"Il riconoscimento del nostro settore attraverso l'applicazione di specifici codici NACE è un elemento importante perché permetterebbe una migliore misurazione in ambito statistico e la possibilità di affrontare misure legislative specifiche, come i finanziamenti o la creazione di specifici codici EER". A dirlo - in questa intervista esclusiva a Il Bioeconomista - è Giulia Gregori, Strategic Planning and Corporate Communication manager presso Novamont, l'azienda italiana leader nel settore delle bioplastiche a livello mondiale.
La bioeconomia è un settore in continua crescita. Negli anni della pandemia ha dimostrato di essere resiliente. Oggi, però, da un punto di vista statistico non è ancora riconosciuta. Quanto è importante la possibilità di avere codici propri per l'industria biobased?
Codici specifici per le industrie biobased sono fondamentali per sfruttare appieno il potenziale della bioeconomia circolare in termini di sviluppo sostenibile, decarbonizzazione e tutela ambientale. Per fare un esempio, il settore della bioeconomia può generare sottoprodotti simili a quelli prodotti dal settore agroalimentare, con caratteristiche qualitative adatte a un ulteriore utilizzo in altre filiere, come i fanghi per uso agricolo.
Tuttavia, ad oggi, queste preziose risorse non possono essere sfruttate. Il riconoscimento del nostro settore attraverso l'applicazione di specifici codici NACE è un elemento importante in quanto consentirebbe una migliore misurazione in ambito statistico e la possibilità di affrontare misure legislative specifiche, come il finanziamento o la creazione di specifici codici EER, dedicati ai rifiuti derivanti da prodotti in plastica biodegradabili e compostabili, al fine di facilitarne il riciclo organico, meccanico e chimico a fine vita.
La direttiva SUP non distingue tra plastiche monouso e bioplastiche. E addirittura favorisce i materiali di cui non si conosce l'origine piuttosto che le bioplastiche. Quale può essere il giusto compromesso per tutelare l'innovazione e la sostenibilità sviluppate negli ultimi anni da Novamont e da tutta l'industria coinvolta in questo settore?
La legge italiana potrebbe essere un buon compromesso: è coerente con il quadro europeo ma non penalizza l'innovazione e la possibilità di creare cicli virtuosi in contesti specifici.
Infatti, riconoscendo le peculiarità del sistema italiano relative alla gestione e al trattamento delle bioplastiche compostabili in relazione alla raccolta dei rifiuti organici, la legge nazionale prevede, in casi specifici, l'utilizzo di alternative bioplastiche compostabili con un contenuto di materie prime rinnovabili pari o superiore al 40% e, a partire dal 1° gennaio 2024, di almeno il 60%.
Infatti, all'articolo 5 il decreto di recepimento specifica la possibilità di vendere e utilizzare prodotti monouso in bioplastica compostabile quando l'uso di alternative riutilizzabili non è possibile o non dà garanzie dal punto di vista igienico-sanitario; quando l'uso è previsto in circuiti controllati (es. mense); in circostanze in cui è presente un numero elevato di persone; quando le alternative riutilizzabili non garantiscono un minore impatto ambientale.
Vale la pena ricordare che l'utilizzo di sacchetti compostabili per la raccolta dei rifiuti organici ha permesso all'Italia di essere ai primi posti in Europa per la raccolta dei rifiuti alimentari (47% del totale, contro la media europea del 16%); ha inoltre portato la frazione organica dei rifiuti a crescere da 2,5 milioni di tonnellate nel 2007 a 7 milioni di tonnellate nel 2020, con una maggiore quantità di compost organico pulito restituito ai nostri terreni; anche l'uso di sacchetti monouso è diminuito in volume di oltre il 58% dal 2009 al 2021.
Stiamo affrontando una crisi energetica e delle materie prime senza precedenti, aggravata dalla guerra in Ucraina. Quale ruolo può svolgere la bioeconomia, dal suo punto di vista, in questo scenario economico e politico?
Il settore della bioeconomia può vantare bioraffinerie che producono bioprodotti e bioenergia e sfruttano residui e sottoprodotti. L'industria bio-based italiana ed europea ha già dimostrato il suo potenziale rigenerativo con casi tangibili di bioprodotti calati in nuovi sistemi di produzione e consumo come catalizzatori di un nuovo modello che utilizza materie prime compatibili con i sistemi naturali e ne riduce la quantità.
Credo che in questo contesto di estrema vulnerabilità degli equilibri globali, innovare e investire nell'industria bio-based, per utilizzare meno risorse, ridurre la nostra dipendenza energetica e rigenerare i nostri suoli sempre più a rischio, possa essere fondamentale per l'autonomia e la competitività a lungo termine dell'Europa.
Quali sono i piani di crescita di Novamont per i prossimi anni in Italia e nel mondo?
La sostituzione del carbonio fossile con carbonio biogenico per ottenere prodotti innovativi con le caratteristiche desiderate ha rappresentato e continuerà a rappresentare una sfida senza precedenti non solo in relazione all'innovazione e allo sviluppo tecnologico, ma anche alla massimizzazione degli impatti positivi (ad esempio la dimensione sociale) e alla riduzione di quelli negativi (ad esempio le emissioni di gas serra legate ai processi produttivi).
Per questo motivo, l'impegno di Novamont è costantemente rivolto all'esplorazione e all'implementazione di filiere di prodotto "disaccoppiate", perché il "come" la filiera di prodotto viene sviluppata gioca un ruolo cruciale nel raggiungimento degli SDGs. Novamont continua a lavorare in modo significativo sulla diversificazione delle materie prime da rifiuti e sottoprodotti (multi-generation sugar projects; biomasse da colture secche in grado di rigenerare terreni marginali, riciclo chimico e meccanico di bioplastiche, ecc.)
Image: John Cameron (Unsplash)
Questo articolo è stato pubblicato sul Il Bioeconomista