La biologia sintetica, anche detta SynBio, è uno strumento versatile e potente, impiegabile in uno svariato numero di campi e di applicazioni. Il limite risiede nella fantasia del ricercatore o della ricercatrice – e, chiaramente, nei risvolti etici legati all’utilizzo finale del prodotto. Di fatto, la biologia sintetica, per la sua natura multidisciplinare, può essere un’utile alleata nella transizione energetica e nel ripensare i processi industriali in un’ottica circolare.

Modularità e multidisciplinarità alla base della biologia sintetica

Di biologia sintetica si inizia a parlare già nel secolo scorso. Tuttavia, è solo nell’ultimo ventennio che la popolarità della materia ha iniziato a crescere, complici le nuove tecniche di sequenziamento genomico e la fondazione, nel 2005, di iGEMInternational Genetically Engineered Foundation, organizzazione che ha permesso a generazioni di giovani studenti di sviluppare le loro idee e, soprattutto, di creare reti internazionali.
La biologia sintetica può essere vista come un mezzo attraverso cui l’ingegneria genetica si concretizza. In altre parole, il suo obiettivo è implementare ed ottimizzare vie metaboliche già esistenti e crearne di nuove, con una particolare attenzione alla ripetibilità del processo. Gli organismi sono visti come sistemi in grado di svolgere diverse funzioni: ogni funzione è costituita da molteplici parti modulabili ed interconnesse – che in ultima analisi sono geni – che possono essere scomposte e ricomposte per dare vita a nuove funzioni o per migliorare quelle esistenti. La biologia sintetica è, da questo punto di vista, una strategia basata sul concetto di “modularità” che mira ad interpretare e sfruttare le funzioni di un organismo. La forza di questo approccio risiede nella multidisciplinarità della biologia sintetica: fonde nozioni di ingegneria, biologia molecolare, bioinformatica e biotecnologie. Il risultato è un eclettico strumento che permette la creazione di nuovi circuiti. La possibilità di sfruttare organismi – piante e microorganismi – come biofabbriche favorisce l’immaginazione di molteplici ed interessanti scenari. Gli organismi possono essere modificati allo scopo di produrre metaboliti secondari, proteine o farmaci. Inoltre, un organismo può essere ingegnerizzato per aumentare il tasso di riciclo, come, per esempio, nel panorama del biorisanamento.
Oggigiorno, i prodotti della biologia sintetica sono principalmente indirizzati verso i mercati agricolo, farmaceutico e della produzione di sostanze chimiche.

Le piante come biofabbriche: la rivalorizzazione del tabacco in un’ottica circolare

Storicamente, l’Europa ha sempre avuto una visione più scettica rispetto ad Asia e America riguardo l’accettazione e la commercializzazione di OGM, e la sua legislazione lo conferma. Secondo Diego Orzaez – ricercatore al CSIC, Consejo Superior de Investigacion Cientifica, Spagna –, “i controlli previ il rilascio di un organismo modificato in un ambiente non controllato sono positivi e necessari. Tuttavia, è doveroso bilanciare il rischio col potenziale beneficio”.
Le piante possono essere usate come
biofabbriche per la produzione di proteine, come vaccini e anticorpi. La scelta della specie oggetto della modifica genetica viene effettuata sulla base di due principali fattori: la coltivabilità della stessa e il rischio - che deve essere irrilevante – di incroci tra la pianta modificata e la sua controparte selvatica. “La tradizione agronomica dell’area in cui le piante verranno eventualmente introdotte viene presa in considerazione. Infatti, per far si che la pianta produca le molecole di nostro interesse, parametri come umidità e temperatura devono essere tenuti sotto controllo e, pertanto, le piante crescono in serre”, aggiunge il ricercatore. Inoltre, per minimizzare la contaminazione nella catena alimentare, la specie prescelta non deve farne parte – non deve, quindi, essere etichettata come alimento. Di conseguenza, aspetti di natura tecnica, economica e sociale sono esaminati e studiati.
Diego Orzaez è il coordinatore del progetto europeo
Newcotiana, il cui scopo è la rivalorizzazione delle coltivazioni di tabacco in declino attraverso l’ottimizzazione delle stesse. Le piante di tabacco verrebbero indotte a produrre molecole ad alto valore aggiunto in sostituzione della classica nicotina. In merito al progetto, Diego Orzaez dichiara che “Nicotiana benthamiana e Nicotiana tabacum sono le specie scelte per il progetto e modificate con i tools della biologia sintetica al fine di azzerare la produzione di nicotina e produrre molecole di interesse. Le piante modificate verrebbero coltivate in aree a tradizione agricola tabacchiera”. Per rendere il processo il più circolare possibile, le bioraffinerie atte all’estrazione delle proteine di interesse – incluse quelle non di interesse, che verranno indirizzate ad altri scopi industriali – verrebbero costruite in prossimità dell’area di produzione. In aggiunta, la biomassa rimanente sarebbe impiegata nella combustione per la generazione di calore.
In conclusione, il progetto crea prodotti salutari, promuovendo l’economia locale.

