Progettare e realizzare prodotti sostenibili che alimentino un domani sano, equo e circolare: è l’obiettivo della certificazione Cradle to Cradle Certified, standard globale radicato nei principi di progettazione Cradle to Cradle definiti da William McDonough e Michael Braungart. Da oltre un decennio marchi, designer e produttori di ogni categoria si sono affidati allo standard di prodotto C2C per ottimizzare a lungo termine gli impatti dei propri processi industriali.
Lo scorso 16 marzo è stata rilasciata la versione 4.0 di Cradle to Cradle Certified, lo standard più ambizioso ed attuabile mai realizzato prima che definisce un prodotto in termini di sicurezza, circolarità e responsabilità ambientale e sociale. Per capire di più su come nascono e vengono certificati i prodotti Made for Tomorrow, abbiamo parlato con Christina Raab, vice presidente, responsabile Strategy & Development del Cradle to Cradle Products Innovation Institute, con sede ad Amsterdam.
Perché una versione 4.0? Cosa ha di nuovo rispetto alle versioni precedenti?
Abbiamo rilasciato la nuova versione per essere aggiornati e in linea con le ultime scoperte scientifiche, le migliori pratiche, gli sviluppi industriali e, in generale, con le evoluzioni in ambito circolare e sostenibile. Lo standard precedente era stato rilasciato circa cinque anni fa, era necessario aggiornarlo per rimanere fedeli all’ambizione di essere uno standard leader che punta al futuro. Mentre le cinque categorie dello standard sono rimaste uguali in termini di aree di interesse, c’è stata una ristrutturazione e un ampliamento della loro portata. La categoria Salute dei materiali è stata allineata con i principali regolamenti e standard chimici mondiali e abbiamo introdotto una nuova lista di sostanze chimiche che non sono consentite al di sopra di una certa soglia. È stato rivisto il quadro generale della categoria Circolarità del prodotto con l’introduzione di nuove tematiche come l’approvvigionamento e le infrastrutture circolari. Nella categoria Aria pulita e protezione del clima alcuni requisiti sono stati resi più rigorosi per promuovere davvero l'azione urgente di cui abbiamo bisogno. Il suolo che prima era escluso è stato introdotto in Gestione di acqua e suolo. Infine, la categoria dell'Equità sociale è stata completamente ristrutturata con un approccio di sistema di gestione per gli argomenti sociali e la due diligence che è ora in linea con le linee guida delle Nazioni Unite per il business e i diritti umani. C’è una grande attenzione per l’intera tematica della diversità, equità e inclusione nella società. È un approccio molto olistico che interconnette i temi di circolarità e sostenibilità più rilevanti.
Con chi avete collaborato per aggiornare lo standard?
Abbiamo guardato alle best practices e ai requisiti che ritenevamo cruciali e li abbiamo sviluppati attraverso un processo multi-stakeholder. Abbiamo un comitato direttivo scientifico e un comitato tecnico di esperti provenienti dai diversi gruppi di parti interessate di cui fanno parte le aziende, gli enti governativi e non governativi, le università. Abbiamo avuto diversi gruppi di lavoro tecnici per ogni categoria e processi di consultazione tra cui anche due fasi di consultazione pubblica in cui tutti i cittadini e qualsiasi tipo di organizzazione poteva dare feedback. Tutti potevano inviare commenti in maniera aperta e trasparente anche sul nostro sito web.
Quale dei cinque elementi dello standard a suo avviso è più difficile da raggiungere?
La sfida per le aziende è sicuramente quella di affrontare il percorso verso lo standard in modo olistico. La maggior parte delle aziende sceglie un singolo argomento, una strategia di sostenibilità o un approccio di circolarità, con il nostro standard, invece, è necessario agire in maniera traversale. Ciò rappresenta sicuramente un cambiamento di mentalità per le aziende, un cambiamento culturale su cui è imprescindibile lavorare. Così come è centrale, per raggiungere la certificazione, conoscere a fondo la propria catena di approvvigionamento, si tratta di una vera e propria sfida che le aziende devono superare sia internamente che con i propri partner. Ciò richiede una trasparenza assoluta: è cruciale sapere come i prodotti sono progettati, come lavorano i fornitori, quali materiali sono inseriti nei prodotti. Se non hanno forti partnership con i fornitori o non hanno costruito un rapporto di fiducia a lungo termine, per le aziende è difficile ottenere la trasparenza necessaria per avere una valutazione nello standard e apportare i miglioramenti opportuni. A parte ciò, abbiamo naturalmente alcune aree che sono più impegnative da raggiungere rispetto ad altre. A esempio, la nostra categoria “Salute dei materiali” è leader mondiale per il suo rigore e per la valutazione di ogni singolo prodotto chimico.
Quante sono, ad oggi, le aziende certificate?
