La COP29 di Baku ha rappresentato una prima volta importante nel percorso di transizione energetica: non era mai successo, infatti, che una Conferenza delle parti sul clima inserisse nell’agenda anche il tema della clean flexibility, o flessibilità pulita, di cui reti e stoccaggio energetico sono due degli strumenti principali.
In quest’ottica, è arrivato mercoledì 11 dicembre l’annuncio che in Azerbaigian 58 paesi hanno firmato l’impegno ad aumentare la capacità globale di stoccaggio energetico di sei volte rispetto ai livelli del 2022, con l’obiettivo di raggiungere il totale di 1.500 GW entro il 2030. Entro lo stesso anno si dovranno inoltre potenziare le reti elettriche, aggiungendone di nuove o rinnovate, fino a 25 milioni di chilometri.
Che cos’è la clean flexibility o flessibilità pulita
Quello della flessibilità è un aspetto fondamentale, se si vogliono sfruttare e integrare in modo rapido, efficiente e sicuro tutte le potenzialità delle energie pulite. “La clean flexibility è l'elemento abilitante per un sistema elettrico dominato dalle rinnovabili”, commenta Dave Jones, direttore del Global Insights Programme del think thank energetico Ember, che ha condotto un’analisi sul tema. “Quando catturiamo l’energia del sole e del vento, fonti destinate a guidare la transizione globale dell'elettricità, le reti possono portarla dove serve e l'accumulo può conservarla per quando serve”.
Chi ha firmato il piano per reti e stoccaggio energetico
In linea con la roadmap Net Zero dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), l'obiettivo globale di 1.500 GW a fine decennio era stato già approvato lo scorso aprile dai paesi del G7. Ora l’impegno è stato sottoscritto da gran parte del mondo sviluppato, in primis dalla maggioranza dei membri OCSE (25 su 38), tra cui Italia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Turchia e Canada. Tra i firmatari ci sono anche diversi paesi dell’America Latina (Brasile, Perù, Guatemala e Uruguay), dell’Africa (Kenya, Marocco, Repubblica del Congo) e dell’Asia (Pakistan, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Malesia).
Restano escluse, almeno per il momento, economie importanti, come Cina, India, Indonesia, Vietnam, Sud Africa, Russia e buona parte del Medio Oriente, ovvero Arabia Saudita, Iran, Iraq, Qatar ed Egitto. Inoltre, tra i paesi che ancora non hanno aderito ci sono alcune realtà, come Cile, Irlanda, Thailandia e Portogallo, che rientrano però tra i 133 firmatari del piano targato COP28 per triplicare la capacità rinnovabile.
Obiettivo 1.500 GW “facilmente raggiungibile”
Secondo l’analisi di Ember, il target dei 1.500 GW non è solo raggiungibile ma anche ampiamente superabile: per tagliare questo traguardo, servirebbe “solo 1 MW di stoccaggio ogni 5 MW di energie rinnovabili installate entro la fine di questo decennio”. In quest’ottica la catena di fornitura non rappresenta un vincolo: già entro il 2025 la capacità produttiva annua di batterie sarà aumentata al punto da poter soddisfare otto volte l'obiettivo dei 1.500 GW entro il 2030, a cui si aggiunge la riduzione del 39% dei prezzi delle celle per batterie al litio-ferro-fosfato (LFP) registrata negli ultimi 12 mesi.
Mancano piani nazionali per lo stoccaggio energetico
Il problema è che scarseggiano i piani nazionali. Sempre secondo Ember, a ottobre 2024 su 96 paesi analizzati, oltre all’UE nel suo insieme, solo 30 avevano definito un obiettivo di stoccaggio nazionale, per un totale di 284 GW entro il 2030, quindi meno di un quinto dell’obiettivo globale di 1.500 GW.
Se si entra poi nel merito dei 58 firmatari dell’impegno di Baku, su 47 piani energetici esaminati, solo 14 contengono un obiettivo per l’accumulo. Al contrario, 14 paesi che già dispongono di un target di questo tipo non hanno ancora firmato il documento della COP29, come Portogallo e Cile.
Servono politiche urgenti per le reti elettriche
C’è poi il tema delle reti: secondo l’AIE, almeno 3.000 GW di progetti globali di energia rinnovabile, di cui 1.500 GW in fase avanzata, sono in coda per la connessione alla rete. Se quello dello stoccaggio sembra un obiettivo realistico, questo invece richiederebbe di raddoppiare il ritmo di espansione. Tra i principali ostacoli, ci sono tempi più lunghi, vincoli nella catena di approvvigionamento e pianificazione lenta: come conclude Ember, servirebbe un’azione politica urgente per favorire una rapida implementazione, pena il rallentamento della diffusione delle energie rinnovabili.
“Aver messo per la prima volta le reti e l'accumulo sotto i riflettori internazionali è un monumentale passo in avanti, un segno che il mondo sta riconoscendo il ruolo cruciale della flessibilità nel garantire la sicurezza energetica per le future generazioni”, sottolinea Bruce Douglas, CEO della Global Renewables Alliance. I 58 paesi e le decine di organizzazioni, per un totale di oltre 100 firmatari, che hanno preso l’impegno a Baku “dovrebbero ispirare altri a unirsi e intraprendere azioni decisive per raggiungere questi obiettivi”, in primis attraverso la mobilitazione di “finanziamenti pubblici e agevolati per le economie in via di sviluppo, essenziali per sbloccare gli investimenti privati in regioni con il maggiore potenziale e le necessità più grandi”.
Immagine: COP29