L’Italia è uno dei paesi europei leader del biologico sia per superficie coltivata che per valore di mercato. Secondo dati Eurostat, dei complessivi 15,9 milioni di ettari coltivati con metodi biologici in Europa i tre quinti sono concentrati in quattro paesi: Francia (17,4%), Spagna (16,6%), Italia (13,7%) e Germania (10,1%).

La percentuale di campi biologici in Italia è quasi del 17% sul totale delle aree coltivate, quasi il doppio della media UE. Al di là degli ettari coltivati, è aumentato anche il valore di mercato. Secondo l'indagine World of Organic Agriculture, le vendite al dettaglio di prodotti biologici in Europa sono cresciute del 15% nel 2022 per un valore di 52 miliardi di euro.

Ciò significa che l'Unione Europea (con 44,8 miliardi di euro) è il secondo mercato mondiale per i prodotti biologici dopo gli Stati Uniti (49,5 miliardi di euro). La crescita delle vendite di prodotti biologici è stata particolarmente forte durante la pandemia di Covid-19, intesa come conseguenza di una maggiore attenzione dei consumatori alle questioni di salute e di un maggiore consumo di cibo a casa. Gli attuali sviluppi economici, come l'inflazione alimentare, tuttavia, stando influenzando il potere d'acquisto dei consumatori europei e incidono sulla domanda di prodotti biologici. 

La riforma del sistema di certificazione del biologico

In tale contesto, lo scorso settembre FederBio, federazione nazionale nata nel 1992 per iniziativa di organizzazioni di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica, ha accolto con favore l’iniziativa del Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Luigi D’Eramo che, insieme ai presidenti delle Commissioni agricoltura del Senato Luca De Carlo e della Camera Mirco Carloni, ha avviato un momento di confronto sulla riforma del sistema di certificazione dei prodotti biologici con le organizzazioni di rappresentanza del settore.

Obiettivo dell’incontro è stato quello di analizzare lo schema di Decreto legislativo sul tema, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso agosto, che sta iniziando l’iter di discussione in conferenza Stato Regioni e nelle Commissioni parlamentari.

In rappresentanza delle organizzazioni nazionali e regionali di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica e dei servizi, FederBio aveva già diffuso a luglio 2023 un documento di visione su una riforma del sistema di certificazione, in linea con la delega al Governo contenuta nella Legge 23/2022 sull’agricoltura biologica. 

La proposta di FederBio

I punti cardine della proposta riguardano le necessità, secondo Federbio, di istituire un sistema unico di certificazione per procedure, tariffari, formazione del personale, scambio di informazioni e gestione delle non conformità, e quindi di rivedere il sistema di delega e di relazione fra autorità competente e organismi di certificazione.

Al centro della riforma proposta vi è anche l’attuazione di una transizione digitale del sistema di certificazione attraverso l’utilizzo del fascicolo grafico in ambito SIAN e piattaforme digitali a sistema per lo scambio e la validazione dei dati e delle informazioni relativi al sistema di certificazione, puntando alla completa digitalizzazione.

Federbio propone di puntare alla formazione, al miglioramento dell’autocontrollo e al supporto per gli operatori semplificando in maniera radicale gli adempimenti anche per favorire forme organizzate in ambito filiera o territoriale (distretti biologici).

Infine, la federazione considera necessaria una revisione della delega agli organismi di certificazione privati basata sulle nuove normative europee in materia di controlli ufficiali di alimenti e mangimi. Sono, infatti, numerosi i reati di frode che vedono importanti quantità di prodotti agroalimentari spacciati come biologici.

Come ha dichiarato Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio, si avverte "la necessità di una riforma coraggiosa in linea con il nuovo quadro normativo europeo in materia di controlli. Crediamo fondamentale riorganizzare l’intero funzionamento del sistema di certificazione, utilizzando le tecnologie informatiche per un’operatività e un coordinamento effettivo ed efficace di tutti gli attori pubblici e privati. Occorre, inoltre, puntare a una reale semplificazione e riduzione di costi per gli operatori”.

