Sarà che tra sfida e Sfridoo la differenza è in qualche lettera, ma l’avventura in cui i fondatori dell’azienda emiliana Marco Battaglia, Andrea Cavagna e Mario Lazzaroni si sono imbarcati, ormai da qualche anno, è da pionieri: andare oltre il mercato del rifiuto, puntando al mercato digitale della simbiosi industriale. Grazie alla sua piattaforma di matching, Sfridoo sta dimostrando, a suon di casi di successo, che la valorizzazione dei sottoprodotti è possibile.
Vincitrice di numerosi premi a livello nazionale e internazionale, l’azienda emiliana si sta facendo conoscere in Italia per i progetti di simbiosi industriale e scambio di sottoprodotti portati avanti su tutta la penisola e in diversi settori in maniera trasversale. Il tutto avvalendosi di strumenti innovativi che sfruttano la potenza del cloud e delle ultime tecnologie per il settore del waste management.
Per conoscere meglio questa innovativa realtà, nata per dare valore a scarti e cespiti delle aziende italiane, Materia Rinnovabile ha intervistato l’AD di Sfridoo Marco Battaglia.
Nati nel 2017, siete stati tra i pionieri dell’economia circolare in Italia. Cosa vi hanno insegnato i primi anni di Sfridoo?
Abbiamo imparato sul campo, giorno dopo giorno, cosa significa per un’azienda fare simbiosi industriale fino agli elementi più pratici e burocratici come le certificazioni. Abbiamo creato e stiamo creando una suite di piattaforme digitali che concorrono ad aiutare le aziende ad effettuare la transizione. Abbiamo capito che attuare una simbiosi industriale, diffusa sul territorio, è possibile solo attraverso due grandi strumenti: il primo è la piattaforma che abbiamo creato, il secondo sono i facilitatori di simbiosi industriale, vale a dire coloro che hanno il know how, che sanno che quel tipo di residuo, avendo quel tipo di caratteristiche, può andare a finire in quel tipo di processo. Abbiamo scoperto che la simbiosi industriale acquista senso quando c’è un matching cross filiera, una filiera sconosciuta al produttore iniziale, dove i sottoprodotti vanno a confluire. È più facile, naturalmente, trovare aziende che vogliono scartare piuttosto che i serbatoi finali in cui incanalare i sottoprodotti. Ultimamente, però, il mercato si sta muovendo, i prezzi delle materie prime stanno aumentando, le certificazioni di prodotto come il green public procurement stanno sempre più chiedendo dei criteri minimi ambientali, ad esempio la presenza del 5% o del 10% di sottoprodotti. Così, il mercato si sta adattando nel far entrare nel processo i sottoprodotti o una materia prima seconda che deriva da un altro processo.
Da quali settori arrivano le maggiori richieste?
Dal settore metalmeccanico e quello agroalimentare abbiamo al momento i maggiori riscontri così come i maggiori casi di successo chiusi. Le richieste, tuttavia, hanno spesso come elemento centrale la plastica. Le aziende vogliono trovare spesso una strada più virtuosa rispetto a quella attuale, così grazie a Sfridoo un’azienda che fa dolciumi è riuscita a scambiare materiale con un’azienda che fa campi da calcio.
A livello legale, la normativa agevola lo scambio di sottoprodotti o potrebbe fare di più?
La normativa di per sé ha una sua base solida. È comprensibile che per le imprese sia più facile comunicare agli enti preposti che quel tipo di residuo diventa un rifiuto piuttosto che cercare di capire come funziona l’istituto del sottoprodotto. In un colloquio con il Ministero dell’Ambiente abbiamo cercato di capire perché le aziende non sono attratte dal sottoprodotto. In effetti c’è una fase di grande incertezza, alcuni punti non sono chiarissimi, il decreto ministeriale 264/2016 ha cercato di dare delle definizioni alle 4 caratteristiche del sottoprodotto. Tuttavia è fondamentale cominciare a dare degli esempi alle aziende. Qualcuno deve iniziare a fare e a mostrare casi di successo. Anche guardando a come l’Europa ha legiferato, l’Italia ha recepito moltissimo delle direttive europee. La normativa non è un vincolo enorme. Il problema è che quello dei sottoprodotti è un settore ancora nascente, che non ha un grosso mercato. Molto del suo successo dipende dall’imprenditore o imprenditrice e dall’impegno aziendale. Quando l’azienda è decisa, le sinergie si attivano e il vantaggio circolare esiste davvero a livello economico, sia nel risparmio dei costi di smaltimento sia nel guadagno di alcuni euro a tonnellata per materiale scambiato. Queste cifre, risparmiate o guadagnate, possono essere investite in altri processi o marginalità di prodotti. Accanto al vantaggio economico esiste, ovviamente, il tema del risparmio ambientale, vale a dire la CO2 non emessa, e l’impatto sociale con la creazione di posti di lavoro, nati dalla nuova modalità di gestione dei residui aziendali. Con il matching le aziende ottengono un grande vantaggio competitivo tanto che chiedere loro trasparenza diventa difficile, entrando in campo il problema del segreto industriale e dei brevetti. Questo è un grosso limite della simbiosi industriale.
