Condanne esemplari per il maxi processo “Ambiente svenduto” legato alla vicenda dell’ex Ilva di Taranto. Dopo 5 anni e quasi 300 udienze, arriva oggi, lunedì 31 maggio 2021, la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Taranto: i fratelli Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'acciaieria, sono stati condannati rispettivamente a 22 e 20 anni di carcere; 21 anni e sei mesi per l’ex responsabile della relazioni esterne del gruppo Girolamo Archinà e 21 anni anche per l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso. Riconosciuti colpevoli inoltre gli amministratori pubblici in carica negli anni presi in esame: condanna a 3 anni e mezzo di reclusione per l’ex presidente della Puglia Nichi Vendola, 3 per l’ex presidente della Provincia Gianni Florido e altrettanti per l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva.
La Corte ha poi disposto la confisca dell’area a caldo e delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva Forni Elettrici.
Tutte le accuse del maxi processo
“Una sentenza storica”, dichiara a caldo Legambiente, che era tra le parti civili in aula e che da anni si batte per il riconoscimento dei danni ambientali e alla salute pubblica causati dalla mala gestione di quella che era la più grande acciaieria d’Europa.
Il processo, che ha preso in esame il periodo fra il 1995 e il 2013, ha visto coinvolte 44 persone e tre società. Tra i capi d’accusa presentati dalla Procura, che aveva chiesto complessivamente condanne per quasi quattro secoli, ci sono associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La Corte d’Assise ha inoltre riconosciuto un legame tra politica e imprenditoria, stabilendo pene esemplari anche per gli ex amministratori pubblici dell’epoca. Primo fra tutti l’ex presidente della Regione Nichi Vendola, accusato di aver esercitato pressioni sull’Arpa, l’agenzia per l’ambiente, per “ammorbidirne” la posizione nei confronti delle irregolarità dell’Ilva (condannato a 2 anni anche l’ex direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato).
I pm avevano chiesto alla Corte di non prendere in considerazione attenuanti, parlando di una “gestione criminale” dell’acciaieria. Tra le accuse puntuali mosse ad alcuni degli imputati, c’è quella di aver procurato un “gravissimo pericolo per la salute pubblica” e di aver causato “eventi di malattia e morte”. Si parla poi di sversamento di emissioni diffuse, contaminazione di suolo, avvelenamento di bestiame e di specie marine.
“Questa sentenza – dichiarano in una nota congiunta il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, il direttore regionale Ruggero Ronzulli e la presidente del circolo tarantino Lunetta Franco - certifica che nel capoluogo ionico c'è stato un disastro ambientale, causato dalla proprietà dell’impianto. Un disastro che la nostra associazione cominciò a denunciare già negli anni ‘80 quando lo stabilimento era ancora pubblico, e che ha procurato tanti malati e morti tra dipendenti e cittadini. Una sentenza così pesante conferma la solidità, da noi sempre evidenziata, delle perizie epidemiologica e chimica disposte dal gip Todisco. Con questa sentenza di primo grado possiamo dire che eco giustizia è fatta e che mai più si deve barattare la vita delle persone con il profitto ottenuto nel totale disprezzo delle leggi”.
Idrogeno verde per il futuro dell’ex Ilva Taranto
Rimane ora aperta la questione del futuro del polo industriale di Taranto. Fatta salva - come ha sottolineato di recente Legambiente - la necessità di una valutazione integrata dell'impatto ambientale e sanitario (VIIIAS) di qualsiasi progetto si decida di avallare, la riconversione dell’ex Ilva potrebbe diventare l’occasione per creare un polo dell’acciaio verde all’altezza dei più innovativi impianti europei.
"Noi crediamo che, se si vuol mantenere una produzione di acciaio, sia prioritaria a Taranto la costruzione del forno elettrico e la realizzazione di un polo dell'idrogeno verde, che comprenda un impianto sperimentale che utilizzi l'idrogeno per produrre acciaio in maniera davvero pulita", hanno dichiarato Stefano Ciafani, Lunetta Franco e il presidente di Legambiente Puglia Francesco Tarantini. "Pensare che in un futuro non troppo lontano l'industria dell'acciaio possa essere ancora dominata dal ciclo integrale del carbone è del tutto miope – concludono - Anche per Taranto è tempo di orientarsi verso modelli produttivi industriali sostenibili, in linea con gli obiettivi europei."