Sette anni dopo aver sfiorato il “Day Zero”, quando Cape Town rischiò di restare senza acqua, la città sudafricana è tornata al centro dell’attenzione mondiale. Questa volta non per una crisi, ma per il futuro delle risorse idriche dell’intero continente. Dal 13 al 15 agosto 2025 la città ha infatti ospitato l’African Union–AIP Water Investment Summit 2025, che ha riunito oltre 1.700 delegati, tra cui 38 ministri africani.

Al centro del vertice la Cape Town Declaration, il documento che mette in evidenza un gap di 30 miliardi di dollari l’anno negli investimenti necessari a garantire acqua sicura (SDG6) a milioni di africani e riafferma la necessità di trasformare l’emergenza idrica in un’opportunità di sviluppo.

“Il valore stimato dei potenziali investimenti nella pipeline di progetti presentata al vertice è di circa 10-12 miliardi di dollari di finanziamenti aggiuntivi”, spiega a Materia Rinnovabile Alex Simalabwi, CEO della Global Water Partership (GWP) Organizaztion, principale partner tecnico del summit, ed Executive Secretary del Africa Water Investment Program (AIP). “Questa cifra non include ancora gli impegni e le promesse che saranno raccolti nel prossimo mese. Molti governi devono ancora verificare i dati a livello nazionale prima di caricarli sul portale del sito web del vertice. Ciò dimostra che raggiungere i 30 miliardi entro il 2030 è realistico, poiché questa raccolta è solo quella odierna e mancano ancora circa cinque anni. I finanziamenti sono chiaramente disponibili.”

Perché sbloccare queste risorse

L’African Union–AIP Water Investment Summit si è svolto sotto la prima presidenza africana del G20, avviata nel 2025 con l’assunzione della guida da parte del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, che ha definito il vertice “un momento storico non solo per l'Africa, ma per il movimento globale per l'accesso all'acqua potabile per tutti. Se ci uniamo, l'acqua può diventare non solo un mezzo di sopravvivenza, ma anche un motore di trasformazione economica, innovazione e pace”.

Una ragione su tutte la restituiva l’economista Mariana Mazzucato, special adviser del presidente Ramaphosa per il G20 in un editoriale pubblicato su Project Syndacate a una settimana dall’inizio del Summit di Cape Town: “Con i giovani africani destinati a costituire il 42% della gioventù mondiale entro il 2030, investire nell'acqua equivale a investire nel futuro del mondo. La questione non è se possiamo permetterci di agire, ma se possiamo permetterci di non farlo”.

Citando le stime dell’AIP, Mazzucato, che tra i vari ruoli è co-chair della Global Commission on the Economics of Water, ricordava che ogni dollaro investito in sistemi idrici e sanitari resilienti ai cambiamenti climatici può generare un ritorno di sette. Allo stesso tempo avvertiva però che, troppo spesso, gli investimenti nell’acqua seguono gli stessi errori della finanza climatica e dello sviluppo: si punta a ridurre i rischi per i capitali privati senza garantire benefici pubblici, si finanziano progetti privi di una strategia chiara e si considera l’acqua come un problema tecnico, invece che come una sfida sistemica.

Sfide confermate a Materia rinnovabile anche da Simalabwi: “All'incontro hanno partecipato più di 194 investitori e finanziatori e sono stati presentati oltre 80 progetti provenienti da diversi paesi. Ciò che emerge è che le risorse esistono, ma è necessario rafforzare il contesto favorevole nei paesi affinché possano affluire ulteriori finanziamenti. C'è un capitale significativo pronto, ma i governi devono risolvere gli ostacoli che scoraggiano soprattutto la partecipazione del settore privato. Il business case è forte: c'è un chiaro ritorno sull'investimento nell'acqua come bene infrastrutturale a lungo termine. Ciò rappresenta un'enorme opportunità di investimento nel continente africano”.

Finanza ed ecosistemi idrici come asset

“Il messaggio generale è che l'Africa è aperta agli affari nel settore idrico”, continua Simalabwi. “Questo deve essere un partenariato con i governi, che sono chiamati ad affrontare le preoccupazioni degli investitori e dei finanziatori, le quali includono la regolamentazione, la garanzia che le regole siano eque e trasparenti, e il modello tariffario e di entrate. Le tariffe devono riflettere i costi reali, consentendo al contempo un margine che garantisca un ritorno agli investitori. Questo non dovrebbe essere complicato, soprattutto considerando l'impegno politico dimostrato al vertice dai capi di stato.”

Tra le proposte emerse durante il Summit, Hubert Danso, CEO and Chairman of the Africa Investor (AI) Group, ha suggerito di considerare gli ecosistemi idrici come vere e proprie infrastrutture, con ritorni regolamentati e protezioni simili a quelle di strade o reti energetiche.

“I progetti infrastrutturali indipendenti dovrebbero avere almeno tre ‘offtaker’ diversi − dalle utility all’agrobusiness, dalle assicurazioni alle città − per diversificare i ricavi, ridurre i rischi e renderli accessibili agli investitori istituzionali”, riassumeva Danso su LinkedIn, aggiungendo poi che “è fondamentale inserire l’acqua nei bilanci, utilizzando gli standard IAS 37 e 38 per collegare il riconoscimento degli asset ecosistemici all’upgrade del rating sovrano, ridurre il costo del capitale e permettere contratti di lungo periodo simili a bond a 20-30 anni. Infine, servono strumenti finanziari negoziabili − ETF sull’acqua, Nature-Linked Bonds, Catchment Resilience Funds − già allineati a TNFD, ISSB ed EU Taxonomy per garantire compatibilità con gli investimenti ESG globali.”

