Dalla moda alla tecnologia ai beni di largo consumo, la maggior parte delle aziende sta riducendo intenzionalmente le proprie comunicazioni sul clima. Il fenomeno è noto come greenhushing (da non confondere con l’opposta pratica del greenwashing) e a rivelarne l’andamento è il Net Zero Report 2023 di South Pole, uno dei principali consulenti e fornitori di soluzioni per progetti climatici.
La ricerca, commissionata da Southpole alla britannica Sapio, ha preso in esame oltre 1.400 aziende dotate di figure dedicate alla funzione di sostenibilità in 12 paesi e 14 settori, esaminando in dettaglio quelle che scelgono di non pubblicizzare le proprie strategie o obiettivi climatici e che riducono (o interrompono) deliberatamente le comunicazioni esterne su questo tema. Ecco le principali evidenze, anche per l’Italia.
Quanto è diffuso il Greenhushing?
Secondo il Net Zero Report 2023, in 10 settori principali su 14 la maggior parte delle aziende analizzate sta attivamente riducendo le proprie comunicazioni sul clima. Il rapporto – si legge nel comunicato stampa ‒ sottolinea un chiaro disallineamento tra la convinzione delle aziende sul valore della comunicazione dei propri obiettivi climatici e la loro fiducia nel farlo.
"Il nostro ultimo rapporto Net Zero rileva una continua e crescente contraddizione tra l'adozione di azioni aziendali per il clima e la scelta di non comunicarle ‒ ha affermato John Davis, CEO ad interim di South Pole ‒ Sfortunatamente, la maggior parte delle aziende globali non sta agendo e non ha obiettivi pubblici da mostrare.”
L’81% delle aziende intervistate afferma di sapere che comunicare il net zero sia positivo per i profitti. Tuttavia, oltre la metà (58%) di coloro che trovano che comunicare la propria azione per il clima stia diventando più difficile che in passato sta volutamente pianificando di ridurre il livello delle comunicazioni esterne. Questa tensione è ulteriormente esacerbata dai risultati della ricerca, che implicano che le aziende considerano i propri obiettivi net zero nel complesso come centrali per il successo commerciale. Quasi la metà (46%) di tutte le aziende coinvolte dalla ricerca ha infatti affermato di stare perseguendo l’obiettivo net zero per soddisfare le richieste dei clienti, ma anche per migliorare la gestione del rischio lungo la catena di fornitura (39%).
Greenhushing, tra normativa e timore degli investitori
Ma quali possono essere le cause? "È possibile che i risultati della nostra ricerca siano semplicemente un’indicazione di un "silenzio aziendale prima della tempesta (normativa), che inevitabilmente richiederà a tutti di comunicare il proprio impatto climatico e i progressi verso gli obiettivi net zero – continua Davis ‒ Mentre l'azione climatica delle aziende continua a maturare, per i leader aziendali è arrivato il momento di condividere apertamente sia i progressi che le sfide dell’azione per il clima, in modo da poterli monitorare e imparare dagli errori.”
Alla base del greenhushing ci sarebbe poi il timore dello scrutinio degli investitori, indicato in modo univoco sia dalla maggioranza delle aziende di servizi ambientali che da quelle del settore petrolifero e del gas (rispettivamente 51% e 57%). Un tema che mette in dubbio se la pressione degli investitori e gli obiettivi finanziari a breve termine possano scoraggiare un'azione climatica a lungo termine. La maggior parte degli altri settori (come retail e moda, tecnologia, beni di consumo e trasporti) ha invece elencato altri motivi principali, come "requisiti normativi" e "mancanza di indicazioni sulle buone pratiche".
La situazione in Italia
Secondo Carbonsink, società di consulenza climatica leader sul mercato Italiano che fa parte di South Pole da gennaio 2022, tematiche come decarbonizzazione, strategia net zero e rischi e opportunità per il clima stanno diventando sempre più prioritarie per il top management. Tuttavia, nonostante questa tendenza sia positiva, esiste ancora un divario tra l’ambizione aziendale e l’attuazione.
L’importanza degli impegni pubblici credibili per il clima e il ritardo del settore privato italiano sugli stessi troverebbero conferma in due dati. La definizione di obiettivi climatici credibili e scientificamente fondati e la definizione di solide roadmap di decarbonizzazione sono infatti best practice sostenute dal mercato. Eppure, solo il 28% delle aziende italiane che si sono impegnate pubblicamente per l'azzeramento delle emissioni ha sottoscritto il questionario CDP nel 2022. Di queste, il 40% ha ottenuto il punteggio massimo (A). Nonostante ciò, tuttavia, l'adesione all'iniziativa Science-Based Target è ancora bassa. Con 146 aziende aderenti a SBTi, l’Italia si colloca infatti al 13° posto su 94 Paesi per numero di aziende aderenti a SBTi.
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