Il Mar Mediterraneo sta cambiando, e come afferma il rapporto del Mediterranean Experts on Climate and Environmental Change (MedECC) presentato a margine della COP29 di Baku, sta cambiando per il peggio. La crisi climatica nel giro di pochi decenni costringerà 20 milioni di persone che oggi abitano le sue coste a spostarsi. Un disastro globale che oltre alle conseguenze di lungo periodo avrà effetti anche a breve, con l’accelerazione dell’erosione e il possibile arretramento di molti metri delle linee costiere.
E la riduzione − in alcuni casi l’annientamento − di chilometri e chilometri lineari di spiagge di sabbia, quelle che fanno la fortuna dell’industria turistica italiana, e che rappresentano iconicamente il paesaggio costiero italiano. Un fenomeno che già oggi è visibilmente in atto, e che ben presto, oltre alle coste piatte dell’Adriatico e del Tirreno, potrebbe − dicono gli esperti − colpire anche le piccole spiagge, in Italia meridionale e in Liguria. La colpevole principale certamente va ricercata nella crisi climatica, ma specie per le aree a monte e valle delle foci e degli estuari dei fiumi italiani ci sono evidenti responsabilità umane, con la riduzione ormai macroscopica dell’apporto di sabbia fin qui assicurato proprio dai fiumi.
La sabbia, spiega Sergio Cappucci, ricercatore e geologo del Laboratorio impatti sul territorio e nei paesi in via di sviluppo dell’ENEA, nasce dalla disgregazione delle rocce sotto l’azione del sole, dell’acqua, del ghiaccio, e viene trasportata dai fiumi verso il mare. “Ma le rocce per natura non sono tutte uguali”, spiega. “Ci sono quelle create dai processi di sedimentazione, quelle di natura vulcanica, quelle di natura metamorfica, e fanno arrivare al mare sabbie con caratteristiche diverse.”
Le cause dell’erosione costiera in Italia
Enzo Pranzini, docente di climatologia e geografia fisica e dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze, racconta il caso dell’Arno, il fiume principale della Toscana. “La sua foce è avanzata di 7 chilometri e mezzo, soprattutto nel Settecento, quando si decise di disboscare drasticamente tutte le montagne dell’Appennino, con un massiccio afflusso di sabbia che ha fatto avanzare la costa almeno fino alla fine dell’Ottocento. Adesso sta tornando, gradualmente, indietro.” Un discorso che vale anche per il Tevere e il Po e per tutti gli altri fiumi importanti d’Italia. Lo stop al disboscamento e all’uso agricolo di quei terreni di montagna ha permesso la ripresa delle foreste (che è una cosa buona) e ridotto di molto l’erosione del suolo nelle aree montane (che è una cosa ottima).
Dall’inizio dell’era industriale, inoltre, altre due cause hanno ridotto a quasi nullo l’apporto di sabbia sulle coste: i prelievi a scopo estrattivo dai fiumi e la costruzione di dighe, bacini e casse di espansione, che tagliano i picchi di piena e il flusso di materiali. L’erosione delle coste sabbiose dell’Italia nel corso degli ultimi decenni si è così propagata da nord verso sud, cancellando secondo un recente rapporto di Legambiente 40 milioni di metri quadrati di spiagge.
Il fenomeno, spiega Pranzini, è più evidente proprio nelle aree contigue ai delta o agli estuari dei fiumi, come appunto verso Cecina e Lucca, Fregene e Torvaianica allo sbocco del Tevere, e poi giù a Sabaudia e al Circeo. Ma lo si vede anche in Adriatico, sia in Romagna che in Abruzzo. “Per molti dei nostri fiumi bisogna tener conto delle tantissime dighe e bacini che sono stati creati negli ultimi decenni”, spiega Pranzini. “Ci sono molti casi studiati che dimostrano chiaramente che la sabbia si ferma dentro alle dighe, e che i due-tre picchi di piena tipici del regime dei nostri fiumi, quelli che assicuravano il trasporto di materiale al mare, hanno ridotto in modo drastico il suo afflusso.” Sabbia che peraltro riempie i bacini a monte delle dighe, e rende anche meno efficienti le centrali idroelettriche dal punto di vista della generazione di energia elettrica. Sarebbe necessario svuotare i bacini di questo materiale litoide, ma per adesso si è fatto poco o nulla su tale fronte”, afferma.
