Precoci, più intensi e devastanti. Gli uragani atlantici, alimentati da temperature oceaniche in costante crescita, stanno diventando sempre più pericolosi e imprevedibili. Tanto che alcuni scienziati propongono di aggiungere una nuova categoria 6 alla scala che ne misura l’intensità. L’ultimo esempio di questo allarmante trend è l’uragano Beryl che sta flagellando le coste del Texas e della Lousiana, provocando morti (8, al momento della pubblicazione di questo articolo) e lasciando senza elettricità 2,6 milioni di persone. Ma potrebbe essere solo l’inizio. La stagione degli uragani durerà fino al 30 di novembre e Beryl è l’uragano di categoria 5 più precoce mai comparso nell’oceano Atlantico.

Il riscaldamento dell’Atlantico e l’evoluzione delle tempeste

Il 28 giugno Beryl era solo una depressione tropicale, con venti a 56 km/h. Nelle successive 48 ore si è rapidamente intensificato diventando il primo uragano di categoria 4 a formarsi nel mese di giugno. Dopo aver raggiunto venti di 250 km/h, Beryl ha cominciato ad abbattersi su alcune isole del Mar dei Caraibi, tra cui Jamaica e Cayman, stupendo la comunità scientifica per la sua precocità.

“Gli uragani di categoria 5 sono più frequenti nei mesi di agosto e settembre”, spiega a Materia Rinnovabile Enrico Scoccimarro, scienziato del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC). “La precocità dell’uragano Beryl è principalmente legata alla forte anomalia calda che è in corso nell'oceano Atlantico, dove si registrano a oggi più di 29°C. Vediamo una tendenza all'estensione del periodo caldo nell’oceano Atlantico e quindi l’intensificarsi delle tempeste diventa più probabile in questi mesi”. Le tempeste tropicali acquisiscono gran parte dell’energia dall’oceano attraverso l’evaporazione. Ecco perché la stagione degli uragani nel nord dell’Atlantico va da giugno a novembre: è il periodo dell'anno in cui l'acqua è più calda. 

Quest’anno la stagione degli uragani si preannuncia particolarmente intensa. Secondo le previsioni del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), pubblicate a maggio 2024, nel bacino atlantico è prevista un’attività degli uragani per l'85% "superiore alla norma", con un intervallo compreso tra 17 e 25 tempeste in totale. Di queste, si prevede che da 8 a 13 diventeranno uragani (con una velocità del vento raggiunta superiore ai 110 km/h. Per gli esperti del NOAA l’eccezionalità è dovuta a una confluenza di vari fattori, tra cui le temperature oceaniche calde quasi da record nell’oceano Atlantico e il fenomeno climatico chiamato La Niña, il cui effetto sull’Atlantico è una riduzione dei trade winds (correnti d'aria più vicine alla superficie terrestre che soffiano da est a ovest vicino all'equatore) e del wind shear (o gradiente del vento, la differenza di velocità del vento tra diversi livelli verticali in atmosfera) con conseguente facilitazione della genesi dei cicloni tropicali.

Enrico Scoccimarro

Gli uragani “crescono” più rapidamente

Lo scorso autunno uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports aveva scoperto che gli uragani dell’Atlantico, tra il 2001 e il 2020, avevano il doppio delle probabilità di evolvere da tempesta debole a uragano di categoria 3 o superiore entro 24 ore, rispetto al periodo dal 1971 al 1990. I grandi uragani in rapido sviluppo, secondo i dati, stanno quindi diventando sempre più probabili. E un uragano che si intensifica più velocemente può essere anche più pericoloso perché concede meno tempo alle persone nelle aree che si prevede saranno colpite per prepararsi ed evacuare.

Tuttavia, il riscaldamento globale causato dall’emissioni di gas a effetto serra potrebbe non essere l'unico fattore che contribuisce al riscaldamento dell'Atlantico settentrionale e al cambiamento del comportamento degli uragani. Secondo uno studio pubblicato sull’American Meteorological Society, anche la diminuzione dell'inquinamento da aerosol può aver influito sui pattern delle tempeste. Le particelle di aerosol, disperdendo, riflettendo o assorbendo la luce solare, riducono la quantità di radiazione solare che raggiunge gli strati inferiori della nostra atmosfera, raffreddando leggermente il pianeta. Una ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances ha calcolato che negli ultimi quattro decenni una diminuzione del 50% degli aerosol in Nord America e in Europa ha portato a un aumento del 33% del numero di cicloni tropicali nel Nord Atlantico.

La proposta di una categoria 6 per gli uragani

Le categorie degli uragani, che vanno da 1 a 5, sono determinate dalla velocità del vento di una tempesta. Sono tutte pericolose, ma le tempeste di categoria 3 o superiore – con una velocità del vento maggiore di 180 km/h – sono considerate “major hurricanes”.

La metrica che a livello globale classifica la potenza di un uragano risale al 1974 e prende il nome di Saffir-Simpson. Secondo gli scienziati Michael Wehner, del Lawrence Berkeley National Laboratory, e James Kossin, della First Street Foundation, organizzazione no-profit che si occupa di clima, questa scala risulta oggi inadeguata. Dopo tutto, c'è una grande differenza tra l’impatto dell'uragano Patricia, il cui vento nel 2015 ha toccato i 346 km/h, e quello dell’uragano Lee, che lo scorso settembre ha raggiunto il picco d’intensità a 258 km/h. Ma per i parametri della scala Saffir-Simpson entrambi gli uragani sono stati classificati come categoria 5

A febbraio Wehner e Kossin hanno pubblicato un documento nel quale propongono una categoria 6 che aggiorni adeguatamente la scala Saffir-Simpson. Secondo la nuova catalogazione, gli uragani di categoria 5 registrerebbero velocità del vento comprese tra 240 e 310 km/h. Oltre i 310 km/h, gli uragani verrebbero identificati come categoria 6

“La scala Saffir-Simpson si basa su parametro molto specifico per fare una valutazione dell’intensità di un ciclone tropicale, ovvero l’intensità del vento massimo sostenuto per un periodo di 1 minuto (nella definizione dello United States National Weather Service”, afferma Scoccimarro. “Questo indicatore non integra tutte le informazioni necessarie per definire l’impatto di un ciclone tropicale. Altre metriche sono in sviluppo per una caratterizzazione del fenomeno più utile a supportare i sistemi di Early Warning”. In gioco ci sono infatti numerosi parametri che la scala non considera: dimensione, durata, velocità di spostamento, precipitazione associata e quantità d’acqua oceanica spinta sulle coste. 

In ottica di sistemi di allerta precoce, nonostante la menzionata categoria 6 possa essere considerata ora plausibile da un punto di vista energetico, in accordo con la teoria della intensità potenziale dei cicloni nel clima attuale, Scoccimarro pensa che sia più importante concentrarsi sulla definizione di indicatori che possano preparare meglio la popolazione a eventuali disastri. Che quindi vadano oltre alla classica Saffir-Simpson.

 

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In copertina e qui sopra: l’uragano Beryl fotografato dalla ISS © NASA