Il risultato delle elezioni parlamentari europee ha fatto tirare un sospiro di sollievo a chi si aspettava un avanzamento travolgente dell’estrema destra. Ma permane una condizione di incertezza, soprattutto in vista delle elezioni francesi, di cui l’economia risente. Ne abbiamo parlato con Antonia Carparelli, economista, docente di Governance and Policies of the European Union all’Università LUMSA di Roma, che ha lavorato per oltre 25 anni a Bruxelles alla Commissione europea occupandosi di politiche economiche, sociali e ambientali.

Antonia Carparelli

 

Dottoressa Carparelli, come commenta il risultato elettorale?

Il quadro politico a prima vista non è troppo diverso da quello che abbiamo avuto nella legislatura passata. I popolari restano il primo gruppo del Parlamento e i socialisti il secondo. Più sostanziali le perdite di liberali e Verdi, solo una limatura marginale per il gruppo della sinistra, si rafforzano i conservatori, mentre Identità e Democrazia si assottiglia per l'espulsione di Alternative für Deutschland (AfD). Il gruppo che si è maggiormente rinfoltito è quello che comprende i non iscritti o i neoeletti che ancora non appartengono a un gruppo: quasi cento parlamentari, che spaziano dall'estrema destra all’estrema sinistra, che devono trovare una collocazione. Una grossa incertezza nel quadro finale del Parlamento europeo. Nell'insieme, comunque, sembra rafforzarsi l'ipotesi di un secondo mandato di Ursula von der Leyen, anche se con un'agenda sicuramente meno verde e probabilmente più ambiziosa in materia di sicurezza e difesa. Ma queste previsioni devono fare i conti con la clamorosa affermazione del Rassemblement National e le prossime elezioni francesi.

Qual è stata la reazione dei mercati?

L’incertezza francese domina l'atteggiamento dei mercati, che hanno espresso nei primi giorni post elezioni questo clima attraverso un ulteriore aumento dello spread dei Buoni del Tesoro francesi rispetto a quelli tedeschi, seguito, come accade in questi casi, dallo spread italiano e quello spagnolo. L'euro si è indebolito sul dollaro, anche se non troppo, ma le borse hanno avuto un andamento nettamente negativo. È improbabile che il governo europeo che scaturirà da queste elezioni sarà in grado di dare un forte impulso alla crescita della competitività europea: da qui lo scetticismo dei mercati. Probabilmente ci sarà una fase di decelerazione del processo di integrazione e quasi sicuramente di arretramento su alcune politiche di punta del precedente mandato, come quelle per il clima. Non mancano motivi di preoccupazione, tra cui la sostenibilità fiscale della zona euro e capire se le regole fiscali del Patto di stabilità riformato saranno implementate. Tenuto conto, per esempio, che un possibile governo francese guidato dal Rassemblement National sarebbe fortemente critico di quelle regole. Altri rischi possono essere il prevalere delle agende nazionali di politica industriale e una maggiore conflittualità tra istituzioni europee e governi nazionali.

A proposito di competitività industriale, come valuta la decisione della Commissione europea di aumentare i dazi sulle importazioni delle auto elettriche prodotte in Cina?

Sono sorpresa dai toni di questa decisione. Credo che dall'eccesso di apertura dei mercati degli anni scorsi si debba necessariamente passare a un atteggiamento più cauto. Quello che la Commissione ha rivendicato con la costruzione dell'autonomia strategica è sacrosanto, la protezione dal dumping e dai danni che possono derivare da un eccesso di apertura dei mercati e soprattutto di una non equità, cioè se all’apertura europea non corrisponde un’apertura pari da parte dei concorrenti. Tuttavia, sarebbe meglio un dialogo con la Cina: minore agitazione di bandiere e maggiore coordinamento delle politiche. Spiegare le nostre ragioni e cercare di far ragionare gli altri: questa dovrebbe essere la parola d'ordine, piuttosto che agitare lo spettro di nuove guerre commerciali. Viviamo un clima di incertezza anche a causa dell'attesa delle elezioni americane. Gli Stati Uniti a guida Trump sarebbero un grande problema per l'Europa, per cui è fondamentale che l'Europa si connoti con una propria identità geopolitica. Abbiamo una grande tradizione negoziale, dovremmo applicarla anche alla Cina senza appiattirci sulle posizioni americane, anche se il dialogo transatlantico resta e deve restare un elemento privilegiato per la nostra politica estera.

Ha citato Trump perché vede più probabile la sua rielezione?

Non ho la sfera di cristallo ma mi sembra che i sondaggi vadano in quella direzione, quindi è un esito con il quale l'Europa potrebbe dover fare i conti.

Cosa cambierebbe per l'economia europea avere a che fare con la rielezione di Trump o con la rielezione di Biden?