Qual è il futuro delle piattaforme nell’accelerare la transizione verso un’economia circolare?
Vediamo ulteriori possibilità nella creazione di banche dati a cui i facilitatori di simbiosi industriale possono attingere per fare matching tra aziende. Credo che i prossimi sviluppi in questo settore andranno nella direzione della tracciabilità e dell’intelligenza artificiale, legati ai dati che le aziende iniziano a dare alle piattaforme. Il problema dei rifiuti sono i dati. Lo dice anche Google “Waste is a data problem”. Diventano rifiuti in quanto non possiamo avere dati. Le piattaforme che, invece, diamo alle aziende vanno proprio in questa direzione: è cruciale avere dati. Le aziende sanno di avere dei cespiti, ma non ne conoscono la qualità, chi ce l’ha e dove sono dislocati. Tanti aspetti qualitativi dei dati possono essere messi a disposizione. Stiamo cercando di dare risposte nuove alle imprese, e tutto ciò si può fare solo con l’innovazione e con la creazione di banche dati che al momento non ci sono. Non ci sono dati e, se ci sono, sono appannaggio della pubblica amministrazione che, giustamente, come con ENEA in Italia, sta cercando di creare la banca dati degli scarti aziendali. Tracciabilità e blockchain possono aiutare nei matching tra le aziende, ma senza dati non si possono avere casi di successo. Mancando i casi di successo, l’intelligenza artificiale non funziona e la tracciabilità non serve.
Quindi sarebbe necessario un cambiamento normativo?
Piuttosto che cambiare le norme, bisogna trovare i modi per aggirare i vincoli che abbiamo davanti. Si entra, così, nel grande tema della fiducia che la simbiosi industriale pone come base. A Kalundborg, negli anni ’60, non pensavano di fare simbiosi industriale, quello che facevano era solo seguire il buon senso. Anche oggi, basterebbe seguire il buon senso in una fase di aumento dei costi di smaltimento e delle materie prime abbinata ad una diversa sensibilità dei consumattori finali verso la sostenibilità e i prodotti certificati. L’ecosistema sta prendendo piede, ma c’è bisogno di una forte accelerazione. Non so da dove questa possa arrivare. Sono d’accordo con Materia Rinnovabile sul PNNR. Nel momento in cui molti fondi sono andati per la gestione degli impianti di rifiuti, bisognava puntare di più sulla fase di progettazione, sull’ecodesign, sull’utilizzo degli sfridi di lavorazione.
Accanto al marketplace Sfridoo, mettete a disposizione delle aziende anche dei software di gestione?
Mentre Sfridoo è la parte marketplace in cui effettuiamo i matching nelle imprese, Riusoo e Rifiutoo sono dei gestionali veri e propri, nati a supporto delle aziende, che consentono loro di generare il mercato della simbiosi industriale e della materia prima seconda con l’obiettivo di eliminare il tema del rifiuto.
Qual è la differenza tra Riusoo e Rifiutoo?
Rifiutoo è il primo software in Italia creato per la digitalizzazione dei rifiuti. Non è venduto a chi li gestisce, ma alle aziende che li producono. Di solito, queste aziende hanno a che fare con i diversi software dei gestori ambientali, non sanno quale usare perché magari hanno 10 gestori ambientali e 10 piattaforme di supporto diverse. Con Rifiutoo possono avere una sola piattaforma con cui interfacciarsi. Rifiutoo nasce sotto la spinta delle ultime normative sui rifiuti, del pacchetto europeo sull’economia circolare e del decreto legislativo 116/2020 in tema di digitalizzazione dei rifiuti. Anticipa i contenuti del Rentri , il sistema di tracciabilità dei rifiuti italiani, che prenderà il posto del Sistri. Il Rentri, come già avvenuto con la fatturazione elettronica, digitalizzerà i dati sui rifiuti. Rifiutoo aiuta l’azienda in questa transizione, digitalizzando fin da ora i documenti burocratici sui rifiuti.
Riusoo, invece, mette in circolazione i cespiti, gli oggetti aziendali come tablet e smartphone. Ha aspetti quasi da social network: è una sorta di eBay aziendale interno in cui i dipendenti partecipano nella messa in rete di una bacheca interna all’azienda. Rheaply è il clone americano del nostro Riusoo. Rheaply è pensato per i campus universitari, Riusoo per grandi aziende, come il Gruppo Camst, leader della ristorazione, che per prima l’ha adottato su diversi centri di costo.