Al via il 7 dicembre COP15, il summit delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Dodici giorni per negoziare un accordo globale, il Global Biodiversity Framework, per fermare la perdita di biodiversità e proteggere i servizi ecosistemici alla base della salute e della prosperità umana. Fino al 19 Dicembre, nel Convention Center di Montreal, in Canada, 196 nazioni cercheranno di siglare un’intesa per tutelare almeno il 30% dei territori e dei mari, ridurre il consumo di pesticidi, eliminare almeno 500 miliardi di dollari di sussidi dannosi per la natura, garantire risorse economiche per la tutela della natura nei Paesi meno sviluppati, creare dei meccanismi di trasparenza per monitorare i progressi. Materia Rinnovabile, tra le poche testate italiane accreditate, sarà a Montreal a seguire i lavori negoziali.

Cop15, perché è importante?

Il Global Biodiversity Framework, se concluso con successo, sarà l’equivalente dell’Accordo di Parigi sul clima per la tutela della natura. Servirà come linea guida per l’azione di ogni paese nella gestione della biodiversità e come elemento di riferimento per il mondo finanziario internazionale e per la grande industria, soprattutto quella agro-forestale, alimentare e mineraria, le più interessate da questa risoluzione, che dovranno intraprendere un percorso di transizione.
La biodiversità ha superato la soglia critica di sicurezza, spingendo sempre di più il pianeta verso una nuova grande estinzione di massa. Dunque COP15 è l’ultimo baluardo per invertire la rotta, dopo che oltre 1 milione di specie sono andate estinte.

Dal punto di vista economico la tutela della natura ha un valore immenso. Diecimila miliardi di dollari è la stima dei servizi ecosistemici ogni anno, l’equivalente del PIL della Cina. La natura è il principale fornitore di servizi per l’uomo. Il collasso degli ambienti marini, con conseguente crollo della pesca colpirebbe economicamente 250 milioni di persone, oltre ad affamarne milioni. La perdita degli impollinatori a causa dell’uso eccessivo di insetticidi costerebbe tra 210 miliardi e 577 miliardi di euro di produzione agricola annua. Le specie invasive in agricoltura creano danni da centinaia di miliardi. “L’umanità è diventata un’arma di estinzione di massa”, ha tuonato il segretario ONU Guterres. È ora che il mondo politico ed economico capisca l’immenso rischio che si corre.

Come è strutturato il summit sulla biodiversità

Il vertice di Montreal è anche noto come COP15, in quanto è la quindicesima "conferenza delle parti" - o nazioni - firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (CBD) del 1992. Si sarebbe dovuta tenere in Cina a Kunming, ma a causa delle restrizioni Covid, e dopo quattro rimandi a causa dei lockdown, l’ONU ha trovato la disponibilità del Canada di ospitare il negoziato. Sarà la Cina a detenere la presidenza della COP15, ovvero faciliterà i negoziati e dovrà creare il consenso multilaterale per un accordo ambizioso, coadiuvata dalla CBD. Nei prossimi giorni i negoziatori di due gruppi di lavoro distinti dovranno eliminare le tantissime opzioni ancora presenti sul testo, per raggiungere un accordo finale condiviso da approvare il 19 o 20 dicembre (i supplementari sono un grande classico dei negoziati ONU). Parallelamente si terranno oltre 250 side event per conoscere alcuni temi centrali, dal ruolo delle città nella tutela della biodiversità, alla biodiversity finance e agli strumenti di monitoraggio.

COP15, andare oltre il fallimento degli Aichi Target

Nel 2010 si siglò un piano decennale per ridurre gli impatti, ponendosi venti obiettivi, noti come Aichi Target. Si richiedeva ai paesi firmatari l’inserimento dei piani per la biodiversità nell’azione dei governi, la creazione di aree protette sul 17% della superficie terrestre e il 10% delle aree marine e costiere, la piena operatività del Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche. Eppure nessuno di questi obiettivi è stato pienamente raggiunto entro il 2020. Solo sei obiettivi sono parzialmente raggiunti (9, 11, 16, 17, 19 e 20).

