Se il sistema agroalimentare vuole dare il proprio contributo al raggiungimento degli SDGs deve riorientarsi in direzione della circolarità, ridurre gli sprechi, valorizzare il capitale naturale e sociale. E privilegiare la dimensione locale, sempre con un occhio al contesto globale.
Materia Rinnovabile ha raccolto il punto di vista di Carlo Petrini, fondatore e presidente del movimento Slow Food e dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e di Franco Fassio, docente di EcoDesign, Systemic Design e Circular Economy for Food presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, sulla salute del sistema cibo e sulla cornice culturale che dovrebbe caratterizzarne lo sviluppo.
Qual è la fotografia del sistema produttivo e distributivo del cibo in questo periodo storico, segnato purtroppo da una grave pandemia?
Carlo Petrini - L’attuale produzione alimentare non è democratica e certamente non è sostenibile. Filiere alimentari globalizzate sempre più lunghe, complesse, omologate, hanno da tempo reciso molte di quelle relazioni tra unità ecologiche che rendevano la produzione di cibo il frutto di un rapporto sano con la natura. La nostra economia vive oltrepassando i limiti planetari e sociali, adottando un atteggiamento predatorio e sfrenato che uccide la nostra casa comune. Basta con ingenuità e poesia, il ritorno alla terra è una questione politica. ‘La terra è bassa’ recita un vecchio proverbio contadino: vuol dire che per dialogare con essa dobbiamo chinarci per raccoglierne e custodirne l’eredità. Oggi qualcosa sta cambiando, e probabilmente la pandemia che stiamo ancora combattendo ha accelerato questo riavvicinamento alla terra. Fra tutti i lavori possibili, quello in agricoltura è spesso stato quello da cui rifuggire per fatica fisica e incerto rendimento economico. Tuttavia, il Covid-19, assieme alla paura di rimanere senza cibo e alla sofferenza della clausura forzata in case circondate dal cemento, hanno portato a una rivalutazione del lavoro in campagna. La situazione sta facendo vivere in noi con molta più potenza lo stretto legame che abbiamo con la terra riguardo alla sussistenza. Ci dobbiamo fare carico di scelte e indirizzi che diano una nuova identità alle politiche alimentari, che cambino dinamiche che al momento sono dettate dal mercato. Lo Stato deve sostenere le piccole-medie imprese nel diventare tecnologicamente innovative, sostenibili, circolari. Il sistema produttivo del cibo va rinnovato in questo senso. Partire dal cibo per sviluppare un cambio di paradigma economico in chiave circolare vuol dire riportare l’attenzione alle comunità, alla qualità delle relazioni e alla sostanza dei comportamenti.
Abbiamo la necessità di iniziare a preservare la nostra casa comune partendo dal ridare valore al cibo?
Carlo Petrini - La difesa della casa comune è un dovere in politica come nella vita quotidiana. Papa Francesco lo ricorda bene nell’enciclica Laudato si’ – tutto è connesso – il grido della terra è collegato a quello dei poveri perché non ci può essere giustizia sociale in un ambiente degradato. È questo il modo di vedere il mondo con le lenti dell’ecologia integrale: un insieme di interconnessioni dove anche la più piccola azione influenza il resto del sistema, dove non ci sono supremazie tra uomo e ambiente, dove siamo tutti corresponsabili della sofferenza del pianeta. Oggi più che mai, l’unica soluzione per assicurarci un futuro è creare alleanze, ricordandoci che la famiglia umana è una sola e che apparteniamo tutti alla stessa comunità di destino. La buona pratica consigliata per intraprendere la conversione ecologica di cui tutti abbiamo bisogno è chiara, apparentemente semplice ma molto difficile da mettere in atto: il dialogo. Solo attraverso la capacità di incontrare l’altro, di creare ponti, di entrare in contatto con il diverso, preservando la propria identità e nel contempo contaminandola e arricchendola con quella degli altri, rigenereremo il buon senso comune, la consapevolezza che nessuno si salva da solo e che cambiare abitudini è più semplice se lo si fa in compagnia. Magari partendo proprio dal cibo in quanto unità base di connessione di tutti gli esseri viventi. Ridargli valore significa dare la giusta importanza al piacere di nutrirsi, passando dalla salute dell’uomo e dell’ambiente, imparando a godere delle diversità, a riconoscere una qualità di sistema che rispetta i ritmi delle stagioni e del convivio. Affidare questa sfida ai giovani è quanto di più moderno possa esistere.
Come riprogettare il nostro food system perché possa contribuire al cambio di paradigma?
