I più speranzosi contavano sulla possibilità di strappare in qualche modo la vittoria con maggioranza assoluta al Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Ma come si è visto in diretta al momento della diffusione delle primissime proiezioni dei risultati, con l’esultanza e la commozione dei militanti della sinistra in piazza e la drammatica delusione degli attivisti della estrema destra, l’esito del secondo turno delle legislative in Francia ha registrato una grande sorpresa.

Al termine dello spoglio, il Nouveau Front Populaire (La France Insoumise, socialisti, comunisti, ecologisti) conquista 182 seggi, a cui vanno aggiunti 13 seggi di esponenti di sinistra senza riferimento al NFP. La coalizione che fa riferimento al presidente Emmanuel Macron porta a casa 168 deputati. L’alleanza tra il Rassemblement National e l’ala ex-gollista che ha scelto di unirsi all’estrema destra soltanto 143. I Républicains prendono 45 seggi, cui possono essere sommati altri 15 deputati di destra tradizionale.

Risultato: per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica non emerge una netta maggioranza parlamentare, la sinistra conquista una maggioranza relativa nell’Assemblea, il centro del presidente evita la disfatta ma perde anche la sua centralità per il governo del paese. Marine Le Pen tuona contro “l’alleanza contro natura” costruita sulla base del “fronte repubblicano” che l’ha costretta a questa dura sconfitta, ma resta decisamente fuori dal potere. E dovrà riflettere sulle reali possibilità di riuscire un giorno a superare la “diga democratica”, che anche questa volta ha impedito il suo successo.

Già dalla serata di ieri, domenica 7 luglio, è iniziata una fase politica del tutto nuova e per certi versi indecifrabile. I partiti e i loro leader hanno già iniziato a giocare le proprie carte. Il voto di ieri − che va visto anche in relazione con quello delle recenti elezioni europee, che ha visto l’avanzata delle destre, e quello delle elezioni nel Regno Unito, dove ha prevalso il Labour − avrà conseguenze importanti sul quadro politico dell’intera Europa e, indirettamente, anche sulle politiche internazionali e su quelle ambientali, a cominciare dall’Ucraina e il futuro del Green Deal europeo.

La strategia della desistenza ha funzionato

Come avevamo illustrato dopo il primo turno delle legislative francesi, tutto sarebbe dipeso dal gioco delle desistenze al secondo turno, nei singoli 501 collegi uninominali. La scelta del NFP di annunciare immediatamente la rinuncia dei candidati della gauche non in grado di prevalere contro il RN si è rivelata la carta vincente, anche se il centro di Macron (e a maggior ragione la destra tradizionale dei Républicains) ha seguito con molto meno entusiasmo la strategia della desistenza.

Secondo le analisi dei flussi elettorali degli analisti di IPSOS, al momento di votare, nei duelli tra centristi e RN il 72% degli elettori NFP ha deciso di sostenere il candidato di Macron, così come il 53% degli elettori gaullisti. Nei duelli tra candidati “insoumis” di Jean-Luc Mélenchon e RN, il 43% degli elettori centristi ha votato la sinistra radicale, così come il 26% dei gollisti. Nei duelli tra candidati Républicains e RN, il 70% degli elettori NFP ha scelto i primi, così come il 79% di quelli di Macron. Tutte decisioni individuali che hanno limitato drasticamente le possibilità del partito di Le Pen di aggiudicarsi seggi.

Ovviamente questo “gioco” tattico cui i francesi si sono sottoposti volentieri si spiega con il contesto del meccanismo del sistema elettorale dell’uninominale a doppio turno. Per capirci, è come se gli elettori dell’Alleanza Verdi Sinistra o del PD o dei Cinque Stelle votassero con impegno e determinazione − pur di fermare un candidato di Fratelli d’Italia o leghista − per un candidato di Carlo Calenda, di Matteo Renzi o addirittura di Forza Italia.

In Italia questo non è successo e non può succedere, almeno per ora. Perché abbiamo un sistema elettorale differente e frutto di scelte opportunistiche (dove sei, Mattarellum?), ma anche perché Forza Italia, che fa riferimento al Partito Popolare Europeo, è da decenni alleata con i partiti eredi del Movimento sociale italiano, prima AN e poi FdI. Una destra estrema che per varie ragioni (che non è il caso di discutere in questa sede) è stata considerata “votabile” anche dai moderati.

