“Per l’Europa, questo è il momento dell’uomo sulla Luna.” Così la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen aveva presentato il Green Deal, un piano di politiche e di leggi per azzerare gli impatti negativi dell’economia europea sul clima entro il 2050. Era il 19 dicembre 2019. Dopo quattro anni e mezzo e a pochi giorni dalle nuove elezioni europee, il Green Deal è un ricco sistema di leggi.
Nel frattempo, il mondo è cambiato. La pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi energetica, l’inflazione, la competizione tra Cina e Stati Uniti in un contesto internazionale sempre più teso: tutto questo impone all’Europa nuove priorità. Su tutte, la competitività delle imprese, la sicurezza economica e la difesa.
Anche il contesto interno è cambiato. Sono in ascesa i partiti di estrema destra, molto critici su costi e burocrazia del Green Deal. I cittadini sono più preoccupati per l’aumento del costo della vita oggi che non per gli effetti del clima tra qualche anno. Molti sostengono che questi fattori contenderanno all’agenda climatica l’attenzione dei decisori politici e la disponibilità di risorse.
Dall’altro lato, crescere nelle tecnologie verdi sarà cruciale per competere con Cina e Stati Uniti. A dispetto delle apparenze, insomma, l’agenda climatica UE potrebbe rimanere prioritaria, ma inquadrata in una prospettiva più ampia orientata alla competitività e alla sicurezza economica. Ne è convinta Irina Kustova, Research Fellow del Centre for European Policy Studies: “Il Green Deal avrà meno visibilità, ma non subirà cambiamenti significativi”, ha spiegato a Materia Rinnovabile. “Gli elementi principali, come il target della neutralità climatica al 2050, sono legge ed è irrealistico pensare che nuovi equilibri politici possano abrogare queste norme. Quello che potremmo vedere, piuttosto, è una sorta di rebranding basato sulle nuove priorità.”
Un Green Deal più pragmatico per un’Europa più competitiva
Il cleantech – ovvero le tecnologie funzionali alla transizione impiegate nelle batterie, nelle auto elettriche o nelle energie rinnovabili – è una delle aree di competizione tra Cina e Stati Uniti, che stanno spendendo molto in incentivi pubblici per sostenere la produzione locale e controllare materie prime. Secondo l’ex premier Mario Draghi, che sta lavorando proprio a un rapporto sulla competitività, per stare al passo l’economia europea deve crescere, essere più efficiente e sostenuta da investimenti più poderosi. In quest’ottica, ridurre la frammentazione tra stati membri è essenziale, per esempio facendo investimenti e spese in comune, creando sinergie tra apparati produttivi nazionali e connettendo meglio le infrastrutture, a cominciare dalle reti elettriche.
“Nei prossimi anni il Green Deal diventerà più realistico e pragmatico”, prevede Kustova. “Quello di cui c’è bisogno è rendere sicuri e redditizi i progetti di sviluppo delle nuove tecnologie. A livello nazionale serve semplificare e accelerare le procedure di concessione dei permessi per i nuovi impianti, un punto dolente per le energie rinnovabili. L’Unione Europea potrebbe anche facilitare la formazione di conoscenze e competenze professionali a livello locale.” Questi elementi sono contenuti nel Net-Zero Industry Act, che tra le altre cose impone agli stati membri di semplificare e accelerare le procedure burocratiche per i progetti in tecnologie strategiche. Difficile che l’Europa possa mordere solo con provvedimenti di questo tipo, che lasciano ampia discrezionalità ai governi nazionali e non stanziano risorse. I prossimi anni saranno cruciali per provare a definire un piano industriale verde più comune, più completo e meglio finanziato.
Mettere al sicuro le materie prime critiche
Primeggiare a livello globale nelle tecnologie verdi richiede anche il controllo sulle componenti e sulle materie prime (le cosiddette materie prime critiche, come rame e cobalto). Il sottosuolo dell’Unione Europea ne è piuttosto povero, gran parte delle forniture dipende dalle importazioni (spesso anche per il 90% del fabbisogno), con scarsa capacità di controllo sulla continuità degli approvvigionamenti. La posizione europea è ancora più fragile se si considera che la tensione tra Cina e Stati Uniti si è già tradotta in restrizioni alle esportazioni di materie prime critiche. D’altra parte, la guerra in Ucraina ha imposto la necessità di azzerare la dipendenza dai combustibili fossili russi.
