Causa crisi climatica, stiamo vivendo estati sempre più instabili da un punto di vista meteorologico. In pochi giorni si è passati dal caldo storico di Milano a un’inaspettata neve d’agosto a Sestriere. Neve arrivata d’estate, ma che potrebbe mancare d’inverno se non si tagliano drasticamente le emissioni da combustibili fossili.
Aumentano le emissioni di gas serra, diminuisce la neve
A sostenerlo è un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, che avverte l’industria del turismo sciistica italiana ed europea: se le emissioni globali di gas serra saranno ridotte solo nella misura indicata dalle politiche climatiche attuali, il 100% delle piste italiane e il 91% di quelle europee saranno compromesse senza l'innevamento artificiale.
Analizzando oltre 2.000 impianti, lo studio rileva che, se la temperatura globale aumentasse di 3°C rispetto all’epoca preindustriale – scenario previsto per questo secolo con le attuali politiche di mitigazione –, la penuria di innevamento invernale potrebbe presentarsi con maggior frequenza rispetto al passato: una volta ogni due anni.
Anche attraverso innevamento artificiale, circa la metà delle stazioni sciistiche europee si troverebbe in difficolta con lo scenario climatico dei 3°C. Inoltre, essendo una pratica ad alto consumo energetico e idrico, con il raggiungimento dell'obiettivo dell'Accordo di Parigi (+1,5°C) la percentuale degli impianti che invece si salverebbero grazie alla neve artificiale si abbasserebbe al 17%.
Lo studio
"Questo studio evidenzia che in tutte le regioni montane d'Europa i futuri cambiamenti climatici porteranno a un degrado delle condizioni della neve nelle stazioni sciistiche rispetto agli ultimi decenni, anche se le conseguenze saranno diverse da regione a regione”, ha dichiarato Samuel Morin, ricercatore del Météo-France e del CNRS di Tolosa e Grenoble. “Questo non significa la fine immediata del turismo sciistico in Europa, ma condizioni sempre più difficili per tutte le stazioni sciistiche, alcune delle quali arriveranno, nel giro di qualche decennio, a un'offerta di neve criticamente bassa per poter operare così come la conosciamo attualmente”.
Se dovesse verificarsi una riduzione più rapida delle emissioni ‒ raggiungendo la neutralità più velocemente di quanto previsto ‒ rimarrebbero aperte molte più stazioni sciistiche. Infatti, con un aumento della temperatura limitato a 1,5°C, solo il 32% degli impianti sarebbe ad alto rischio, percentuale che potrebbe essere ridotta al 14-26% con l'innevamento programmato.
Impronta idrica ed energetica della neve artificiale
Gli autori osservano che, sebbene la creazione di neve artificiale possa consentire ad alcune località di rimanere aperte, aumenterebbe la domanda di acqua ed elettricità, incrementando ulteriormente le emissioni di carbonio. Lo studio ha valutato l'impronta idrica ed elettrica dell'innevamento e l'impronta di carbonio associata, che dipende da come viene generata l'elettricità nel Paese.
Le proiezioni indicano un aumento complessivo della domanda annuale di acqua a seconda di scenari di riscaldamento globale e valori nazionali differenti. Si passa da +8% a +25% con uno scenario 2 °C, mentre da +14% a +42% con un aumento di temperatura a 4 °C. Valori variabili riguardano anche la domanda totale di elettricità che, si prevede, potrebbe crescere anche del 24% (con uno scenario di +4 °C riscaldamento globale). Gli autori avvertono inoltre che l'innevamento non sarà sempre in grado di far fronte all'aumento delle temperature.
"Per bassi livelli di riscaldamento globale, l'innevamento artificiale porta a un miglioramento delle condizioni di neve nelle stazioni sciistiche, tranne quando la situazione è già compromessa”, ha detto Hugues François, ricercatore dell'INRAE di Grenoble e autore principale dello studio. “Per livelli di riscaldamento più elevati, il guadagno in termini di affidabilità della neve non è sempre garantito, soprattutto al di sopra del 50% di copertura frazionata dell'innevamento, e avviene a scapito di un aumento della domanda di acqua".
Anidride carbonica, impianti italiani tra i produttori maggiori
L’innevamento combina una domanda d’acqua relativamente elevata con un consumo energetico ad alta intensità carbonica. La carbon footprint di uno sciatore varia tra 0,01 e 2,3 per kg di anidride carbonica equivalente. Tra i Paesi europei analizzati, proprio le stazioni sciistiche italiane causano uno degli impatti maggiori sia per consumo d’acqua che per emissioni.
Per un turismo sciistico che ospita più di 1 milione di sciatori all'anno e che offre lavoro a un'ampia gamma di persone che vivono nelle aree montane, la sfida del settore è quello di ridurre l’impronta ambientale a adattarsi più velocemente possibile ad inverni sempre meno nevosi.
Immagine: Xue Guangjian, Pexels