Al momento abbiamo una comunità di 450 aziende in tutto il mondo. Queste aziende hanno dimensioni diverse: circa la metà sono aziende di medie dimensioni, il resto sono grandi multinazionali e startup. Anche i settori sono un po’ misti: in primis abbiamo aziende di moda e abbigliamento, seguite da aziende di cosmetici, di prodotti per la cura della persona e per la pulizia di casa. Altro settore rilevante è quello dei materiali da costruzione e per l’interior design. Infine abbiamo il settore degli imballaggi. Valutiamo i dossier che le aziende ci inviano, facciamo controlli e revisioni e assegniamo loro certificazioni su diversi livelli che partono dal bronze per arrivare fino al platinum. Ad ogni modo le aziende che non hanno già iniziato un percorso verso la circolarità non si candidano neanche.
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Come la pandemia da COVID-19 ha influito sulle vostre attività?
Sinceramente la crisi da COVID-19 ha accelerato l'interesse verso la certificazione. Le aziende hanno iniziato a guardare a come possono posizionarsi per il mondo post pandemia, a come possono essere più credibili agli occhi dei clienti e come validare i propri sforzi e progressi. Il rischio di greenwashing è purtroppo molto alto, mentre l’attenzione dei consumatori su questi argomenti è aumentata. Oggi non è più sufficiente fare autodichiarazioni, è necessario un timbro di approvazione.
Qual è il vantaggio principale di Cradle to Cradle Certified rispetto agli altri standard?
Prima di tutto è una certificazione basata sulla scienza, radicata negli sviluppi e nelle scoperte scientifiche. Il secondo vantaggio è la sua natura olistica, non c'è nessun altra certificazione a livello di prodotto che copra questo insieme globale di sostenibilità e circolarità. E poi la reputazione, siamo uno standard di leadership ampiamente considerato.
Quali politiche aiutano ad accelerare l'adozione e la creazione di prodotti C2C?
Nel contesto europeo abbiamo un ambiente molto favorevole. In particolare penso a quattro politiche che aiutano già molto la nostra certificazione: il piano d'azione per l'economia circolare della Commissione europea che guida fortemente il modo in cui dobbiamo ripensare i prodotti e i servizi; la nuova Strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili, perché non si può avere una vera economia circolare se non è sicura; la Nuova agenda dei consumatori che protegge i consumatori europei attraverso una comunicazione chiara e trasparente. Infine, è importante anche la Tassonomia UE per la finanza sostenibile.
Sono elementi preziosi che creano un buon ambiente abilitante. A livello più globale, ciò che ci sta sostenendo molto sono gli appalti pubblici verdi o sostenibili. Tutti i governi hanno le loro politiche di approvvigionamento, tuttavia siamo presenti in molti dei programmi di acquisto preferenziale dei governi come una delle certificazioni accettate e che fa da guida. Anche negli Stati Uniti siamo parte, ad esempio, del programma di acquisto preferenziale dell’Environmental Protection Agency a livello federale.
Quanto è diffusa la Cradle to Cradle Certified nel mondo asiatico?
Abbiamo una buona diffusione nell'Asia meridionale, in India, Bangladesh, Pakistan, ma è principalmente guidata da acquirenti internazionali, soprattutto nell'industria tessile e dell’abbigliamento. La consapevolezza nei Paesi asiatici è in fase di crescita, tuttavia c’è molto lavoro da fare per far capire che l’economia circolare è molto più che semplice riciclo.
Quali saranno i prossimi passi del Cradle to Cradle Products Innovation Institute?
Dobbiamo diffondere questa nuova versione dello standard sul mercato e accrescerne l'impatto. Stiamo puntando a nuovi mercati settoriali specifici, così come a nuove aree geografiche come l’Australia, la Nuova Zelanda, ma anche l'America Latina. Poi ci concentreremo sull’accrescere la consapevolezza dei consumatori riguardo lo standard e la certificazione dei prodotti. La consapevolezza dei consumatori varia da Paese a Paese. Nell'Europa del Nord, ad esempio, dove abbiamo sede, nei Paesi Bassi o in Germania, la consapevolezza è maggiore, nell'Europa meridionale la consapevolezza è in aumento, ma in altri mercati la consapevolezza deve crescere nettamente. Infine, faremo la nostra parte a livello di produzione di documenti, linee guida, tabelle di marcia in questo decennio davvero cruciale.
Ultima domanda: con il problema della scarsità dei materiali e dei metalli rari è possibile creare un prodotto Cradle to Cradle Certified nel mondo dell’elettronica di consumo?
Si tratta di un settore molto difficile a causa dei diversi componenti presenti nei prodotti e della scarsa trasparenza nella filiera produttiva. Tuttavia abbiamo iniziato a lavorare in due direzioni: per le parti elettroniche, ad esempio nel settore automobilistico, abbiamo diversi fornitori che stanno costruendo modelli di servizi attorno alle parti elettroniche. Per l’elettronica di consumo, invece, nei prossimi due o tre mesi certificheremo due aziende, una di altoparlanti e una di cuffie.
Immagine in apertura: CQuest Bio, prodotto certificato con lo standard Cradle to Cradle (fonte c2ccertified.org)