Il potenziale dei microorganismi nel campo del riciclo

Così come le piante, anche i microorganismibatteri, lieviti e funghi – possono essere ingegnerizzati per la produzione di molecole ad alto valore aggiunto. Chiaramente, l’approccio è diverso: non ogni proteina può essere prodotta nei microorganismi. Se la proteina, per esempio, necessita di modifiche post trascrizionali simili a quelle che avvengono nei mammiferi, allora questa non può venire prodotta in microorganismi procarioti, come i batteri, ma in organismi in grado di produrre modifiche il più simili possibili, come le piante.
Le
applicazioni della biologia sintetica nel campo del riciclo sono innumerevoli, essendo i microorganismi molto versatili. Possono, infatti, sopravvivere in condizioni estreme e, pertanto, hanno sviluppato diversi pathway metabolici che permettono loro di trarre energia da diversi substrati.
Parlando di riciclo, quindi, queste forme viventi offrono ispirazione e opportunità. La
degradazione della lignina per la produzione di biofuels, ad esempio, è perpetrata da enzimi fungini ottimizzati e prodotti in grandi quantità in lievito. Ancora una volta, la biologia sintetica è essenziale: i lieviti vengono geneticamente modificati per creare cocktail enzimatici indispensabili alla produzione di bioetanolo. Virginia Echavarri-Bravo – postdoc al Louise Horsfall’s lab at University of Edinburgh (United Kingdom) – sottolinea come “gli enzimi possono essere impiegati anche nella valorizzazione della lignina”. Difatti, attraverso gli enzimi, tutte le sostanze oggi prodotte da fonti fossili possono essere sintetizzate dalla biomassa. Di fatto, la versatilità dei microorganismi li rende ottimi partner di laboratorio e ciò avviene anche nel caso del riciclo delle batterie al litio. Virginia Echavarri-Bravo è una delle ricercatrici che studiano come sfruttare i batteri per riciclare il litio e altri metalli rari contenuti nelle batterie. “Il mercato dei veicoli elettrici – spiega – è in espansione, la domanda di batterie è cresciuta e, conseguentemente, ciò si ripercuoterà sulla richiesta di materiali rari”. Attraverso il progetto di ricerca ReLib, che coinvolge 12 partners e 6 Università, il Regno Unito punta a trovare una valida soluzione green a tale richiesta, riducendo così il tasso di importazione dei metalli e promuovendo la circolarità nel settore elettrico.
Ma
come è possibile riciclare batterie al litio usando batteri? “Dopo aver individuato i ceppi più performanti, li si ingegnerizza. Questi sono così in grado di sequestrare gli ioni metallici presenti in soluzione”. In altre parole, tutti quei pathway metabolici che producono come output proteine in grado di sequestrare gli ioni metallici, possono essere ingegnerizzati ed ottimizzati. “A seconda del pathway di sintesi – precisa Echavarri-Bravo – e quindi della natura della proteina, le nanoparticelle metalliche possono essere accumulate a livello intra o extracellulare e possono essere attaccate o meno alla parete batterica”.
L’obbiettivo di
ReLib, supportato dai tools della biologia sintetica, è, dunque, contribuire alla creazione di un’economia circolare per le batterie al litio.

Digi.bio: un passo nel futuro

La biologia sintetica è un concetto molto promettente. Tuttavia, se da un lato la sua versatilità è piuttosto evidente, dall’altro lato lo scale-up industriale non è banale. Federico Muffatto founder and CEO di Digi.bio – elenca tre sfide che la biologia sintetica si troverà ad affrontare nell’immediato futuro. Secondo Muffatto, “la prima sfida è, senza dubbio, sociale. È necessario cambiare il nostro approccio culturale verso gli OGM e, in generale, verso le biotecnologie. Le altre due sfide sono di natura economica tecnica: le tecnologie in grado di produrre un reale scale-up sono costose e, ovviamente, alla base ci deve essere una conscia produzione di strain (frammenti codificanti di DNA) funzionali”. E ingegnerizzare uno strain e creare un pool di cellule che lo contenga è complicato. Al giorno d’oggi, “non ci sono hardware o software capaci di lavorare su larga scala”, prosegue Federico Muffatto. Di conseguenza, il processo di ingegnerizzazione è lento e i ricercatori e le ricercatrici sono costretti a focalizzarsi su uno o più geni alla volta.
Digi.bio prop
one soluzioni nuove e innovative per abbattere il muro dell’automazione e rendere il processo di programmazione cellulare più veloce e controllabile. Muffatto e la sua squadra hanno sviluppato la tecnologia “Lab on a chip”, che si basa sulla microfluidica digitale, e, accoppiata all’intelligenza artificiale e al machine learning, consente la manipolazione simultanea di più campioni, permettendo un approccio olistico in fase d’analisi dati. Il singolo gene perde di importanza a favore delle interazioni. Dunque, l’intelligenza artificiale e il machine learning permettono una comprensione più profonda del sistema cellula e si candidano ad essere due grandi alleati della biologia sintetica, i cui step lavorativi possono essere riassunti in disegnare, costruire e testare.
Enfatizzare le interazioni significa ottimizzare meglio lo strain e, quindi, essere in grado di costruire strains sempre più complessi. Come Federico Muffatto sogna: “piantare un seme e far crescere una casa”.