Lo stato di New York ha compiuto uno storico passo nel settore dell’economia circolare approvando il Digital Fair Repair Act, una legge che dà diritto ai cittadini di riparare i propri smartphone, tablet e computer. Per anni, i sostenitori del diritto alla riparazione hanno invocato una legge di questo tipo, sostenendo che riparare i propri device non solo avrebbe comportato un risparmio in termini economici ma anche ambientali. Fino a giugno 2022, mese in cui è stata approvata la prima versione del Digital Fair Repair Act con 145 voti positivi contro una sola bocciatura, la maggior parte delle proposte di legge era fallita a causa dell’intensa opposizione da parte delle aziende tecnologiche, intenzionate a dire la loro pure sul tema del riciclo.
Questa volta l’industria tecnologica è stata colta di sorpresa ma è riuscita a trovare un escamotage per intervenire a proprio favore. Infatti, tra il voto dello stato federale e la firma apposta del governatore Kathy Hochul sono passati sei mesi, un tempo sufficiente ai lobbisti per richiedere e ottenere una serie di modifiche tali da annacquare la legge. Così, mentre la legge è stata salutata come un traguardo vittorioso nel campo dell’economia circolare, in realtà il testo più vicino alle richieste delle corporations limita di molto l’accesso ai pezzi di ricambio e agli strumenti da parte di consumatori e negozi.
Il potere delle lobby e le modifiche al Repair Act
La nuova versione della legge prevede che il diritto alla riparazione si applichi solamente per i dispositivi prodotti dopo la prima metà del 2023. Già questo basta per affossare molte buone intenzioni della legge, dal momento che tutti i device prodotti fino a oggi non saranno contemplati dal provvedimento. Non solo, ma il diritto di riparazione non si applica nemmeno ai dispositivi aziendali né a quelli usati dai dipendenti pubblici.
Le modifiche dimostrano il potere delle lobby: l’organizzazione Repair.org ha messo a disposizione della testata americana Grist la bozza della legge originale e le varie email corrisposte tra le parti chiamate in causa durante la sua discussione. Mettendo a confronto la bozza primaria con quella firmata da Hochul, si arriva alla conclusione che le modifiche sono esattamente quelle proposte da TechNet, associazione di categoria che include Apple, Google, Samsung, HP e altri brand.
I lobbisti avrebbero inoltre incontrato diverse volte di persona la governatrice Hochul tra giugno e dicembre. Come riporta Grist, Microsoft ha ammorbidito il suo approccio al tema della riparazione, mentre Apple (che già negli anni ha sempre interferito sul tema anche in altri stati, adducendo a motivazioni legate alla proprietà intellettuale e problemi di sicurezza) e Ibm avrebbero chiesto alla governatrice di porre il veto al disegno di legge. Quando è apparso chiaro a tutti che non si potesse porre il veto, allora è arrivata la versione editata da TechNet.
Big Tech vuole il monopolio delle riparazioni
Per anni, le aziende tecnologiche come Apple hanno di fatto monopolizzato la riparazione dei propri dispositivi limitando l'accesso a ricambi, strumenti e manuali a “partner autorizzati”, che spesso eseguono solo un numero limitato di riparazioni, appunto, autorizzate dal produttore.
Tali limitazioni costringono i consumatori a scegliere se continuare a utilizzare un dispositivo rotto o comprarne uno nuovo di zecca. È vero, ci sono anche i dispositivi ricondizionati, ma tale scelta comporta comunque il doversi “liberare” di uno smartphone o un device che magari necessita solamente di piccoli interventi.
L’intenzione del Digital Fair Repair Act nello stato di New York era invece estendere il diritto alla riparazione a più soggetti. Il Senato dello stato di New York deve ancora votare l’adozione della legge, quindi ci sarebbe ancora qualche flebile speranza di cambiare le cose.
Il modello della Francia: dall’indice di riparabilità a quello di durabilità
Nel 2023 il numero di utenti di smartphone nel mondo è salito a 6,92 miliardi, il che significa che l'86% della popolazione mondiale possiede uno smartphone, 90% se consideriamo anche i telefoni cellulari non smartphone. Ogni anno nel mondo ne vengono venduti oltre 1,4 miliardi, che hanno una vita media stimata tra i 2 e 3 anni.
È facile immaginare la montagna enorme di telefoni in disuso che si accumula non solo nelle nostre case, ma soprattutto in depositi e discariche di tutto il mondo. Senza contare il resto dei dispositivi elettronici. In Europa, alcuni obiettivi per ridurre i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) sono stati raggiunti: l’ultimo di questi riguarda l’approvazione del caricabatterie universale, la cui adozione entrerà in vigore entro il 2024. Ma per raggiungere un accordo su questo ci sono voluti 13 anni e anche qui le lobby hanno avuto il loro “peso”.
Lo stato che sembra stia lavorando in maniera più “indipendente” rimane la Francia, dove dal 1° gennaio 2021 è entrato in vigore l’indice di riparabilità, obbligatorio non solo per i telefoni ma anche per computer portatili, televisori, tosaerba, lavacristalli, lavatrici, lavastoviglie, aspirapolvere, idropulitrici. I venditori sono obbligati a esporre il punteggio dell'indice vicino al prezzo sullo scaffale dei negozi fisici e su tutte le pagine che consentono l'acquisto del prodotto in questione nel caso di e-commerce.
La novità è che, entro il 2024, l’indice francese verrà irrobustito attraverso una serie di criteri diventando un “indice di durabilità”. Una decisione che rafforzerà la posizione dei consumatori ma che potrà avere effetti anche sulle scelte di marketing da parte delle aziende tecnologiche.
Immagine: Envato Elements