Le ragioni sono molteplici, a partire dal disinteresse generale dei governi e dei media sul tema biodiversità. “L’implementazione dei target è iniziata realmente solo nel 2016, dato che molti Paesi hanno prima dovuto sviluppare piani e strategie nazionali sulla biodiversità e poi dare impulso ad iniziative concrete”, ha spiegato a Materia Rinnovabile Elizabeth Mrema che occupa il posto di Segretaria generale della Convenzione della Biodiversità ONU dal 2019. “Molti di questi piani non sono risultati allineati con la strategia globale dalla CBD”. Va poi aggiunta la scarsa attenzione mediatica e politica.
Per questo è importante che con COP15 oltre ai governi, facciano sentire la voce le comunità indigene e non, i gruppi di pressione, il mondo del business, che sarà sempre più impattato dalla perdita di biodiversità, e anche i media.

Che tipo di accordo sarà il Global Framework on Biodiversity?

Dovrà essere un piano con 23 target che contribuiranno grandemente alla lotta al cambiamento climatico, alla tutela dei servizi ecosistemici, alla conservazione della sicurezza alimentare globale. Saranno obiettivi misurabili e monitorabili, ma volontari, ovvero non ci saranno meccanismi vincolanti. Si baserà su un sistema di revisione e confronto tra pari, lasciando all’ONU, alla diplomazia e alla società civile il ruolo di far pesare l’inazione di quegli stati che non perseguiranno i nuovi obiettivi.

Uno dei goal più importanti è il “30-by-30”, ovvero la protezione da parte di ogni Paese del 30% della propria terra e dei territori marini nazionali. 110 Paesi hanno aderito ad una coalizione per perseguire questo obiettivo, inclusi gli USA, che non hanno mai ratificato l’adesione alla Convenzione per la Biodiversità. La Cina al momento spinge per il 25%, ma è più un tatticismo negoziale che una reale intenzione. È il target più importante da approvare, anche se molti scienziati indicano il 50% dei territori protetti come reale soglia di sicurezza.

Chi pagherà per proteggere la natura?

Una questione annosa è quella delle risorse economiche: per proteggere la natura, i Paesi avranno bisogno di denaro, molto. Un obiettivo possibile potrebbe essere quello di indirizzare almeno 100 miliardi di dollari l’anno per la tutela della biodiversità, sulla stessa linea dell’Accordo di Parigi. Nella bozza del testo c’è un’ipotesi di 200 miliardi l’anno di finanziamenti del settore pubblico e privato. Sarà da capire chi e come raccoglierli. Attualmente esiste un deficit di finanziamento di almeno 711 miliardi di dollari all'anno, secondo una valutazione del 2019 di diverse associazioni ambientaliste.

Altro tema chiave sarà il ripensamento dei sussidi per le industrie che inquinano o danneggiano in altri modi la natura, tema che Materia Rinnovabile andrà ad approfondire nei prossimi giorni. Una bozza dell'accordo in fase di negoziazione include un appello per tagliare questi cosiddetti sussidi dannosi di almeno 500 miliardi di dollari all'anno dai 1800 miliardi stimati dati alle attività che degradano la natura.

Il Canada ha annunciato durante la cerimonia di apertura di allocare circa 250 milioni di dollari mentre la UE ha promesso 7 miliardi di euro per la conservazione della biodiversità tra il 2021 e il 2027, ma solo una manciata dei 27 Stati membri ha effettivamente messo mano al portafoglio. Secondo i dati dell'OCSE, Francia, Germania, Lussemburgo e Danimarca sono gli unici Paesi dell'UE ad aver promesso pubblicamente maggiori finanziamenti. Berlino da sola sborserà 1,5 miliardi di euro. Nessun segnale dall’Italia che non manderà nemmeno il ministro Gilberto Pichetto Fratin, sostituito dalla viceministra Vannia Gava. Pare che al Paese più bello del mondo interessi poco preservare il Made in Italy e la sua bellezza naturale. Non pervenuti nemmeno gli attivisti del clima per il momento.

Immagine: Zdenek Machacek (Unsplash)