In un’epoca in cui per le aziende raggiungere gli obiettivi di sostenibilità è una questione di reputazione e credibilità molto importante, si può arrivare a fare di tutto. Anche cambiare l’ordine delle parole, modificando il significato di un obiettivo e venderlo come un ottimo risultato. Ovviamente sperando che nessuno se ne accorga.

È ciò che ha fatto la multinazionale Nestlé, che nel 2022 aveva promesso imballaggi al 100% "riciclabili" o riutilizzabili entro il 2025. A un certo punto, però, capendo di non poter raggiungere il target in tempo, lo ha riscritto a suo piacimento. Ora nel sito web di Nestlé si legge la locuzione “designed for recycling”, progettati per essere riciclati. Ma cosa cambia tra le diciture “riciclabili” e “progettati per il riciclo”? Potrebbe sembrare solo una questione semantica, forse, che però in questo caso fa una grande differenza.

La riciclabilità delle plastiche dipende dalle infrastrutture disponibili a livello locale, quindi sostanzialmente varia a seconda dei paesi e delle regioni in cui viene trattato il rifiuto. Se per esempio in Kazakistan manca un impianto di riciclo in grado di trattare un determinato tipo di platica, l’imballaggio magari riciclabile altrove non lo è più in Kazakistan. Avendo capito questo, le aziende, come Nestlé, preferiscono usare l’espressione “design for recycling”, un termine molto più ambiguo, perché dà la possibilità ai produttori di scegliere i criteri con cui progettare i propri packaging, indipendentemente dal fatto che poi esistano davvero gli impianti adatti a riciclare gli imballaggi.

Bloomberg, la testata che ha svelato il trucchetto di Nestlé, sottolinea che la percentuale di imballaggi riciclabili dell’azienda è calata dal 58% del 2018 al 51% del 2022 e, visto che raggiungere il 100% entro l’anno prossimo sembra ormai solo un miraggio, l’azienda ha deciso di cambiare dicitura. Usando la classificazione “design for recycling” la percentuale è quindi schizzata all’83,5%.

Secondo Bloomberg, le aziende stanno faticando a mantenere le promesse di circolarità, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime ma anche delle richieste degli investitori, che sembrano volersi concentrare sempre di più sulla redditività del business piuttosto che sulla salvaguardia del pianeta.

 

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Immagine: Thibault Penin, Unsplash