La sostenibilità ci riguarda da vicino, molto da vicino. Eppure, spesso la percepiamo come qualcosa di lontano, un tema globale che non ci tocca davvero. Da qui l’invito a uscire dalle comodità della nostra vita quotidiana e agire in prima persona, perché ognuno di noi può fare la propria parte contro il consumo irresponsabile, la cattiva gestione dei rifiuti, la deforestazione, il cambiamento climatico.

“Comfort Zone” è, non a caso, il tema scelto da ASVIS per la nona edizione del Festival dello sviluppo sostenibile, all’interno del quale martedì 20 maggio si è svolto l’evento Circle Up! a Milano, presso Cascina Cuccagna.

Un incontro per parlare di esperienze e visioni sulla circolarità del settore tessile, nel contesto di una cascina del Diciassettesimo secolo, restaurata e riaperta al pubblico dal 2012. “Un luogo che è esso stesso un esempio di rigenerazione urbana, un centro di cultura e partecipazione che diffonde idee d’innovazione, servizi sostenibili e progetti culturali”, ha spiegato Alexa Avitabile Leva, responsabile dei progetti di Cascina Cuccagna.

L’iniziativa è stata organizzata da EETRA, agenzia di consulenza ambientale e società benefit: “Per realizzare davvero un’economia circolare, la partecipazione delle persone è essenziale: serve recuperare la dimensione della socialità”, ha sottolineato il cofondatore e CEO Carlo Rossini.

Moda sostenibile: la normativa UE

La moda è uno di quei settori a cui ognuno di noi può facilmente dare un contributo: secondo i dati, nel 2022 ogni cittadino dell’UE ha acquistato in media 19 kg di abiti, calzature e altri prodotti tessili, sulla spinta delle tendenze in continua evoluzione e della disponibilità apparentemente infinita di vestiti a basso costo. L’impatto non è solo ambientale, ma anche sociale, considerate le frequenti criticità che emergono in tema di sfruttamento del lavoro lungo la filiera globale del fashion.

“Per rendere il settore più sostenibile, l’Unione Europea si sta muovendo su più fronti a livello normativo”, ha riepilogato Roberta Bosu, EU Climate Pact Ambassador per la Commissione europea: si va dalla Strategia per prodotti tessili sostenibili e circolari, che attua gli impegni assunti nell’ambito del Green Deal europeo, alla normativa EPR sulla responsabilità estesa del produttore, dall’Ecodesign for Sustainable Products Regulation sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti alla direttiva Green Claims, che mira a rendere più chiare e affidabili le etichette, fino al Digital Product Passport, ovvero un documento digitale che contiene una registrazione dettagliata dell’intero ciclo di vita di un prodotto.

Dalla teoria alla pratica: il cambiamento culturale

“Le leggi sono importanti, ma serve anche un cambiamento culturale, che si traduca in gesti concreti, a partire dal nostro armadio”, ha proseguito Rossella Mileo, avvocata e divulgatrice. “Il principio guida deve essere quello del rifiuto zero: acquistare meno, scegliere bene e far durare ciò che abbiamo. La sostenibilità inizia dalle nostre scelte quotidiane.”

Dai singoli cittadini alle aziende, ha aggiunto Martina Castoldi, partner e sustainability expert di EETRA, “l’obiettivo è anche quello di trasferire le buone pratiche nei modelli di business, promuovere iniziative di co-progettazione tra aziende e associazioni o realtà del terzo settore, per creare un impatto sociale attraverso la circolarità”.

Tra i casi virtuosi, il Progetto Ricamo di Spazio 3R, realtà impegnata nel reinserimento lavorativo di donne in condizioni di vulnerabilità: “Coinvolge varie aziende fornitrici di tessuti di scarto da trasformare in prodotti e accessori di moda sostenibili, replicabili e scalabili, che hanno anche un impatto sociale”.

Spazio 3R: la sartoria che ricuce le vite

Nato nel 2016 come progetto dell’associazione IRENE, Spazio 3R è oggi un’impresa sociale autonoma. “Il laboratorio si rivolge a donne italiane e straniere, offrendo formazione e opportunità di lavoro nel settore della sartoria sostenibile”, ha detto la fondatrice e presidente Chiara Ceretti. “In questi anni ne abbiamo seguite oltre 250, provenienti da 35 paesi: per loro la sartoria è soprattutto un’occasione per ricominciare. Inoltre, il fare artigianale è un valore che andrebbe recuperato anche per i giovani, che non considerano più questo mestiere perché non vedono più nessuno cucire, come succedeva in passato.”

