziende che, in parallelo al bilancio tradizionale, rilasciano un bilancio dedicato alle attività rivolte al bene comune. Noi lo facciamo già, non è che ci vuole molto. Tenendone conto a livello fiscale si premierebbe davvero chi almeno ci prova. Poi ci vuole lo sviluppo culturale, su tutti i fronti. E qui torniamo al tempo che non abbiamo a disposizione. Che poi, se guardi la deriva verso destra di tante nazioni europee – alcune anche insospettabili, come la Svezia – non bastano volpi e caprioli fuori casa a risparmiarmi un attacco di pessimismo cosmico. Comunque, dicevamo: la cultura. La cultura deve essere nostra, è l'unica cosa che ci permette, dal basso, di pilotare il turismo.

Un esempio vizioso?

L'Alto Adige. È inevitabile che il pacchetto benessere e la piscina termale vista Dolomiti richiamino un certo tipo di turismo (e certi portafogli). Non c'è però da stupirsi se poi il cliente americano ti chiede indicazioni per visitare un fantomatico “Paese di Gardaland”. Questo è porno-turismo nella sua massima espressione, ma è anche la scelta degli sceneggiatori. In Alto Adige hanno scelto la pornografia dei cinque stelle, e si sono dimenticati di quanto erotismo c'è nei tre stelle.

E un esempio virtuoso?

Più che altro, ti racconto un metodo. Il problema dell'Alto Adige è la raggiungibilità: le nostre valli sono facilmente raggiungibili, e non solo dal punto di vista della viabilità. Lo sono perché non c'è una lista d'attesa che le renda preziose. La scarsità di un bene è un campanello formidabile, quasi non c'è persona che possa resistervi. Noi lo stiamo sperimentando con la Maratona dles Dolomites. Dieci anni fa accoglievamo diecimila iscrizioni. Siamo gradualmente scesi e quest'anno mettiamo il tetto a settemila. Le iscrizioni volano, e sono molto più motivate: non esserci per esserci, ma esserci perché lo si vuole davvero. Allargando il campo, mettere un tetto di ingresso alle Dolomiti promuoverebbe la distribuzione delle persone. Non trovi posto per le vacanze di fronte alle Odle? Benissimo: quest'anno le farai in Val Maira o tra le Dolomiti Bellunesi, tutti posti fantastici, pieni di bellezza, ancora genuini.

Le valli sfigate che sfigate non sono.

Esatto. La ricchezza delle Alpi è enorme. Non si sbaglia a dire che ce n'è per tutti. Nel contempo – e torno al bilancio extra, ma dal punto di vista della provocazione – servirebbero passaporti con una nuova voce, quella dell'impronta ecologica, per penalizzare economicamente chi solo per arrivare sulle Dolomiti ha già emesso tantissima CO₂.

A proposito di scarsità. Ci si lamenta alle volte della mancanza di abitanti “non stagionali” della montagna. Come lo vedi il ruolo dei “foresti”? Possono anche loro contribuire a recuperare quella che chiami la “sacralità della montagna”?

Altroché se possono. Certo, non sono poche le situazioni in cui, ad esempio, le seconde case danneggiano le comunità. Ma in genere il foresto è più sensibile al territorio, lo vede con occhi diversi e con un amore meno concentrato, più ampio. Serve essere radicati in un territorio, ma non si deve essere radicali. Devi avere radici, ma se le spingi verso l'alto è meglio.

[Michil fa una pausa, nda]

Poi per carità, il pericolo è che le tue radici in aria si secchino perché a due passi da te arrivano capitali enormi dall'estero e i progetti mastodontici finiscono per rendere l'aria pesante. Ma vale la pena provarci. Ecco perché serve un modo nuovo di amministrare la montagna, con le decisioni prese a livello alto, non comunale, e un ragionamento su orizzonti temporali lunghi e sull'intero arco alpino. Ti racconto una cosa: con la Costa Family Foundation sempre più stiamo guardando all'Africa. E più lavoriamo su progetti fuori dalla nostra zona di comfort, più mi rendo conto che dobbiamo – noi italiani, noi albergatori, noi montanari – aprirci proprio a quei mondi. E “noi” significa noi tutti. Penso alle scuole alberghiere: perché non prevedono corsi di lingue? Perché non ci insegnano a comunicare con un intero mondo che, inevitabilmente, arriverà qui, con i veri foresti del futuro?

Riusciresti a riassumere la tua ricetta per una rinascita umanistica, sensibile, non pornografica della montagna?

Certo: si chiama miracolo, o meraviglia. Il miracolo è quello della capacità dell'essere umano di buttarsi nell'inaudito, di tuffarsi in quello che non si è mai fatto soltanto perché qualcuno ti ha detto che “non si fa”. Proviamoci, sperimentiamo. Siamo incastrati in un piano economico che fa male a tutti: meglio provare a disporsi a una felicità diversa e reale. Io sono felice perché non offro ai miei ospiti la piscina riscaldata o l'acqua in bottiglia: perdo ventimila euro l'anno di fatturato, certo, ma la serenità che mi dà la coerenza finisce per dare senso a tutto il resto. Nella mia ricetta ci sono l'audacia e la calma. E quest'ultima si ottiene con la cultura. Audacia, calma, cultura: segue il miracolo di provarci, la meraviglia di riuscirci, e il futuro non pornografico arriverà così.

In FuTurismo traspare tanto amore per la musica. Cosa stai ascoltando in questi giorni?

La sera, soprattutto, mi sto godendo un disco di Lonnie Holley. Dentro c'è una canzone che si intitola I'm a part of the wonder. Sono parte della meraviglia.

 

Tutto torna.

 

Immagini: Michil Costa