Franco Fassio - È evidente che l’attuale sfida geopolitica del ‘sistema cibo’ sia quella di rivoluzionare il modello produttivo partendo da una corretta gestione del capitale naturale a cui sono associati quello culturale ed economico, rispettando i limiti planetari e offrendo al tempo stesso uno spazio equo alla società civile. La complessità del sistema alimentare richiede una prospettiva transdisciplinare che definisca le caratteristiche di un paradigma economico rigenerativo. Dobbiamo far nostra l’ambizione di riconnettere l’economia agli equilibri ecosistemici, partendo dalla ricostruzione di quel tessuto ecologico che sostiene la vita sul nostro pianeta e che l’uomo sta divorando con incredibile voracità. In altre parole, significa partire dall’evitare di compromettere i rapporti con il miglior fornitore di materia prima che il genere umano conosca, passando da un’economia lineare che si basa su un’apparente abbondanza e accessibilità, a una su misura, equamente distribuita, figlia dell’intelligenza affettiva. Per rispondere a questa emergenza il food system deve ridare la giusta importanza ai beni relazionali, farlo localmente ma con una prospettiva di azione globale condivisa da tutti i popoli. L’innovazione, come quella nel campo digitale, può venirci in aiuto come strumento per rafforzare il senso di comunità, poiché solo cambiando il nostro atteggiamento e il nostro approccio all’altro possiamo davvero realizzare un cambiamento. È un processo di trasformazione che va nella direzione della lotta senza quartiere agli sprechi, nella ricerca di energie nuove e non impattanti a livello ambientale, nella limitazione dei consumi non necessari. L’empatia, l’ascolto, il confronto, la reciprocità, la generosità, sono tutti vettori di una nuova mentalità che ci può traghettare fuori dalle secche di questa crisi destabilizzante per noi e il contesto in cui viviamo. L’agroalimentare può contribuire diffusamente allo sviluppo di questo paradigma e nuove opportunità possono nascere coinvolgendo tutte le fasi e gli attori del food system, dalla produzione alla distribuzione fino ad arrivare al consumo e alla dismissione finale. Indipendentemente dalla dimensione aziendale, diventa essenziale adottare un approccio sistemico-circolare per affrontare le nuove necessità. Un modus operandi che si basi sull’interconnessione e lavori sulle potenzialità che possono nascere dal mettere in relazione differenti realtà con la volontà di ottimizzare risorse e processi, condividere obiettivi, guadagnare in termini di occupazione, competitività, innovazione, posizionamento sul mercato, creazione di valore economico-sociale. Ci aspetta una stagione ricca di ostacoli e di incognite, ma possiamo giocarci la partita con consapevolezza e determinazione se facciamo nostra questa prospettiva.
So che state lavorando da tempo come Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo per contribuire alla definizione della cornice culturale nella quale far evolvere l’economia circolare applicata al cibo. Quali sono le principali caratteristiche?
Franco Fassio - Dall’uscita del libro Circular Economy for Food nel 2018, a Pollenzo abbiamo inaugurato un Circular Economy for Food Hub e un Laboratorio per la sostenibilità e l’economia circolare, di cui sono executive director, con la finalità di monitorare l’andamento dell’economia circolare applicata al cibo, favorire il processo di cambiamento culturale e la diffusione di competenze nelle nuove generazioni, disseminare buone pratiche, supportare le aziende e la collettività verso questa transizione sempre più necessaria. Analizzando molteplici casi studio, ci siamo resi conto che il nuovo paradigma economico rischia di diventare un modello che favorisce un approccio manipolativo del rifiuto, situazione che paradossalmente potrebbe portare a un’accelerazione dell’obsolescenza programmata. È una deriva che non possiamo permetterci, serve dunque una cornice culturale differente nella quale far evolvere il paradigma. Una traiettoria condivisa, inclusiva, semplice nella sua narrazione seppur complessa nella sua articolazione, da percorrere ognuno con i propri mezzi. Con questa finalità sono nate le 3 C della Circular Economy for Food, che riteniamo possano esprimere al meglio le priorità del paradigma economico circolare applicato al food system: capitale, ciclicità, coevoluzione.
In sintesi, il nuovo paradigma economico deve partire dal preservare a livello locale il capitale naturale, l’intero stock di asset naturali – organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche – che contribuiscono a fornire beni e servizi di valore per l’uomo e che sono necessari per la sopravvivenza dell’ambiente stesso da cui sono generati. Al capitale naturale è connesso il capitale culturale, quell’insieme di conoscenze, valori e atteggiamenti nei riguardi degli ecosistemi naturali e sociali, che va custodito e tramandato come un’eredità preziosa, perché possa diventare di generazione in generazione una visione integrata con il futuro, capace di produrre una fonte di reddito distribuita ed equa che alimenta il capitale economico.
