First past the post, il primo prende tutto. Questa la regola del sistema elettorale britannico, privo di qualsivoglia componente proporzionale. Il cosiddetto modello Westminster, calato nella realtà del 2024, ha significato la chiusura del sipario sull'esperienza di governo del Partito conservatore dopo quattordici anni. “Una valanga”, l’espressione più usata dai commentatori: i laburisti di sir Keir Starmer hanno vinto con una maggioranza mai vista in tempi recenti, 407 seggi su 650.

117 ai Conservatori, 13 al redivivo Farage, eletto per la prima volta in Parlamento dopo sette tentativi. Non abbastanza per contare qualcosa, ma sufficienti per tornare in scena e piantare le tende nella politica britannica, sperando che il vento cambi. Perché, va ricordato, fuori dall’isola spira vento di destra.

Ma oggi non è il caso di pensarci. “Un paese che è stato tra i primi in Occidente a soccombere al radicalismo populista votando la Brexit nel 2016 ha optato decisamente per un compassato centrista che promette stabilità”, ha scritto l’Economist a urne chiuse.

UK, cala il sipario su 14 anni di governo conservatori

L’altra parola usata dai commentatori per descrivere i tre lustri di governo dei conservatori al governo è “caos”. E in effetti, a rileggere il passato dal 2010, la sintesi pare corretta. Quattordici anni caratterizzati dalla austerity di David Cameron, che ha ridimensionato drasticamente i servizi pubblici e il welfare con la promessa di dare una spinta all’economia; dalla Brexit, innescata da una scommessa persa dallo stesso leader, convinto che il popolo avrebbe votato per restare legato a Bruxelles; poi dalle trattative complicate con l'Europa portate avanti da Theresa May, che hanno mostrato, per la prima volta, un’unità continentale che qualche anno dopo si sarebbe tradotta nel Next Generation Eu, inimmaginabile sino a poco fa; e ancora, dal biennio pandemico (e dai party, e dalle bugie) di Boris Johnson, dal thatcherismo durato meno di due mesi dell'ultrà liberista Liz Truss, dal biennio di Richi Sunak, il premier più ricco della storia britannica – alla domanda se avesse mai patito privazioni da giovane figlio di medici immigrati, ha risposto: “Certo, per esempio non avevamo Sky tv”.

Si chiude un'epoca. Per errori grossolani − la già citata scommessa Brexit − e contingenze, dal virus alla guerra in Ucraina. I conservatori avevano preso in mano il paese all'indomani della grande crisi, che veniva da un'altra lunga stagione, quella del blairismo. La Cool Britannia delle rivalità tra Oasis e Blur, terra riscopertasi attraente dopo i decenni della deindustrializzazione, e i fantasmi che si era portata dietro.

Keir Starmer, leader del Partito laburista, e sua moglie Victoria Starmer, © Flickr

Il sistema elettorale britannico

Il sistema elettorale è la chiave per comprendere quanto accaduto. “Quello britannico non lascia spazio alla componente proporzionale, e in questo modo garantisce governabilità, certo", dice a Materia Rinnovabile Philip Rode, direttore esecutivo di LSE Cities, gruppo di lavoro della London School of Economics.

“Il sistema avvantaggia i partiti più grandi, e comprendo che in un’ottica europea possa risultare affascinante perché comporta grandi cambiamenti da un governo all’altro e dà la sensazione che le elezioni possano imprimere una vera svolta politica. In altri paesi, come per esempio la Germania, il cambiamento è molto più negoziato, e questo può anche essere frustrante, perché non c’è mai la sensazione che accada qualcosa di veramente grande.” Ma, notava il Guardian in un editoriale di qualche giorno fa, quando la vittoria era giù annunciata da tutti i sondaggi, una maggioranza di questo tipo potrebbe non essere salutare per la democrazia.

“A mio parere – prosegue Rode dal suo ufficio di Londra − c’è una distorsione problematica nel sistema di voto, che non concede sufficiente rappresentanza ai partiti più piccoli, favorendo le grandi forze politiche, anche se in Scozia e Galles ci sono formazioni regionali.”

Si discute da più parti di una riforma del modello Westminster, che, però, caratterizza il Regno Unito almeno quanto gli autobus a due piani, le cabine telefoniche rosse e il té delle cinque. “Ci si è provato una volta, a cambiarlo, nel cosiddetto governo di coalizione con i LibDem, ai tempi di David Cameron, tra il 2010 e il 2015”, spiega Rode.

“Allora ci fu un tentativo in tal senso, ma venne respinto. In futuro? Penso che sì, resterà nell’agenda, da qualche parte [per esempio, è un punto caratterizzante proprio del programma dei LibDem, 110 seggi in queste elezioni ma ininfluenti per la maggioranza, ndr]. Più probabilmente si comincerà dal cambiare la camera Alta, la House of Lords.” Ma, ammette lo studioso, “penso che i partiti più grandi reagiranno ogni qual volta ci saranno dei tentativi di modificare il sistema inserendo elementi di proporzionalità.”

Keir Starmer e il Regno Unito di oggi

Tocca quindi a sir Keir Starmer prendere possesso dell’appartamento al numero 10 di Downing Street. Eredita un paese che negli ultimi, recenti, indicatori economici mostra qualche segnale di ripresa ma è sostanzialmente allo stremo, ed eroso dalle disuguaglianze. “Ce l’abbiamo fatta”, ha dichiarato a caldo il leader. “Stanotte le persone hanno detto la loro, e sono pronte per il cambiamento, a mettere fine alla politica delle performance e a tornare a una politica intesa come servizio pubblico.”