Acque sotterranee, un potenziale ancora non esplorato

Secondo dati dell’AIP, la popolazione africana è destinata a crescere fino a 1,6 miliardi entro il 2030, con la necessità di aumentare del 50% la produzione alimentare e di moltiplicare per dieci l’acqua disponibile per la produzione di energia a supporto della modernizzazione economica. Per soddisfare questi bisogni, il continente deve sbloccare il proprio potenziale attraverso investimenti innovativi e intersettoriali nell’acqua, riducendo le inefficienze: nonostante vaste risorse di acque sotterranee, solo il 5% dell’irrigazione utilizza queste riserve, che potrebbero essere sfruttate anche grazie a pompe alimentate a energia solare.

Secondo un recente report del Transnational Institute, esperienze come quella della Siwa Oasis in Egitto mostrano però come l’uso combinato di acque fossili e energia solare, pur sostenendo l’agricoltura intensiva, sollevi dubbi su sostenibilità, giustizia ambientale e futuro delle comunità locali. Come evitare quindi la contraddizione?

“La parola chiave è regolamentazione”, continua Simalabwi. “Alcuni paesi, come il Botswana o la Namibia, hanno pochissimi fiumi. Lo stesso vale per la Somalia e gran parte del Sahel, dove la risorsa primaria è l'acqua sotterranea, e per le zone costiere, l'oceano. In questi casi, una corretta regolamentazione del settore è essenziale. Le regole devono essere chiare e le politiche devono impedire l'eccessivo sfruttamento, che è responsabilità dei governi. Ci sono molti esempi in tutto il mondo di paesi che dipendono dalle acque sotterranee e alcuni addirittura dalla desalinizzazione. L'Arabia Saudita, che ha partecipato alla conferenza, dipende solo dalle acque sotterranee e dall'oceano. Anche gli Emirati Arabi Uniti dipendono principalmente dall'oceano, attingendo alle acque sotterranee solo quando necessario, ma entrambi i paesi hanno sviluppato una tecnologia di desalinizzazione che ora è molto più economica e ampiamente disponibile.”

Il ruolo della cooperazione, anche quella italiana del Piano Mattei

Al Summit di Cape Town erano presenti anche delegazioni da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Barbados, Paesi Bassi, Regno Unito e Italia. “La maggior parte dei progetti presentati riguarda due tematiche fondamentali”, spiega a Materia Rinnovabile Francesco Corvaro, inviato speciale per il clima del governo italiano. “La prima è il recupero delle acque reflue, un problema enorme per molti paesi. Anche nel nostro Piano Mattei lavoriamo su questo aspetto. Il recupero delle acque reflue ha una duplice valenza: non solo permette di riutilizzare l’acqua, ma risponde anche a criticità sanitarie come il colera. Il secondo grande tema riguarda l’innovazione e l’uso di nuove tecnologie, in particolare per l’individuazione e lo sfruttamento delle falde d’acqua profonde. Sono stato chiamato a intervenire proprio su questo punto, parlando dell’impatto delle nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, nella ricerca e nell’utilizzo di questa risorsa.”

Tra i progetti presentati anche quelli del Piano Mattei per l’Africa, come il Tanit Project in Tunisia, che riguarda il recupero di un grande bacino destinato allo stoccaggio dell’acqua, o il Lake Boye Restoration e Jimma Urban Regeneration in Etiopia.

“C’è poi un terzo intervento, in Congo, che riguarda la gestione delle acque reflue della capitale Brazzavile, proprio per il recupero dell’acqua e la riduzione dei rischi di infezioni derivanti da una cattiva gestione dei reflui”, aggiunge Corvaro, ricordando come “l’Arabia Saudita sarà uno dei protagonisti del settore idrico nei prossimi anni, insieme all’Italia, che nell’ottobre dell’anno prossimo ospiterà il primo Forum internazionale del Mediterraneo, esteso ai paesi europei. Stiamo collaborando con i sauditi affinché questo forum diventi anche per loro un’occasione di lancio del loro World Water Forum nel 2026.”

Cosa succede ora? Gli step verso e oltre COP30

Per quanto riguarda i prossimi passi del Summit di Cape Town, invece, “l’intenzione è di mantenere un dialogo costante con il governo sudafricano, idealmente su base annuale, per riunire paesi e progetti e monitorarne l’avanzamento”, conclude Simalabwi. “L’obiettivo è verificare cosa è stato realizzato sui circa 80 progetti presentati, se ne emergono di nuovi e quali iniziative stanno prendendo i governi per facilitare il finanziamento delle infrastrutture idriche.”

Il follow-up concordato mira anche a far adottare la Cape Town Declaration in diversi forum. “Il primo sarà l’Africa Finance Summit, in programma a ottobre in Angola sotto la presidenza del capo di stato angolano nonché presidente dell’Unione Africana. A seguire, l’African Climate Summit ad Addis Abeba, in Etiopia. Infine, la dichiarazione sarà portata all’attenzione dei leader del G20 a novembre in Sudafrica, con il sostegno del governo sudafricano e dell’Unione Europea, e successivamente sarà oggetto di ulteriori follow-up alla COP in Brasile.”

 

In copertina: foto di Global Water Partnership Southern Africa via Flickr