Tra le tante risorse nascoste fra i cosiddetti “scarti” dei nostri sistemi di produzione e gestione di servizi, i fanghi di depurazione sono certo una delle più sottovalutate. In Italia se ne producono fra i 3 e i 4 milioni di tonnellate all’anno e la loro gestione (vale a dire il loro smaltimento in discarica) costa fra i 400 e i 520 milioni di euro. Eppure, più che un costo, potrebbero essere un valore se, in ottica di economia circolare e scegliendo le giuste tecnologie, si riuscisse a recuperarli e trasformarli in energia o fertilizzanti per l’agricoltura.
Uno studio redatto dalla società di consulenza Althesys in collaborazione con Utilitalia e FISE Assoambiente - “L’industria idrica e le sfide dell’economia circolare. La gestione sostenibile dei fanghi di depurazione”- lancia così una roadmap rivolta all’industria idrica per rendere l’acqua ancora più circolare.
Industria idrica verso l’economia circolare
Per poter valorizzare efficacemente i fanghi di depurazione occorre innanzitutto avere una strategia a livello nazionale. Definire un quadro normativo chiaro e stabile – dicono gli esperti di Althesys – è il primo passo per elaborare una roadmap da qui al 2030. Regolamenti chiari permetterebbero infatti di accedere a fondi nazionali ed europei per implementare nuove tecnologie e migliorare tutta la filiera di recupero dei fanghi. Si tratta in particolare dei fondi messi a disposizione, nell’ambito di Next Generation EU, dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che prevede lo stanziamento di 15,3 miliardi di euro alla voce “Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica”.
“La gestione dei fanghi di depurazione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico – spiega l’economista Alessandro Marangoni, Ceo di Althesys – poiché più a fondo si pulisce l’acqua proveniente dalle fognature e più fanghi restano nel depuratore. Questi, tuttavia, sono una risorsa che, in una logica di economia circolare, possono essere recuperati, fornendo nutrienti all’agricoltura o producendo energia. Bisogna quindi evitare lo smaltimento in discarica e valorizzare le sinergie con gli altri settori, agricoltura ed energia, tracciando un piano a medio-lungo termine di gestione nazionale condivisa che, in un quadro normativo chiaro, consideri le diverse opzioni tecnologiche”.
Come riutilizzare i fanghi di depurazione
I fanghi di depurazione, residui dei processi di trattamento delle acque reflue, sono nella maggior parte dei casi inviati in discarica invece di essere recuperati e riutilizzati. Eppure sarebbero molti gli utilizzi per questi materiali. Possono essere inviati a termovalorizzazione e recupero energetico oppure diventare materia prima per la produzione di biometano. Ancora, se ne possono estrarre nutrienti preziosi per l’agricoltura. In questo settore, tuttavia - evidenzia il report di Althesys – l’impiego dei fanghi “si è trovato a fronteggiare a più riprese, negli anni, incertezze normative, interventi giurisprudenziali e legislazioni regionali differenti, con forti impatti sulla gestione e i costi per le imprese idriche”. Mentre per altri utilizzi esistono varie criticità, come per il recupero energetico la carenza di impianti Waste to Energy adatti a trattare i fanghi. Infine, il loro uso nei cementifici è ancora molto limitato.
Una roadmap per il 2030
Insomma, l’Italia ha una risorsa fortemente sottoutilizzata e che al momento è solo un costo. Con una produzione annua stimata fra i 3,1 milioni di tonnellate (Ispra) e i 3,8 milioni (Utilitalia), i fanghi da depurazione richiedono infatti per il loro smaltimento una spesa stimabile tra i 400 e i 520 milioni di euro.
Occorre dunque definire delle linee di azione per ottimizzare il settore. Oltre alla definizione di un quadro normativo, il report di Althesys individua così una serie di elementi che mancano o vanno migliorati all’interno della filiera dell’acqua. Innanzitutto è necessario focalizzarsi sulla qualità dei fanghi, in modo che possano essere utilizzati in agricoltura. Inoltre, serve creare una rete di stakeholder che includa produttori, operatori, utilizzatori e imprese agricole di trasformazione. Sarebbe poi utile, dice il report, “il ricorso alla termovalorizzazione, con impianti dedicati o destinati anche ad altri rifiuti, già molto diffusi in alcuni Paesi europei anche per il potenziale recupero del fosforo”.
“Serve, nel complesso, un piano impiantistico nazionale che favorisca anche l’adozione di tecnologie innovative, con la sperimentazione e la ricerca di soluzioni avanzate di minimizzazione e di recupero dei fanghi o impianti per la produzione di biometano”.
È necessario, insomma, andare oltre la gestione delle emergenze periodiche e ripensare l’intera fliera per creare una “strategia integrata idrico-waste-agricoltura”.