La seconda C è quella di ciclicità, che ci invita a ragionare in chiave rigenerativa, racchiudendo al suo interno tre concetti fondamentali, quali quelli di estensione, metabolizzazione e rinnovabilità. Il primo è l’estensione della responsabilità d’impresa che dall’origine delle materie prime si deve far carico dell’intero ciclo di vita del prodotto, compresa la dismissione finale, e deve mettere il consumatore nelle condizioni di sprecare meno e poter smaltire differenziando correttamente. Il secondo è la metabolizzazione, cioè la valorizzazione finale in ottica di upcycling di tutto ciò che viene messo in commercio, con l’obiettivo di non generare rifiuti ma sempre e solo risorse per lo stesso o un altro sistema (ciclo biologico e tecnico di metabolizzazione). Con questa finalità, è fondamentale adottare strategie per agevolarne la realizzazione come quelle suggerite dall’ecodesign per la riduzione (dei materiali e dell’energia impiegati sia nella produzione sia nell’utilizzo del prodotto e nella sua finale dismissione), per la purezza (riduzione dei materiali nocivi per gli ecosistemi e non metabolizzabili), per il disassemblaggio (perché il prodotto sia riparabile nel tempo e perché a fine vita sia possibile separarne i componenti, per recuperare quanta più materia ed energia possibile), per la durata (per allungarne il ciclo di vita e spostare il business dalla vendita di prodotti alla vendita di servizi). L’ultimo è la rinnovabilità, ovvero l’utilizzo quanto più ampio possibile di materia ed energia provenienti da fonti rinnovabili.
Infine la terza C, coevoluzione, che s’ispira alla simbiosi mutualistica presente in natura, una dinamica in cui uno o più soggetti traggono vantaggio dalla relazione che mettono in campo, attuando una soluzione vantaggiosa per tutti gli attori facenti parte del sistema. La coevoluzione si sviluppa grazie a un paradigma collaborativo che, attraverso l’applicazione di una logica win-win, genera una soluzione vantaggiosa per tutti, compreso l’ambiente. Solidarietà (tra le persone e i popoli per ridurre la disuguaglianza sociale e l’accesso a un cibo di qualità), dialogo (tra gli ecosistemi naturali e artificiali, per eliminare l’asincronicità del modello economico umano con i cicli naturali), cooperazione (tra comunità che condividono valori e obiettivi), condivisione (di materia, energia, informazioni per accelerare la transizione e agevolare l’evoluzione), benessere (di persone e imprese, diffuso in maniera capillare, perché possa generare un sistema resiliente, che dia garanzie di continuità), sono le priorità su cui bisogna lavorare per conferirgli resilienza.
Le 3C sono una cornice di senso tanto per le imprese quanto per il consumatore finale?
Franco Fassio - La società dei consumi alla quale apparteniamo si fonda sull’insoddisfazione permanente, su promesse fatte che poi devono essere costantemente infrante per generarne di nuove: senza la continua frustrazione dei desideri, la domanda dei consumatori potrebbe esaurirsi e i mercati perderebbero vigore. È in questo scenario che dobbiamo creare un nuovo punto d’incontro tra culture che, attraverso l’informazione e l’azione, condividano le responsabilità di uno sviluppo sostenibile. Una tavola rotonda a cui far sedere imprese e consumatori, con l’obiettivo di generare punti di riferimento e soluzioni che su basi scientifiche trovino una loro applicazione reale a supporto di questa necessaria migrazione del paradigma economico. Perché l’obiettivo è individuare gli interessi comuni a partire da una comprensione sempre più complessa delle parti in gioco, in maniera da generare proposte che superino le nostre abitudini consolidate, ovvero il maggiore ostacolo alla sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo. Le 3C sintetizzano senza banalizzare i temi salienti su cui articolare questo dialogo. Sono una chiave di lettura che, sfruttando la leva del cibo, impatta su tutti i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), sulla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile e dalla quale emerge un concetto di ‘qualità di sistema’. Quest’ultima è definita non solo dal flusso di dati tra chi consuma e il sistema produttivo e di materia/energia nel verso opposto, ma viene estesa alle relazioni che caratterizzano l’operato di tutti gli attori coinvolti nel ciclo di vita del prodotto/servizio offerto sul mercato. Relazioni che, se tracciabili e trasparenti, costituiranno la vera infrastruttura narrativa per il dialogo tra il produttore e il consumatore. In altre parole, per lavorare in questa cornice di senso, le aziende dovranno dotarsi di competenze trasversali che sappiano cogliere le esigenze della società civile, del sistema produttivo, del contesto ambientale. Il consumatore invece dovrà imparare a riconoscere e dunque scegliere consapevolmente quelle imprese che lavorano per la tutela di tutte le parti in causa, che contribuiscono al bene collettivo e a sviluppare relazioni di valore. Enfatizzare l’esistenza di sistemi che si pongono in relazione tra loro creando qualcosa di più della semplice somma dei singoli elementi, di cui l’uomo dovrebbe essere parte integrante e non invasiva, ci riporta concretamente al paradigma rigenerativo e sistemico che caratterizza la bioeconomia e l’economia circolare. Perché sono proprio le relazioni che determinano ciò che siamo in un unico sistema interconnesso.
Per approfondire: scarica e leggi il numero 33 di Materia Rinnovabile dedicato al sistema cibo.
Immagine in apertura: Francia, rooftop farming, foto di Giada Connestari.