A Cop15 erano presenti numerose imprese private e multinazionali per comprendere e influenzare il processo negoziale per approvare il Global Biodiversity Framework. Dall’industria chimica dei pesticidi al settore agroalimentare passando per il settore minerario e quello finanziario, centinaia di aziende si sono regolarmente registrate qua a Montreal per assistere ai lavori ONU. Difficile capire quanto e come ogni impresa ha davvero influito (non abbiamo avuto dati esatti su tutti i lobbisti iscritti).
Per avere un’idea delle posizioni della grande impresa europea Materia Rinnovabile ha voluto parlare con Stefania Avanzini, che rappresenta dal 2022 OP2B, One Planet Business for Biodiversity, una coalizione di imprese sotto l’egida del WBCSD. Abbiamo voluto conoscere gli interessi dei giganti del food e cosmetica in questa conferenza e capire perché imprese che un tempo sono state le principali responsabili della distruzione della biodiversità ora capiscono, senza idealismi e con puro spirito capitalista, che è fondamentale per la loro sopravvivenza arrestare la crisi che loro stesse hanno contribuito e contribuiscono a creare.
A COP15 presente la coalizione di multinazionali One Planet Business for Biodiversity
“OP2B è una coalizione di 28 imprese, tutte multinazionali, che hanno preso importanti impegni pubblici, impegnandosi a trasformare il modo in cui fanno agricoltura, con l'obiettivo di aumentare la biodiversità al 2030”, spiega Avanzini. Nella lista di OP2B ci sono giganti europei del food del calibro di Danone, Nestlé, Unilever, PepsiCo, Mondelez, Diageo, aziende cosmetiche come L'Oreal e l'Occitane en Provence; aziende tessili come LVMH e gruppo Kering per il cotone e lino, retailers come Ikea o Walmart.
OB2P nasce con la benedizione di Emmanuel Macron, che nel 2019 lancia il One Planet Summit e chiede a Emmanuel Faber, all'epoca CEO di Danone, di lanciare un'iniziativa sull'agricoltura e biodiversità. Nel giro di tre anni salgono a bordo di OP2B i principali colossi europei del food. «Nessun azienda italiana per ora è nel gruppo, anche se ci farebbe piacere avere qualche grande impresa italiana», continua la responsabile di OP2B.
«Nel gruppo ci sono 28 imprese che si sono rese conto dello stato dei nostri suoli degradati, inquinati e sterili, che hanno capito l’importanza di cambiare le monoculture e i sistemi di agricoltura chimica-industriale. Non focalizzarsi sulla salute del suolo significa per loro non avere più accesso agli ingredienti di cui hanno bisogno per produrre i loro prodotti». Tempo quindi di porre rimedio agli errori commessi in passato.
Le multinazionali vogliono fare business con la biodiversità
La seconda ragione che Stefania Avanzini menziona è che sono tutte aziende quotate in borsa, che hanno preso impegni per decarbonizzare il loro impatto sull'agricoltura, in un sistema finanziario che premia sempre di più le imprese in grado di ridurre le proprie emissioni di CO2, posizionandosi come imprese in grado di fare de-risking sui propri asset. “Ma anche sulla natura c’è crescente attenzione finanziaria: natura, clima e inclusione vanno insieme”.
Diversamente dal clima, la biodiversità richiede soluzioni locali: dunque le imprese che agiscono nel proprio milieu possono certificare più facilmente la propria resilienza all’esposizione ai rischi ambientali legati alla perdita di biodiversità. Chi fa meglio può essere così premiato sul mercato. Quando non è possibile fare meglio si possono impiegare soluzioni di compensazione. “Le imprese sono interessate sia ai carbon certificates che ai biodiversity certificates, se il mercato arrivasse a mettersi d'accordo su come monetizzare la biodiversità”.
Ecco come investono in biodiversità le multinazionali
Come investono i 28 però per ridurre i propri impatti sulla biodiversità? “Le imprese sono pronte a mettere in pratica tecniche che restaurino la salute del suolo. Parliamo di tecniche di agricoltura rigenerativa, agro ecologia o agroforestry, in grado di rigenerare i nutrienti, ritenere l’acqua, favorire lo stoccaggio dell’’anidride carbonica. Allo stesso tempo lavorano intorno ai campi per ripristinare gli habitat naturali, sia di piante che di animali”.
Il tema più complesso è quello dei pesticidi e fertilizzanti chimici. “Non siamo per il consumo zero perché sappiamo che in alcune aree del pianeta non si può farne completamente a meno, specie per i fertilizzanti: noi siamo per un uso efficiente e consapevole degli impatti”. Un altro impegno è quello di valorizzare gli agricoltori contribuendo a migliorare il reddito, compensandoli non solo per l’acquisto al chilo dei prodotti agricoli, ma anche per i servizi ecosistemici che può portare all'ambiente o per la partecipazione a modelli di bioeconomia recuperando gli scarti. Certo non si parla di contadini diretti: queste sono multinazionali che lavorano con grandi cooperative di agricoltori come Arla, Friesland-Campina, Invivo, in grado di controllare catene complesse di produzione.
Perché fare advocacy? Il mercato premierà le multinazionali più virtuose
Oltre ai progetti comuni rigenerativi OB2P spinge per fare advocacy a livello europeo e mondiale sull'importanza della biodiversità. “Per questo siamo a COP15 in rappresentanza dal settore privato, fornendo opinioni sul Global Biodiversity Framework. Siamo concentrati sul target 15. Il GBF deve fornire un impulso alle imprese private multinazionali affinchè includano la biodiversità nelle loro strategie. Per questo nel testo si deve definire ‘a mandatory disclosure on dipendencies on nature’”, ovvero una rendicontazione pubblica obbligatoria delle informazioni di come un’azienda dipende e impatta la natura.
Fino a sabato 17 il termine “mandatory” era ancora un’opzione nel testo negoziale. Numerose aziende e paesi rimangono contrari all’introduzione di quest’obbligo, mentre imprese e Paesi EU sono a favore. Certo fa strano vedere Nestlè allineata con gli attivisti indigeni e il WWF. “La ragione è soprattutto finanziaria: se sei quotato in borsa e tutte le aziende sono obbligate a fare disclosure sui propri impatti sulla natura, i mercati premieranno le aziende più virtuose – esattamente come funziona sulla carbon diclosure. Per questo anche l’EU ha lanciato un report, Align, che fa un panorama per gli impegni aziendali per misurare gli impatti sulla biodiversità e il funzionamento dei biodiversity credits. C’è poi la Task Force on Nature Disclosure e il lavoro sulle metriche per la natura, della Science Based Target Initiative (SBTi)”.
L’attenzione al negoziato è massima. Se Cop15 fallisse sarebbe un'occasione mancata di lanciare un segnale forte che la biodiversità è importante per tutti. Ma per le aziende private che hanno già cominciato a lavorare su una nature positive road map e quindi hanno cominciato a fare disclosure dei loro impatti sulla natura, il risultato sarà relativamente negativo. «Cambierà però la velocità della transizione, queste aziende da sole (Nestlè impiega fino al 2% dell’agricoltura mondiale, nda) possono avere un peso enorme, ma hanno bisogno di essere in un sistema». Rallentare in questo momento non è un’opzione. Né per l’umanità, né per le imprese che tengono alla propria sopravvivenza economica di lungo termine.
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