La guerra non è ancora vinta, ma un’altra battaglia è andata a buon fine. Con il voto dello scorso 25 novembre al Parlamento Europeo, la campagna per il diritto alla riparazione ha messo a segno un punto importante. Superando le divisioni politiche, gli europarlamentari hanno infatti approvato il report sui prodotti sostenibili presentato dal francese David Cormand del partito dei Verdi: un documento che contiene fondamentali novità per contrastare l’obsolescenza prematura dei prodotti elettrici ed elettronici e per allungarne la vita utile.
Del resto, “Rendere i prodotti sostenibili la norma in Europa” è una delle priorità della nuova Commissione europea e un caposaldo del Green Deal. E ora la Commissione ha il pieno appoggio del Parlamento per proseguire sulla strada del diritto a riparare. Ma non è ancora finita e la coalizione Right to Repair, che riunisce 38 organizzazioni da 15 paesi europei, tiene gli occhi aperti sulle prossime mosse.
Una vittoria per la coalizione Right to Repair
“La vittoria arriva dopo settimane di opposizione da parte di conservatori e liberali, che avevano tentato di annacquare la versione originale e più ambiziosa della relazione”, raccontano i membri della coalizione Right to Repair. Tentativo per fortuna fallito, e che del resto sarebbe andato contro la chiarissima volontà dei cittadini europei, il 79% dei quali, secondo l’Eurobarometro, ritiene che i produttori dovrebbero essere obbligati per legge a facilitare la riparabilità dei dispositivi.
I punti contesi erano essenzialmente due, come spiega Ugo Vallauri, co-fondatore di Restart project, che insieme all’EEB- European Environmental Bureau, guida la campagna Right to Repair. “Si trattava di due emendamenti della Commissione Mercato Interno (IMCO) che rischiavano di ridurre le ambizioni di legislazione europea sul diritto alla riparazione in due modi. Per prima cosa, non rendendo obbligatorie le etichette con il cosiddetto punteggio di riparabilità, ma consentendone l'implementazione solo su base volontaria. In secondo luogo, focalizzandosi sulla prevenzione o sanzione dei soli casi di ‘obsolescenza programmata’, cioè quelli in cui determinati componenti riducono la durata di un prodotto, e lasciando fuori i casi molto più diffusi di ‘obsolescenza prematura’, in cui sono le scelte delle case produttrici, come la mancanza di supporto software o l’assenza di pezzi di ricambio, a ridurre arbitrariamente la vita di un dispositivo”. I due emendamenti non sono passati, racconta Vallauri, grazie alla spaccatura all'interno del gruppo dei liberali di Renew, che hanno in parte appoggiato le misure insieme a Verdi e Social Democratici.
“Forte di questo slancio, la Commissione europea dovrà ora andare avanti rapidamente nel 2021 e approvare l’indice di riparabilità per tutti i dispositivi elettronici”, conclude Chloe Mikolajczak, campaigner di Right to Repair.
Cos’è l’indice di riparabilità
Di indice o punteggio di riparabilità – ovvero di un sistema di etichette che renda immediatamente percepibile ai consumatori il grado di riparabilità di un prodotto - si parla ormai da qualche tempo. Già nel 2019 la Commissione europea, affiancata dal Joint Research Centre, aveva lavorato sul tema. Si dovrà aspettare, tuttavia, il secondo trimestre del 2021 prima che venga ripreso il discorso.
Per il momento, però, ci si può fare un’idea di cosa si tratti guardando alla Francia, dove da gennaio entrerà in vigore il primo indice di riparabilità in Europa. Si tratta di un vero e proprio punteggio, su una scala da 1 a 10, che verrà stampato sull’etichetta energetica di cinque categorie di prodotti: smartphone, computer portatili, televisori, lavatrici e tagliaerba. Il punteggio viene assegnato sulla base di criteri come le informazioni fornite dalla casa produttrice (manuali di istruzione, schemi tecnici, ecc.), la facilità di disassemblaggio, la disponibilità dei pezzi di ricambio e il rapporto fra il loro prezzo e quello del prodotto intero. “Quest’ultimo – sottolinea Vallauri – è un criterio di valutazione molto importante, in quanto i produttori giocano spesso sulla non convenienza dei ricambi per scoraggiare la riparazione”.
“Ancora non possiamo dire quanto l’indice di riparabilità europeo somiglierà a quello francese – continua – ma ci auguriamo che in versione europea diventi uno strumento verificato da terze parti e non calcolato direttamente dai produttori. Considerato anche che questa insistenza sulle etichette di riparabilità fa parte di un più ampio impegno a migliorare la trasparenza dell’informazione e a ridurre i tentativi di greenwashing da parte delle aziende”.
Le prossime tappe verso il diritto alla riparazione
“La votazione di questa relazione, nonostante fosse una delle tante, è stata molto importante perché rischiava di indebolire le richieste e tutto il percorso fatto sin qui. - commenta Ugo Vallauri - Per fortuna non è accaduto e questo rafforza il mandato della Commissione sul diritto alla riparazione. Certo ci vorrà ancora del tempo...”.
Il lavoro legislativo della Commissione europea, causa Covid, è stato posticipato al secondo trimestre del 2021 e per allora, presumibilmente, arriverà la proposta di legge vera e propria. “Con probabile corollario di proteste delle associazioni di categoria dei produttori”, aggiunge Vallauri.
La tappa più ravvicinata, ora, è l’entrata in vigore a gennaio 2021 della nuova Direttiva Ecodesign, che contiene una serie di norme sulla reperibilità dei pezzi di ricambio (per quanti anni i produttori dovranno renderli disponibili) e sul cosiddetto “registro dei riparatori”, ovvero le persone o organizzazioni autorizzate a mettere le mani sui dispositivi da aggiustare. Quest’ultima faccenda è particolarmente spinosa, perché determinerà di fatto quanto le aziende saranno obbligate a diffondere manuali e informazioni sui loro prodotti. “I regolamenti lasciano una certa libertà ai singoli paesi – spiega Vallauri - Uno stato membro può decidere di introdurre un registro dei riparatori e di usare questo come modo per stabilire chi ha accesso a cosa, includendo ad esempio anche ecocentri e associazioni. In Italia non ci risulta che questo dispositivo esista e chiediamo che il MiSE chiarisca le proprie intenzioni al più presto. In assenza di un registro, infatti, il regolamento Ecodesign prevede che siano le case produttrici a decidere se accettare o meno la richiesta di accesso a pezzi di ricambio e manuali e questo potrebbe potenzialmente ridurre i casi in cui i prodotti vengono effettivamente riparati”. I regolamenti, inoltre, avallando motivi di sicurezza, distinguono tra riparatori professionisti e amatoriali/consumatori. Cosa che ovviamente non piace alla coalizione Right to Repair, che invece si batte, come dice Vallauri, “per un diritto universale, perché tutti, senza discriminazione, possano avere accesso a ricambi e manuali”. E perché ogni oggetto rotto abbia una chance di essere riparato.