C'è stato un cambiamento nella politica statunitense per cui l'orientamento protezionistico non è stato soltanto dell'agenda trumpiana ma ha influenzato anche l'agenda democratica. L'orientamento per l'Europa dovrebbe essere lo stesso, cioè affermare la capacità di parlare con una voce sola. Questo vale qualunque sia l'esito elettorale americano, ma una vittoria di Trump darebbe molta più cogenza al bisogno dell'Europa di affermare una propria identità, una sua autonomia strategica sul piano commerciale, della difesa e della politica estera. È un problema per il quale l'Europa forse non è preparata ma Jean Monnet diceva che l'Europa cresce attraverso le crisi e la somma delle risposte che dà alle crisi. Ecco, una crisi determinata da un risultato elettorale americano così inevitabilmente problematico per l'Europa forse darebbe la spinta a una maggiore crescita della solidarietà interna, che dalle ultime elezioni parlamentari non esce rafforzata. Quello che ne esce è ciò che definisco il doom loop europeo, un’espressione inglese che si può tradurre come “circolo vizioso fatale”. I ritardi e le esitazioni nel processo di integrazione europea sono l'origine dei problemi che viviamo: la bassa crescita, l'impoverimento, le diseguaglianze, la perdita di competitività, il declino economico. Ma questi problemi causano un malessere sociale che si esprime in una sfiducia verso l'Europa che ostacola il processo di integrazione e aggrava il declino. Ecco il circolo vizioso che bisognerebbe spezzare.

Secondo lei, la rielezione di Ursula von der Leyen è quello che ci si aspetta o quello di cui l'Europa ha bisogno?

Non è una singola personalità che fa il destino dell'Europa ma tutte le istituzioni. Ursula von der Leyen ha fatto un ottimo lavoro nella prima metà del mandato. La risposta alla pandemia è stata molto coraggiosa e creava le basi per quell'Europa di cui l’Italia ha bisogno: più solidale, più attenta alla coesione, più sociale. Come sarà l'agenda di un secondo mandato von der Leyen, con questa maggioranza, con questo risultato elettorale, è un’incognita, ma il rischio è che venga fuori un'Europa che non è quella di cui l'Italia, i paesi più in difficoltà e soprattutto il progetto di integrazione avrebbero bisogno. Ovvero un'Europa più solidale in materia di immigrazione, che crede nella politica di coesione, capace di declinare una politica industriale veramente europea e di porre fine alla concorrenza fiscale selvaggia, con un rilancio forte del mercato interno e una capacità fiscale comune per colmare quel gap di investimenti che ci condanna a una scarsa competitività, a perdere terreno rispetto ai nostri grandi competitor USA e Cina e a non cogliere l'opportunità della doppia transizione, quella climatica e quella digitale.

Crede che i temi climatici e legati al Green Deal saranno accantonati?

Rischiano di essere accantonati, ma siamo sempre al monito di Jean Monnet: le crisi possono fare miracoli e, siccome il cambiamento climatico non è un'opinione ma è una realtà che purtroppo ogni giorno ci si presenta sotto gli occhi, è possibile che una crisi sul fronte climatico possa far cambiare le priorità dei nostri leader.

Il governo italiano è stato uno dei pochi a uscire rafforzato dalle elezioni. La procedura d’infrazione per deficit eccessivo e l’approvazione dell’autonomia differenziata influiscono su questo?

Sicuramente il governo italiano accresce la propria autorevolezza nel consesso europeo, Meloni avrà degli spazi negoziali maggiori. Ma sull'apertura della procedura per deficit eccessivo non c'è molto da dire ora: era una decisione attesa, il periodo di sospensione del Patto di stabilità è terminato e la Commissione europea è tenuta ad applicare le regole fiscali. La Commissione uscente ha peraltro ritenuto di non doversi pronunciare, in questa fase, sul percorso di correzione richiesto. Il dialogo con gli stati membri sul percorso di correzione comincerà dunque a settembre, dopo che la nuova Commissione avrà preso funzione. Quanto all'autonomia differenziata, ci sono almeno due ordini di preoccupazioni. Il primo, a cui danno molto risalto le opposizioni, è il rischio di esacerbare il divario tra Nord e Sud in termini di qualità della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici offerti. Il secondo, di cui si parla meno, è di rendere più faticoso il controllo dei conti pubblici, perché la riforma fa sì che risorse che in precedenza affluivano all'amministrazione centrale potranno restare nelle casse regionali. E poiché i prossimi anni non saranno facili per la gestione dei conti pubblici, il nuovo assetto potrebbe produrre sgradite sorprese. A queste preoccupazioni ne aggiungerei una terza: una differenziazione regionale di prerogative − e di risorse − nella gestione delle politiche pubbliche potrebbe dar luogo a spostamenti infraregionali che è difficile immaginare in questa fase, ma che potrebbero aggravare le tendenze demografiche che già penalizzano il Sud.

Ma mi lasci concludere con una nota di argine a un eccesso di pessimismo. È un dato certo che gli eventi degli ultimi anni hanno messo fuori gioco le agende politiche che puntavano esplicitamente alla disgregazione dell'Unione Europea. Dopo la Brexit, la pandemia e la guerra alle porte dell'Europa, credo che le istanze segregazioniste e disfattiste siano spezzate. La resilienza del progetto europeo non va sottovalutata, secondo me. Inoltre, tornando a Jean Monnet, l'Europa cresce attraverso le crisi ma poiché di crisi ne abbiamo fin troppe attorno a noi questo può diventare il movente per risposte solidali e che diano un’ulteriore spinta al processo di integrazione. Credo poi che ci sia un movimento molto diffuso in Europa che chiede un salto verso un’offerta di beni pubblici europei. Abbiamo avuto un'Europa che si è costruita sul mercato ma in cui la dimensione pubblica è stata fortemente penalizzata. Ecco, io mi auguro che questa agenda, che ha una forza intellettuale molto considerevole, possa trovare spazio nel prossimo mandato legislativo, nonostante tutte le difficoltà di cui abbiamo discusso.

 

Immagine di copertina: il Colosseo illuminato con la bandiera europea a un mese dalle elezioni parlamentari europee © European Union 2024 – Source: EP