Queste difficoltà possono diventare una preziosa occasione per far avanzare l’agenda climatica. “L’incertezza legata alla guerra tra Russia e Ucraina determinerà una securitizzazione delle priorità, ovvero una ridefinizione delle priorità politiche dell’Unione Europea in ottica di sicurezza e difesa”, ha detto a Materia Rinnovabile Szymon Kardaś, Senior Policy Fellow all’European Council on Foreign Relations. “Dopo l’invasione dell’Ucraina, per l’Unione Europea è stato molto importante mettersi nelle condizioni di dipendere meno dai combustili fossili russi.” Certo, in un’economia più verde l’UE dipenderà ancora di più dalle materie prime critiche, ma per Kardaś non è lo stesso tipo di dipendenza. “Una volta importate, le materie prime critiche possono essere impiegate per decenni e l’Unione Europea sta facendo un buon lavoro di pianificazione strategica con gli obiettivi inseriti nel Critical Raw Material Act, per esempio sui livelli di riciclo e sulla limitazione della dipendenza da singoli paesi fornitori.”
Armi o batterie?
Ciò che potrebbe contendere risorse alla transizione energetica è l’esigenza degli stati europei di rafforzare i propri arsenali difensivi – emersa con la guerra in Ucraina – e di farlo in maniera comune. Difficile che con i budget nazionali e dell’UE si riesca a fare entrambe le cose. “Sicuramente l’Unione Europea farà il possibile per creare un contesto favorevole affinché gli stati membri possano spendere sia in difesa sia in transizione”, spiega a Materia Rinnovabile Pietro Candia, Senior Analyst per l’agenzia di consulenza Forefront Advisers.
“Per esempio, nel valutare i budget degli stati che sono in procedura di deficit. Si tratta però di palliativi. Stati molto indebitati potranno spendere di più solo grazie a programmi di debito comune europeo, come il Next Generation EU, che però non è più popolare come quattro anni fa”. In queste settimane a Bruxelles si discute molto di come stimolare gli investimenti privati, ma c’è molto scetticismo sulla volontà dei governi nazionali di cedere potere all’Europa.
Il futuro del Green Deal europeo
Finora il Green Deal si è concentrato sulla transizione energetica, principalmente fissando target e rendendo le emissioni sempre più costose. La seconda priorità è stata promuovere una maggiore trasparenza sulle pratiche di sostenibilità di aziende e investitori con obblighi di reportistica. Su entrambi i fronti, molte leggi sono già state introdotte. “La prossima legislatura sarà focalizzata sull’implementazione, ovvero decidere come raggiungere i target, per esempio sullo sviluppo delle energie rinnovabili”, prevede Kustova. E qui molto dipenderà dalla volontà dei governi nazionali. “Occorrerà lavorare anche per assicurare una maggiore coerenza del sistema normativo, per esempio eliminando ripetizioni o incongruenze tra leggi. Molte aziende lamentano che i nuovi requisiti di reportistica sono troppo complessi e onerosi: anche questo sarà un tema da affrontare.” Secondo Candia la Commissione europea darà maggiore enfasi all’economia circolare: “Non più considerata solo come tema ambientale, ma come strumento per mettere in sicurezza gli approvvigionamenti di materiali e componenti. A Bruxelles si parla di una EU Resources Law che potrebbe fissare target europei e nazionali sull’uso di risorse naturali”.
“È prioritario sviluppare una narrativa chiara e onesta sulle norme del Green Deal in relazione alle sfide e alle priorità strategiche dell’UE”, sostiene Kardaś. “Fino a questo momento l’UE non è stata capace di farne cogliere i benefici.” I tre esperti hanno sottolineato l’importanza delle reti elettriche: “Un’altra priorità è sviluppare e modernizzare le reti per la trasmissione e la distribuzione di energia elettrica. Un sistema elettrico più moderno e decentralizzato rinforza anche la sicurezza energetica”, continua Kardaś. Per Kustova “è necessario rendere le infrastrutture europee più adatte alla distribuzione di energia elettrica, per esempio con una maggiore capacità di immagazzinare energia e reimmetterla flessibilmente quando ce n’è bisogno.” In definitiva, un’UE meno ambiziosa a parole non sarà necessariamente meno efficace nell’azione sul clima. Anche con altre priorità. Il vero dilemma, ancora irrisolto, è come finanziarle tutte quante.
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