Il futuro della Francia e la fine della Quinta Repubblica

Che succederà adesso in Francia? In assenza di una maggioranza chiara, chi potrà costituire un governo? Sin dalla serata di ieri sono cominciati i giochi per rispondere a questi interrogativi. Jean-Luc Mélenchon (LFI) chiede seccamente a Macron di assegnare l’incarico di governare al Nouveau Front Populaire, sulla base del suo programma elettorale. Il segretario del PS Oliver Faure (ma anche l’ex presidente François Hollande, rieletto deputato nella sua Corrèze) pare sulla stessa linea, ovvero nessuna coalizione con il centro. Più possibilista pare Raphaël Glucksmann, socialista moderato, che dice che “bisogna comportarsi da adulti” e “accettare la nuova realtà politica”. La leader ecologista Marine Tondelier (che porta a casa 28 deputati e un discreto successo personale), propone di assegnare l’incarico a una personalità della società civile, sia pure vicina al NFP, sulla base di una “maggioranza di progetto". L’unità terrà nelle prossime settimane o la gauche, che finora ha tenuto botta come le chiedono i suoi elettori, si frantumerà sotto il peso delle sue divergenze politiche interne?

Il presidente Emmanuel Macron, che non ha ancora parlato esplicitamente, deve fare i conti con la conclusione di sette anni di presidenza “imperiale”, in cui di fatto è stato il fulcro della politica francese e l’unico a decidere sulle scelte strategiche importanti. Riuscirà a governare in modo diverso, cercando un vero accordo con partiti che lo hanno sempre osteggiato, oppure tenterà (come molti gli suggeriscono di fare, compresa la maggior parte dei commentatori italiani) di spaccare la gauche, tagliando fuori la sinistra radicale di Mélenchon e cercando di cooptare in posizione minoritaria socialisti e verdi? Potrà mai Macron ammettere una obiettiva sconfitta, visto che (esclusi i suoi) la stragrande maggioranza dei deputati è stata eletta contro di lui o nonostante lui? Tutti interrogativi che non saranno sciolti in poche ore, c’è da pensare.

Alcune considerazioni finali. Con i risultati di ieri, la Francia della Quinta Repubblica basata sulla contrapposizione sinistra/destra moderata temperata da un presidente con poteri amplissimi sembra concludere la sua esperienza. I deputati tornano importanti, come è stato fino al 1962, perché così vogliono gli elettori, che hanno chiaramente votato in questo senso. Lo stesso primo ministro di Macron, Gabriel Attal, osserva che “il centro di gravità del potere d’ora in poi sarà più che mai nelle mani del Parlamento”. Sul versante opposto c’è il Regno Unito: il Labour Party del nuovo premier Keir Starmer con soltanto il 34% dei voti controlla il 65% dei deputati; il Reform Party di Nigel Farage col 14% elegge solo 4 deputati, come 4 sono i deputati dei Greens, che hanno preso il 7% dei voti.

E l’Italia? Sembra un po’ bizzarro che si voglia puntare, come vuole Giorgia Meloni, su un premierato che taglia fuori dalle decisioni il Parlamento e assicura una maggioranza di ferro a chi conquista la maggioranza relativa, sia pure di pochissimo e distante dal 51% dell’elettorato. Una scelta che stride con la Francia, dove il barometro vira verso maggiori poteri alle assemblee rappresentative, o il Regno Unito, dove sempre più osservatori chiedono di temperare il sistema elettorale per assicurare la rappresentanza a tutti gli elettori, o la Germania, dove le maggioranze di governo sono basate sui programmi e su accordi (anche sofferti) tra le forze politiche. Infine, un’ultima riflessione: sappiamo che l’Italia è il paese dei campanili, in cui impercettibili differenze di sfumature politiche o coriacei odi personali tra i leader prevalgono sul buon senso e sulla necessità di trovare intese e accordi, ma forse potremmo imparare qualcosa dalla Francia, no?

 

Immagine di copertina: Alice Triquet, Unsplash