La Direttiva CSRD, emanata dall’UE nel 2022 e recepita in Italia a fine 2024, cambierà in modo significativo le strategie aziendali sulla sostenibilità di imprese grandi e piccole. Ha infatti esteso l’obbligo di rendicontazione non finanziaria anche alle PMI quotate. Ma come cambierà il modo di fare business? Leader di imprese italiane hanno risposto a questa domanda in un ciclo di interviste che esplora in concreto luci e ombre di questa direttiva. Diamo voce qui a Marcello Donini, CSR manager di E.On, la multinazionale dell’energia basata in Germania operante in Italia da anni.

Marcello Donini

Donini, ci racconti cosa fa e perché si occupa di sostenibilità.

Fino al 2018 ho lavorato come responsabile marketing e advertising, poi nel 2019 ho deciso di dedicarmi completamente alla sostenibilità. È stato un passaggio naturale, ma non privo di sfide: venendo dal mondo della comunicazione ho dovuto colmare diverse lacune, anche se – a ben vedere – chi si occupava di sostenibilità prima che si chiamasse così eravamo proprio noi del marketing e della comunicazione. Per prepararmi al meglio ho studiato e oggi sono un Sustainability Manager certificato secondo la prassi di riferimento PDR 109 2021. Nel 2020 abbiamo realizzato il nostro primo profilo di sostenibilità in E.On Italia. Non era ancora un bilancio vero e proprio, e non seguiva uno standard, ma rappresentava comunque un passo importante per strutturare il nostro impegno in maniera più concreta e trasparente, definire i KPI, chi erano i data owner e così via. Dal 2021, abbiamo iniziato a redigere un vero e proprio bilancio di sostenibilità seguendo gli standard GRI (Global Reporting Initiative). Per il primo anno ci siamo basati sull’edizione 2016, mentre dal 2022 abbiamo adottato la versione aggiornata del 2021. Questo passaggio è stato significativo, soprattutto considerando che, come azienda, non avevamo alcun obbligo specifico in tal senso: i dati ESG che raccogliamo vengono consolidati a livello di gruppo, che poi li inserisce nel proprio Integrated Annual Report. La nostra scelta di realizzare un bilancio autonomo nasceva però da una logica chiara: il gruppo opera in 17 paesi e produce report di oltre 300 pagine, dove inevitabilmente le specificità delle singole realtà nazionali rischiano di perdersi. Abbiamo voluto quindi creare un documento focalizzato sulla nostra operatività in Italia, magari più semplice ma mirato, per rispondere direttamente alle esigenze dei nostri stakeholder italiani. Nonostante non fosse obbligatorio, abbiamo ritenuto importante dare una maggiore visibilità al nostro impegno locale.

E come vi state attrezzando per la Corporate Sustainability Reporting Directive?

Sicuramente la CSRD sta alzando l’asticella delle aspettative in termini di rendicontazione, anche se al momento sembriamo esentati. Certo siamo pronti a adeguarci alle nuove richieste normative. Nella nostra organizzazione c’è un CSR Manager, figura che si colloca in una divisione chiamata Sostenibilità, ESG e Innovazione, di cui faccio parte. Questa divisione è responsabile per molti degli aspetti legati alla sostenibilità. Tuttavia, c’è anche un’area ESG sotto il dipartimento Finance, che si occupa di tassonomia e del recupero dei dati economico-finanziari necessari per il gruppo. Questa doppia struttura ha una valenza importante: noi curiamo l’organizzazione complessiva dei dati, la creazione di strumenti come la matrice di materialità (o doppia materialità) e il coinvolgimento degli stakeholder esterni, cercando di dare un’identità specifica al nostro lavoro. Il team ESG in Finance si concentra sui KPI richiesti a livello di gruppo, che al momento sono circa una ventina. Non volevamo limitarci a replicare ciò che già esisteva, ma dare una nostra impronta, adattandoci al contesto italiano e alle esigenze dei nostri stakeholder locali. Alla fine, l’obiettivo è allineare culturalmente l’azienda verso una maggiore consapevolezza e attenzione alle attività legate alla sostenibilità. Non si tratta solo di rispettare standard o di fornire dati, ma di costruire un processo strutturato, capace di raccogliere informazioni in modo sistematico e di accompagnare l’organizzazione verso un cambiamento di mentalità. È il modo giusto per crescere gradualmente e prepararci ad affrontare le evoluzioni future.

La spinta per questo processo arriva dalla casa madre, dalla Germania, o nasce da una consapevolezza che è maturata nella struttura italiana?