Il partito si è dato la missione di migliorare le condizioni di vita della classe lavoratrice, cominciando da misure-manifesto. Per esempio, quella che punisce i ricchi che usufruiscono di condizioni di favore sulla tassazione scegliendo un domicilio estero. Perfettamente legale, non propriamente etico. Ma ci sono anche impegni, nel programma, a far pagare l’IVA alle scuole private e a introdurre una tassa sugli extra guadagni delle società energetiche.

E poi misure per l’insegnamento, con assunzioni in vista, e per il sistema sanitario, una volta vanto globale e oggi allo sbando. Mancano centomila unità, il personale sanitario è allo stremo. Uno degli argomenti chiave della campagna pro Brexit era che, una volta fuori dall'Europa, il paese avrebbe avuto trecento milioni di sterline a settimana in più per la sanità. Non è accaduto. Prenotare una visita in tempi brevi dal medico curante è impossibile, per quelle odontoiatriche neanche da chiedere: si parla, non a caso, di dental desert, e per le strade britanniche non è difficile rendersi conto di cosa significhi, osservando i sorrisi dei passanti.

E poi i costi dell'energia, triplicati negli anni, degli affitti, del cibo, spediti in alto dall’inflazione: la risposta conservatrice è stata, anche durante questa campagna elettorale, tagliare le tasse, anche ai ricchi, con l’idea di stimolare l'economia. Una visione capace di parlare al cuore del popolo britannico, incline al business, ma che, questa volta, ha convinto.

E poi la differenza tra città e periferie: Londra non è lo specchio del Regno Unito. È una città-stato a parte, dove valgono regole diverse. In provincia, nei piccoli paesi, nei pub, la droga, soprattutto sintetica, è un problema. In Scozia, addirittura, è un'emergenza alla Trainspotting, con strade intere tappezzate da corpi di homeless che dormono all’addiaccio e giovani senza speranza che trascorrono le giornate giocando a freccette.

Eppure, Starmer non convince tutti. Per vincere ha fatto fuori il leader fortemente schierato a sinistra Jeremy Corbyn, portando il partito al centro, nel tentativo di rassicurare gli elettori. Se la valanga di voti raccolti sia merito suo o dovuta al disastro dei conservatori resta da chiarire, nota più d’uno. "Per perdere le elezioni avrebbe dovuto impegnarsi. Il leader laburista si è limitato a gestire la campagna elettorale evitando scossoni", chiosa Maurizio Martorana, giornalista italiano di stanza a Londra da anni, che ha seguito il carrozzone di Starmer negli ultimi giorni di campagna elettorale nel nord del paese. "E lì, lontano dalla capitale, le condizioni sono molto diverse."

Keir Starmer, sul palco delll'evento elettorale Change. Be part of it alla Royal Horticultural Halls di Londra © Flickr

Un ritorno all’ambizione climatica?

Il programma laburista – al contrario di quello conservatore, dove quasi non ve n’era traccia – contiene molti riferimenti alle politiche ambientali. “Non c’è dubbio che vedremo un cambiamento in queste policy, che sono state accantonate dal governo in carica fino a ieri”, riprende Rode. “Nel programma del Labour c’è un impegno ad abbracciare l’agenda climatica in maniera più proattiva, e si prospetta un allineamento molto più forte con l’ambizione europea.”

I trasporti saranno centrali: si parla, per esempio, di anticipare il ban alla vendita di auto a motore termico entro il 2030, invece del 2035. “Si tratta di un tema su cui i governi precedenti, per come la vedo io, hanno sbagliato visione, con misure che hanno avuto semplicemente l’obiettivo di segnare punti con l’elettorato: per esempio, cancellando le aree a traffico limitato e le zone a basse emissioni”, nota Rode.

In totale si parla di 24,7 miliardi di sterline per le politiche ambientali nella prossima legislatura, l’impegno di spesa più grosso tra quelli promessi. Starmer annuncia anche la creazione di un gigante verde per le rinnovabili, Great British Energy, per accelerare lo sviluppo di fonti verdi e del nucleare, con ammodernamento degli impianti vecchi e più di una fiche sui reattori di quarta generazione. Spazio anche per l’idrogeno. L’obiettivo è creare 650.000 posti di lavoro entro il 2030, abbassare le bollette e assicurarsi l’indipendenza energetica.

“C’è molto da fare”, ha commentato Edward Davey, a capo del Word Resources Institute, dopo i risultati elettorali. “Adesso la priorità è accelerare l’implementazione di politiche ambiziose che rispondano alle preoccupazioni degli elettori su net zero, energia pulita, uso dei terreni.” Ma il nuovo governo dovrà anche “definire nuovi obiettivi climatici [i cosiddetti NDC dell’accordo di Parigi] ambiziosi”. Tema chiave emerso nel dibattito elettorale quello dell’acqua: da più parti, i conservatori sono stati accusati di chiudere un occhio sulle società che gestiscono le risorse idriche e consentono lo scarico di liquami nei fiumi e nei mari. I corsi d’acqua britannici non stavano così male da decenni. E anche di questo dovrà prendersi cura il Labour, con una maggioranza che consente di fare virtualmente qualunque cosa, se vuole evitare che la valanga di voti si trasformi in un disastro. La storia recente insegna che alla delusione può seguire una svolta populista, soluzioni facili che presentano il conto a distanza di − non troppi − anni.

 

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Immagine di copertina: Keir Starmer al Willow Tree Community Centre nell'ultimo giorno di campagna elettorale. © Flickr