L’importanza della sabbia
In Italia la sabbia si trova nei depositi alluvionali, abbastanza abbondanti nella Pianura Padana. Nelle regioni dove non ce ne sono, dice Francesco Castagna, direttore dell’ANEPLA, l’Associazione nazionale estrattori produttori lapidei e affini di Confindustria, “si utilizza la roccia e la si ‘macina’ in diversi passaggi”. Il sistema di estrazione è basato su concessioni demaniali. Se una volta era prassi normale scavare sabbia e ghiaia (i cosiddetti “aggregati”) dagli alvei dei fiumi, adesso questo non è più possibile, così come è stata regolamentata e di fatto ridotta la possibilità di estrarre la sabbia dal fondo del mare, di cui pure esistono giacimenti intonsi.
Anche perché, chiarisce Cappucci, le grandi dune sottomarine che si trovano al largo delle foci dei grandi fiumi italiani, come il Po, l’Adige, il Tevere e l’Arno, sono state già intaccate tra il 1997 e il 2016, e non è più possibile farlo in modo indiscriminato. “Non si pensa che insieme ai granelli di sabbia vivono batteri e microorganismi che svolgono un ruolo importantissimo, che è alla base della catena alimentare”, puntualizza il ricercatore ENEA.
Le mareggiate sempre più intense che colpiscono due o tre volte l’anno le spiagge − anche fuori stagione − danno il colpo di grazia. Sono causate dall’aumento dell'intensità dell'energia accumulata nel Mediterraneo, a sua volta provocata dal fatto che il riscaldamento dell'area mediterranea è molto più veloce e più elevato del resto d’Europa. Come chiarisce Gabriele Nanni, geografo e responsabile dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, di norma ci interessiamo moltissimo, investendo tempo e risorse, nel ragionare sui problemi della difesa delle coste dall’erosione “normale” e di quella aggravata dal cambiamento climatico, “ma il discorso è molto più complesso e va affrontato in modo organico e globale, pensando al ciclo di vita completo della sabbia, dalla montagna al mare. C’è il prelievo di materiale litoide che si estrae dagli alvei fluviali, dalle cave, dalle spiagge, dai fondali marini al largo, e c’è anche l’effetto dell’antropizzazione e della cementificazione dei fiumi”.
Possibili soluzioni all’erosione
Nel nostro futuro c’è un’Italia di calette e spiagge minuscole? Qualcosa si può fare attraverso i ripascimenti, dice il professor Pranzini, ovvero portando artificialmente il materiale litoide che è venuto a mancare. Ma con i materiali giusti, “perché, se si usa sabbia troppo fine, il mare la porterà prestissimo via”. Per decenni le microcalette della Liguria sono state più o meno preservate grazie allo scarico di materiale edile e scarti di questo genere, estratti da scavi e demolizioni. Materiale che veniva senza troppi complimenti scaricato sui promontori, e poi pulito, arrotondato, selezionato e trasportato sulle spiagge dalle onde. Il (giusto, ovviamente) divieto di queste pratiche non certo rispettose dell’ambiente ha certamente contribuito per certi versi a favorire l’erosione delle coste.
La cosiddetta coastal restoration è possibile, ma, dichiara Sergio Cappucci, bisogna saper scegliere dove e quale sabbia prelevare. “Per anni abbiamo sfruttato i giacimenti delle dune sommerse nei fondali marini, anche a cento metri di profondità, che sono i vecchi apporti accumulati nei millenni dai nostri fiumi, come alla foce del Tevere o nell’Adriatico davanti alla Laguna di Venezia. Sono stati trovati anche altri depositi in Calabria, in Puglia, in Adriatico, in Liguria, in Sicilia, in Sardegna, ma non sono stati ancora sfruttati. C’è anche la possibilità di utilizzare la sabbia che si accumula intorno alle imboccature dei porti, e che viene inevitabilmente sottratta alle spiagge ai lati dei porti stessi, ma quasi sempre viene ‘perduta’, perché essendo inquinata dovremmo pulirla per poterla riusare”. E finisce in discarica, o viene usata per fare le casse di colmata che con altre opere costiere proteggono le infrastrutture. In ogni caso sarebbe comunque uno sforzo imponente sul piano economico e industriale. Per ampliare il porto di Rotterdam in Olanda, per esempio, si sono movimentati 200 milioni di metri cubi di sabbia. In Italia dal dopoguerra sono stati cavati dal mare soltanto 21,5 milioni di metri cubi.
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