Direi un po' da tutt’e due. In Italia ci siamo attrezzati già dal 2020, avviando il nostro percorso prima ancora dell’approvazione delle normative più recenti. Anche il gruppo si è preparato, considerando che ormai da molti anni realizza un bilancio di sostenibilità: nel lungo periodo, penso che l’area Finance diventerà il fulcro della gestione di questi processi. La vedo come un’evoluzione naturale: così come Finance ha consolidato nel tempo competenze per gestire ammortamenti, ratei e ricavi secondo standard internazionali, è plausibile che anche le metriche ESG trovino una casa definitiva sotto la loro egida. Ma servirà tempo, perché bisogna costruire competenze per produrre documenti che parlino dell’azienda in modo chiaro e accessibile, e la comunicazione oggi resta più che mai un elemento centrale.

Quante persone operano in sostenibilità in E.On Italia?

Il team è guidato da una persona che segue direttamente queste tematiche, con il supporto di tre professionisti che si occupano di CSR, gestione della carbon footprint e Diversity & Inclusion.

Per molte aziende, soprattutto di piccole dimensioni, l’arrivo della CSRD ha creato più di un grattacapo. Qual è la vostra valutazione?

Dal mio punto di vista, direi che il giudizio è positivo. Potrei sembrare un po’ ottimista: in parte dipende dal fatto che attualmente non siamo obbligati a rispondere a tutti i 200 touch points richiesti dalla normativa, ma anche dal fatto che in Germania la direttiva non è ancora stata recepita nella legislazione nazionale.

Per una volta, noi italiani abbiamo fatto una cosa per primi!

Esatto, e questo potrebbe anche comportare qualche problema. Detto ciò, sono evidentemente prevalenti i punti positivi: io credo fermamente nella sostenibilità. È fondamentale essere solidi e aderire a standard ben definiti, come il GRI. Anche se questi standard sono europei, si stanno già sviluppando tabelle di conversione, il che offre la possibilità di essere precisi. È vero che ora stiamo vivendo un momento politicamente complicato, in cui è diventato di moda contestare le decisioni dell'Unione Europea. E le scelte fatte negli Stati Uniti da Trump complicano ulteriormente il panorama. Tuttavia, sono convinto che una rendicontazione ben strutturata non possa che giovare. Purché ci si arrivi con tempi naturali e senza forzature.

Ovvero?

Per una grande azienda, l'ingresso in questo nuovo mondo può essere più gestibile, ma per le piccole e medie imprese rappresenta una sfida enorme. Anche le società di consulenza più qualificate non hanno ancora tutto sotto controllo, e se gli esperti del settore hanno legittimamente qualche incertezza, posso solo immaginare lo stress che colpisce realtà aziendali come le PMI. Un altro punto che tengo a sottolineare è che sarebbe sbagliato concentrarsi solamente sulla compliance. Se l’approccio si limita a soddisfare un obbligo di conformità, a rispettare tabelle e vincoli, preferirei che fosse gestito esclusivamente dal settore finanziario. Invece dovremmo costruire uno strumento che favorisca un dialogo attivo con gli stakeholder. Ci vorrà tempo per riuscirci in modo efficace, e per questo sarebbe utile che non ci sia un’eccessiva pressione per spingere le aziende a adempiere a queste richieste. Sul fronte dei benefici delle normative europee, infine, sottolineerei la possibilità per le grandi aziende di supportare le imprese che compongono la loro supply chain nell’attrezzarsi e migliorare. Potrebbe parzialmente aiutare chi è più piccolo, fa fatica a capire le nuove regole e deve inseguire. Io faccio parte del network di Sustainability Makers che si è attrezzato con corsi gratuiti per piccole e piccolissime imprese.

Comunque, lei nella sostenibilità ci crede. Anche in questa fase politica complicata.

Forse ora la sostenibilità sarà meno trendy, meno di moda; forse bisognerà trovare un percorso più moderato, senza eccessi e innamoramenti a volte esagerati. Ma mi sento di dire che io e il gruppo ci crediamo fortemente. Qualche aggiustamento va fatto, penso: noi siamo un’azienda energetica e quindi la lotta al cambiamento climatico è ovviamente decisiva, ma il nostro consumatore, il nostro cliente, i nostri stakeholder potrebbero anche avere bisogno di sentirsi raccontare qualcosa sulla protezione della natura, sull'impatto sugli ecosistemi, sulla biodiversità, sulla diversità e l’inclusione.

 

Immagini: E.On