Plural values of nature help to understand contested pathways to sustainability: è questo il titolo di una recente pubblicazione, realizzata da Adrian Martin (et al.), secondo cui la più nota Green Economy non sarebbe l’unica strada per perseguire la sostenibilità. Ormai alle porte delle elezioni europee, il mondo della ricerca ci offre importanti spunti di riflessione. Oltre a capire quali gruppi appoggino o meno il Green Deal, risulta cruciale interrogarsi sul come si intenda perseguire i suoi obiettivi. Secondo gli autori, infatti, “la ricerca della sostenibilità può dare un senso superficiale di consenso sulla traiettoria desiderata”, come per l’ampiamente riconosciuto Green Deal, ma “questo accordo si disintegra una volta che si esaminano più in profondità i dettagli di come la società globale deve trasformarsi.”

Agli antipodi della Green Economy troviamo i concetti della Degrowth o Post Growth, crescita o post crescita. Se la prima strategia attribuisce alla natura un “valore strumentale”, il pensiero della decrescita assume una “posizione trasversale” e più ampia nel dibattito per la sostenibilità includendo anche valori relazionali, culturali e sociali come giustizia ed equità. L’approccio economicista, incluso quello della Green Economy, fa affidamento sul così detto modello “business as usual” che grazie a una forte innovazione tecnologica, efficientamenti e soluzioni di mercato permetterebbe di rispettare i vincoli ecologici senza rinunciare a un’economia in espansione. Al contrario, la narrazione della post crescita sostiene che sarebbe proprio il nostro sistema economico a essere insostenibile e dunque si prediligono soluzioni più radicali e trasformative. 

Cosa aspettarci dal prossimo parlamento EU? 

Il Gruppo dei conservatori e dei riformisti europei chiarisce la propria posizione. “Noi spingeremo la crescita economica”, si legge nel manifesto elettorale. E ancora: “Riesamineremo il Green Deal”. Ma come? “Inseguendo il giusto equilibrio fra azione climatica e prosperità economica.”  Il gruppo Identità e Democrazia, forte del supporto della Lega, sembra invece sviare le sfide ambientali. “Basta euro-follie green” e “Superare il Green Deal” sono gli slogan usati, mentre il termine sostenibilità non è mai associato a clima e ambiente. Emerge piuttosto una preoccupazione per la “sostenibilità dei costi” di imprese e famiglie e le responsabilità climatiche sono scaricate a Stati Uniti e Cina. Il Partito Popolare Europeo, che secondo le previsioni confermerà una posizione di leadership, non devia la questione e ribadisce il proprio appoggio al modello della Green Economy: “Senza protezione climatica, la nostra economia non può rimanere competitiva nel lungo termine ma, senza un’economia competitiva, non può esserci una protezione climatica sostenibile”.  

A favore di un approccio economicista anche Renew Europe, gruppo formatosi dall’unione di partiti come il Partito democratico europeo, forte della convinzione che “la transizione verso una green economy deve rappresentare una terza rivoluzione industriale”, e Alleanza dei Democratici e Liberali che invece scommette sulle “tecnologie sostenibili” per “disaccoppiare la crescita dall’uso di risorse naturali”.

A sinistra spazio alle alternative

Il Partito dei Socialisti Europei si contrappone alle strategie dei rivali del PPE proponendo “un’economia di mercato” che sia “sostenibile”, “giusta” e più attenta al ruolo pubblico. Emerge una sensibilità anche alla tematica della “giustizia climatica”, non affrontata dai partiti di destra. Per trovare però posizioni divergenti dal modello business as usual dobbiamo spostarci ancora più a sinistra. 

Il gruppo Europa Verde afferma infatti di voler superare il “paradigma della crescita a tutti i costi” tramite “una nuova macroeconomia basata sul benessere” e fondata sull’ investimento in beni pubblici e nella transizione ecologica. Verdi che estendono la concezione di sostenibilità, ambientale e sociale, oltre i confini europei. L’obiettivo è quello di un “Green Deal Globale” con particolare attenzione al Sud Globale, il cui sviluppo sarebbe stato ostacolato “imponendo strutture economiche e sfruttando persone, terre e risorse” e portando a “una non equa distribuzione globale della ricchezza”.

Giustizia climatica e idee distanti dalla Green Economy sostenute anche dal gruppo The Left che ritiene il Green Deal europeo “bloccato in un contesto di riconciliazione con il sistema capitalista della produzione che deve essere superato”. Una posizione radicale, agli antipodi delle soluzioni dell’efficienza e produttività, che porta alla proposta di abolizione del Patto di crescita e stabilità a favore di un “nuovo patto” incentrato sulle questioni sociali e ambientali.

Rischio di “marginalizzazione” delle narrazioni alternative alla Green Economy

Nonostante Verdi Europei e il gruppo The Left sostengano una narrazione vicina alla Post Growth, posizione supportata da un crescente consenso proveniente dal mondo accademico, l’idea di uno sviluppo lontano dalla “crescita a tutti i costi” sembra trovare poco spazio fra i principali canali di comunicazione e di conseguenza fra gli elettori. 

Sul rischio di una possibile marginalizzazione di concetti alternativi, Mauro Bonaiuti, economista presso l’Università di Torino e presidente dell’Associazione per la Decrescita, è tranchant: “Certo che esiste una sistematica marginalizzazione delle posizioni contrarie alla crescita e allo sviluppo sostenibile in tutti i media mainstream. Non si tratta di una novità ma di un processo che va avanti da quando la ricerca scientifica ha posto in evidenza l’insostenibilità della crescita, cioè circa 50 anni fa con i Limiti dello sviluppo (1972) e soprattutto gli scritti di Georgescu-Roegen (1971). Da allora le evidenze empiriche si sono moltiplicate al punto che oggi nessuno scienziato serio può affermare che una ulteriore crescita economica nei paesi ricchi sia ecologicamente sostenibile”.

 

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