Ogni realtà, a qualsiasi a campo appartenga, è chiamata a fare la sua parte, come dimostra l’Hotel Regina, di cui Alessandro Abbati è consigliere delegato: “Anche noi abbiamo fornito tessuti di scarto, dimostrando che il nostro albergo può essere un ponte tra culture diverse, un punto di contatto tra realtà locali e clienti internazionali”.

Serve l’impegno dei grandi brand

La strada verso la sostenibilità è però ancora lunga. “La moda, fenomeno consumistico per eccellenza, è un settore complesso, in cui i consumi non diminuiscono, ma aumentano”, ha spiegato il direttore di Materia Rinnovabile Emanuele Bompan. Accanto a molte iniziative positive − come la crescita del riuso e della riparazione − restano ancora nodi difficili da sciogliere, primo fra tutti quello del fine vita. “Dal 2025 è obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, ma permangono varie criticità, come cicli dell’illegalità, mancanza di impianti e difficoltà di riciclo dei prodotti, perché la moda non è solo stoffe e tessuti.”

Se la filiera della lana funziona, come si vede a Prato, quella dei filati petrol-based è molto più complessa, a causa del complicato processo di separazione dei materiali che li compongono.  Poi c’è anche la questione dei costi.

“Il nylon rigenerato è un buon esempio di circolarità, ma spesso il materiale vergine costa meno di quello riciclato. Lo stesso vale per le fibre innovative, come quelle ricavate da fondi di caffè, bucce d’arancia o bambù: c’è tanta ricerca in corso, ma siamo ancora ben lontani da una scala industriale in grado di soddisfare la domanda di questi nuovi materiali, che peraltro da parte delle aziende è ancora bassa. In generale, a spingere verso il cambiamento sono spesso le piccole realtà, ma c’è bisogno che si muovano anche i grandi brand.”

La circolarità è nel dna italiano

L’Italia, comunque, è già un buon esempio di economia circolare, avendo raggiunto e superato i target europei. Nel 2023 il nostro paese ha registrato un tasso di utilizzo circolare dei materiali pari al 20,8%, contro una media UE dell’11,8%, con un incremento di due punti percentuali rispetto al 2019.

Si conferma così al secondo posto in Europa per livelli di circolarità, dopo i Paesi Bassi, e al primo tra le principali economie del continente (Germania, Francia e Spagna), come evidenziato nel Rapporto sull’economia circolare in Italia 2025 del Circular Economy Network. Il tasso di riciclo complessivo ha raggiunto il 72%, ben al di sopra della media europea del 58%.

“La circolarità è una dimensione profondamente radicata nella cultura italiana, grazie anche a una tradizione di artigianato sopraffino, che ha spesso fatto sua la pratica del riuso e del riciclo”, ha commentato Anna Puccio, pioniera dell’innovazione rigenerativa. “Da un lato, quindi, dobbiamo valorizzare le nostre origini, dall’altro dobbiamo ricordare che rigenerare ha sì un prezzo, perché l’innovazione costa, ma sul lungo periodo paga. Lo dimostrano le imprese B Corp, che costruiscono strategie di lungo termine e si impegnano a misurare e migliorare le proprie performance ambientali e sociali.”

Milano capitale della moda circolare

Oltre alle esperienze industriali, infine, come si può rendere concreta e visibile la circolarità nei centri urbani? A rispondere è stato Annibale D’Elia, direttore economia urbana, moda e design del comune di Milano. “Il modello ideale a cui tendere è quello della cosiddetta città dei 15 minuti, dove la vera sfida è garantire che luoghi e servizi circolari siano di prossimità. La circolarità urbana si può così realizzare attraverso micro-realtà di quartiere, che si inseriscono in un tessuto urbano denso e complesso, accanto a grandi headquarter, imprese retail, università, realtà del terzo settore e PMI.”

In quest’ottica è nato il Catalogo Milano Circolare, un bando promosso dal comune, pensato per dare visibilità alle attività di economia circolare nei settori moda, tessile, arredo e beni di consumo. Fino al 31 dicembre 2026 possono partecipare imprese, startup, organizzazioni non profit, liberi professionisti, centri di ricerca e università.

L’iniziativa rientra nel Piano d’azione per la moda e il design circolari, che a sua volta fa parte del Piano aria e clima: l’obiettivo è valorizzare prodotti usati, invenduti, rifiuti e scarti, creando nuove imprese e posti di lavoro a livello locale, secondo un modello di sviluppo che genera valore economico, sociale e ambientale, come avviene in altre città europee, tra cui Amsterdam, Copenaghen, Glasgow, Londra e Parigi. “Milano ha una responsabilità: diventare la capitale della moda circolare. E in questa direzione ci stiamo muovendo.”

 

In copertina: uno scatto dall'evento Circle Up! - SEL©vittoriolafata