Presto o tardi doveva succedere. Per la prima volta un giudice italiano ha emesso un’ordinanza cautelare in materia di greenwashing. Il 25 novembre scorso il Tribunale di Gorizia ha infatti accolto il ricorso d’urgenza presentato dalla società milanese Alcantara per fermare la comunicazione green di Miko, azienda colpevole di aver gonfiato le affermazioni sui benefici ambientali del prodotto “Dinamica”. Il caso, che vede coinvolte due società del settore tessile, è tra i primi in Europa e potrebbe fare scuola.
Il Tribunale ha riconosciuto che “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore”, aggiungendo che “le dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”. Ma non è questa la maggiore novità. L’utilizzo della tutela cautelare nella lotta all’ecologismo di facciata sposta il paradigma dalla ricerca del risarcimento alla prevenzione del danno. Logica che ispira anche altre soluzioni offerte dal diritto.
Un’ordinanza storica contro il greenwashing
Eco friendly, fatto con materiale riciclato, biodegradabile. Questi sono solo alcuni dei green claims che le aziende usano per comunicare il vantaggio ambientale dei loro prodotti e servizi. La sostenibilità vende e i consumatori acquistano. Ma quanto spesso la legittima fiducia di questi ultimi è tradita?
Nel gennaio scorso la Commissione europea e le autorità nazionali di tutela dei consumatori hanno pubblicato i risultati di un’indagine a tappeto volta a individuare violazioni del diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori nei mercati online. Tenendo conto di vari fattori, nel 42% dei casi le autorità hanno avuto motivo di ritenere che l'affermazione potesse essere falsa o ingannevole e potesse potenzialmente configurare una pratica commerciale sleale.
Ed è proprio una disputa commerciale quella decisa dal Tribunale di Gorizia. Con un’ordinanza cautelare (R.G. 2021/712) il giudice ha ordinato a Miko la cessazione della diffusione dei seguenti claims: “La prima microfibra sostenibile e riciclabile”, “100% riciclabile”, “Riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80%”, “Amica dell’ambiente”, “Scelta naturale” e “Microfibra ecologica” e di “informazioni non verificabili ed ingannevoli sul contenuto di materiale riciclato del prodotto”. Il provvedimento, che ha riconosciuto le ragioni della concorrente Alcantara, ha inoltre previsto la pubblicazione della decisione sul sito di Miko, l’invio dell’ordinanza ad alcuni clienti della stessa e una sanzione pecuniaria.
Emerge così l’essenza dei provvedimenti d’urgenza ex art.700 cpc, la cui ratio è quella di anticipare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito in via ordinaria, impedendo quanto prima un pregiudizio imminente, irreparabile a non altrimenti risarcibile. Come la perdita di una quota di mercato. Oppure – e solo come indiretta conseguenza dell’uso della tutela cautelare contro il fenomeno del greenwashing – un danno all’ambiente. Il caso potrebbe fare giurisprudenza, ma è bene ricordare che l’ipocrisia verde si può combattere anche con altri strumenti.
Anticipare la tutela è imperativo
“L’ordinanza del Tribunale di Gorizia è stata salutata come un punto di svolta nella pratica di green marketing in Italia. Di norma la valutazione della comunicazione ambientale e della correttezza dei claims viene fatta ex post, cioè dopo che il messaggio pubblicitario ha raggiunto i consumatori”, spiega a Materia Rinnovabile Claudia Chiozzotto, esperta di ambiente di Altroconsumo.
Riducendo i tempi necessari ad ottenere un provvedimento del giudice ordinario o dell’Antitrust, la tutela cautelare può infatti limitare il numero di potenziali clienti vittime di greenwashing. Il fenomeno è globale. Per la Commissione UE questa è una delle priorità della nuova agenda dei consumatori, considerati vettori della transizione ecologica. Nel Regno Unito, a ottobre, la Competition and Markets Authority ha invece pubblicato il Green Claims Code. Si tratta di linee guida che evidenziano sei principi di comportamento per aiutare le aziende a comprendere e rispettare i loro obblighi in materia di dichiarazioni ambientali. Stessa via sta per percorrere l’Antitrust americana, che rivedrà le sue “green guides” nel 2022. Tuttavia, authorities e legislatori potrebbero presto arricchire il contenuto delle loro disposizioni.
“Per quanto riguarda i green claims noi saremmo a favore di uno schema di pre-approvazione, così come già avviene per i claims salutistici su integratori e prodotti alimentari - continua Chiozzotto - È un percorso lungo perché prevede la redazione di una lista di ciò che può essere o non essere dichiarato per le diverse tipologie di beni. L'organismo più idoneo a fare questa valutazione generale potrebbe essere proprio l'Agenzia europea per l'ambiente.” La logica è quella di anticipare il momento della tutela, in ottica preventiva, facilitando l’adesione volontaria delle aziende. Grossomodo come capita in materia di ecolabelling con alcune delle norme tecniche dell’International Standard Organisation (ISO 14024 , ISO 14021, ISO 14025). C’è poi un altro esempio che dimostra come il contrasto al greenwashing non passi necessariamente dalla repressione.
L’Autodisciplina Pubblicitaria
“I green claims devono essere consentiti perché l'impegno delle imprese che hanno realizzato concreti e significativi risultati per la tutela ambientale deve essere premiato”, afferma Vincenzo Guggino, Segretario Generale presso l’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria. “I sistemi di autodisciplina sono stati riconosciuti dall'Unione europea già nei primi anni Ottanta e sono risultati vincenti. A differenza della legge, hanno una velocità di aggiornamento e una speditezza procedurale che consente di bloccare i messaggi scorretti in pochissimo tempo e alla luce di norme molto chiare. E ciò è fondamentale nell’era digitale. In Italia, tutti i big spender della comunicazione commerciale aderiscono al Codice di Autodisciplina, che è un sistema volontaristico, ma a cui la Cassazione riconosce il rango di regola di correttezza professionale. Le autodiscipline potrebbero pertanto formare una prima forma di filtro, lasciando allo Stato la possibilità di intervenire in un secondo momento nel caso in cui non si ottemperi alla decisione disciplinare o i soggetti interessati preferiscano promuovere un giudizio ordinario”. L’articolo 12, la norma che il Codice di autodisciplina dedica alla tutela dell’ambiente naturale, già oggi prevede che la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale debba basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Inoltre, secondo la disposizione, i claims devono consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto i benefici vantati si riferiscano.
In conclusione, volendo però diradare le nebbie del tecnicismo, si può gettare luce su un’ulteriore linea di difesa preventiva nella lotta al greenwashing. Come afferma Chiozzotto “l’empowerment del consumatore non deve trasformarsi in una spinta all'acquisto del prodotto più ecologico. Il consumatore dovrebbe chiedere di far durare di più i prodotti, provvedere di più alla loro manutenzione e al riciclo. Ed è bene ricordare una cosa: l’acquisto più ecologico è quello che non facciamo.”