Dare una seconda vita alle plastiche attraverso un processo di riciclo meccanico paga alcuni svantaggi tecnici che non lo rendono adatto a tutti i contesti. Nonostante sia tutt’ora la tecnologia più affidabile e utilizzata, offre poche garanzie nel trattare flussi contaminati o di bassa qualità, fatica a separare gli additivi presenti nel materiale, o ancora può contare su un numero limitato di cicli di riciclo per via della degradazione strutturale del polimero in seguito al trattamento.
Negli ultimi anni diverse aziende, soprattutto i grandi produttori di resina polimerica, stanno investendo le loro risorse nel riciclo chimico delle plastiche, una tecnologia che trasforma i rifiuti di plastica in prodotti chimici di base e che permette di riciclare infinite volte i polimeri.
Il riciclo chimico viene definito come il complesso delle operazioni che mirano al recupero di materia, sostanze e prodotti dai rifiuti, modificandone la struttura chimica mediante processi chimici. Secondo la vasta letteratura scientifica documentata dal JRC (Joint Research Centre, il centro di ricerca di riferimento della Commissione europea per le materie scientifiche), questi processi trovano potenzialmente applicazione anche nel trattamento di altre frazioni, come i rifiuti tessili, i rifiuti organici e indifferenziati.
Le tecnologie di riciclo chimico
Attualmente esistono tre diverse tecnologie di riciclo chimico, utilizzabili a seconda del contesto e del livello di degradazione a cui sono soggetti i rifiuti di plastica.
La purificazione a base di solventi è una tecnica di separazione utilizzata nel riciclo chimico per separare e purificare i prodotti chimici recuperati dai rifiuti. In questo processo, un solvente viene utilizzato per dissolvere selettivamente il prodotto chimico, lasciando indietro le impurità o altri prodotti chimici indesiderati. È una tecnologia usata spesso per i poliammidi (materiali plastici sintetici come il nylon).
La depolimerizzazione chimica trasforma la plastica nei suoi monomeri tramite una reazione chimica. È un processo che fa uso di solventi, in relazione ai quali si possono raggruppare differenti tecnologie di depolimerizzazione: metanolisi, glicolisi, idrolisi, ammonolisi, aminolisi e idrogenazione. Questo metodo promette bene per le bottiglie monouso in PET.
La depolimerizzazione termica (pirolisi e gassificazione) è un processo ad alta intensità energetica che trasforma i polimeri in molecole più semplici. La tecnologia della depolimerizzazione termica può anche produrre combustibili per veicoli. Inoltre ha il vantaggio di essere utile con più classi di polimeri.
La pirolisi è un metodo attraverso il quale, riscaldando il polimero ad una temperatura tra i 400-600°C in assenza di ossigeno, si ottiene una miscela di idrocarburi o un monomero. Anche i processi di gassificazione prevedono il riscaldamento del polimero, ma in questo caso a temperature più elevate (700-1500°C) e in presenza di una quantità controllata sia di ossigeno che di acqua. Il principale prodotto della gassificazione è il syngas (gas sintetico ottenuto dalla gassificazione di materiali organici come carbone, biomassa, rifiuti e altri combustibili fossili) che può essere utilizzato come carburante in motori a combustione interna o turbine a gas, o come materiale di base per la produzione di prodotti chimici.
Secondo uno studio di Zero Waste Europe del 2019 che sintetizza le principali tecniche di riciclo chimico, tutte le tre tecnologie sono considerate ancora come poco mature.
Il riciclo chimico è sostenibile?
Dal punto di vista normativo manca ancora una chiara definizione di riciclo chimico, che sarebbe importante per differenziare il riciclo chimico plastica-plastica da quello plastica-combustibili. Per esempio l’American Chemistry Council, consorzio statunitense delle aziende petrolchimiche, considera il riciclo chimico come parte delle tecnologie in grado di convertire la plastica post-consumo in combustibili per veicoli. Una considerazione che è in contrasto con la definizione di riciclo dettata dalla normativa europea sui rifiuti.
Vista la mancanza di dati, è difficile dire ad oggi quale sia il vero impatto ambientale del riciclo chimico. Complesso anche compararlo ad altre opzioni di gestione dei rifiuti di plastica, come il riciclo meccanico o il recupero energetico. La scelta più sostenibile dipende dal tipo di rifiuto trattato, ovvero dalla qualità, dalla purezza e dalla presenza di contaminanti. Ci sono anche variabili che dipendono dai diversi tipi di plastica.
La filiera del riciclo chimico è ancora molto giovane dato che la maggior parte degli impianti nel mercato sono ancora in una fase pilota. Si prevede che lo sviluppo di queste tecnologie su scala industriale inizi nel quinquennio 2025- 2030. Per ora gli esperti la vedono come una soluzione promettente, molto utile laddove il riciclo meccanico non dovesse garantire buone performance.
Immagine: Envato Elements