In foto: Paolo Carnemolla, Segretario generale FederBio

La nuova PAC, Politica agricola comune

Semplificazione, innovazione e trasparenza possono essere strumenti importanti per raggiungere, entro il 2030, uno dei target di carattere ambientale prefisso dall’Unione Europea: la conversione di almeno il 25% delle superfici agricole europee al regime di produzione biologica. A tale scopo il Piano strategico nazionale per la Politica agricola comune (PAC) 2023-2027 mette a disposizione degli imprenditori agricoli 2,1 miliardi di euro per mantenere le coltivazioni biologiche o convertire ulteriori ettari. I fondi servono a compensare le minori rese nella fase di transizione o i maggiori costi sostenuti dai produttori.

Per accedere ai contributi le aziende agricole devono partecipare ai bandi regionali dell’Intervento SRA29 (Pagamento al fine di adottare e mantenere pratiche e metodi di produzione biologica) dei Complementi di sviluppo rurale (gli ex PSR), attivato da tutte le Regioni, che prevede un pagamento annuale a ettaro a favore degli agricoltori che si impegnano a convertire e a mantenere le superfici coltivate ad agricoltura biologica.

La PAC, in effetti, rappresenta al momento il principale strumento politico dell'UE per garantire un approvvigionamento alimentare stabile, salvaguardare il reddito degli agricoltori e proteggere l'ambiente. Entrata in vigore dal 1° gennaio 2023, per cinque anni la nuova PAC regolerà il settore agricolo in tutti i paesi membri dell’UE.

Gli Ecoschemi PAC in Italia

Tra le novità più rilevanti della nuova Pac ci sono gli ecoschemi: in aggiunta ai pagamenti di base per ettaro, infatti, ce ne sarà uno ulteriore per gli agricoltori che osservano determinate pratiche virtuose per l’ambiente, identificate dai governi. Attraverso il suo Piano strategico nazionale, l’Italia ne ha identificati cinque.

Sono previsti ecoschemi quale strumento per far fronte ai cambiamenti climatici e premiare gli agricoltori che scelgono di assumere volontariamente impegni aggiuntivi indirizzati alla sostenibilità ambientale e climatica. Gli ecoschemi offrono aiuti diretti, ad esempio, per la salvaguardia degli ulivi di particolare valore paesaggistico (eco schema 3), misure specifiche per gli impollinatori (ecoschema 5), oppure pagamenti per la riduzione della resistenza antimicrobica e per il benessere animale (ecoschema 1) e per l'inerbimento delle colture arboree (ecoschema 2).

L’ecoschema 2, in particolare, punta a espandere le superfici erbose in determinati periodi dell’anno con l’obiettivo di ridurre l’erosione del suolo, incrementare la biodiversità e la resilienza delle piante circostanti e accumulare acqua e nutrienti per le piante stesse.

Oltre le certificazioni: l’agricoltura rigenerativa

Al di là delle certificazioni e in assenza di una definizione univoca ‒ al momento si propone come un continuum ‒, il concetto di agricoltura rigenerativa sta coinvolgendo con successo la comunità agricola, l'industria alimentare e i responsabili politici nell’adozione di un approccio all'agricoltura che utilizza la conservazione del suolo come punto di ingresso per rigenerare e contribuire alla produzione di cibo e altri servizi ecosistemici.

In effetti, l’agricoltura rigenerativa offre una delle maggiori opportunità per aiutare l'Europa ad affrontare il problema della salute umana e del clima, oltre al benessere finanziario degli agricoltori. La salute del suolo e l’incremento del topsoil (vale a dire lo strato più superficiale del terreno) sono le priorità principali dell’agricoltura rigenerativa, un sistema di pratiche e principi agricoli che aumenta la salute dell’ecosistema, migliorando i nutrienti nei cibi.

Le pratiche di agricoltura rigenerativa sono uno strumento per mitigare il cambiamento climatico, contrastare l’erosione del suolo, trattenere l’acqua e i nutrienti e favorire la sicurezza alimentare.

L’agricoltura rigenerativa in dollari

Oltre a ridurre le emissioni, aumentare la materia organica del suolo e sequestrare CO₂, secondo Project Drawdown, le pratiche di agricoltura rigenerativa potrebbero valere un risparmio di costi operativi di 2,3-3,5 trilioni di dollari e un guadagno netto di 135-206 miliardi di dollari a fronte di un investimento iniziale di 79-116 miliardi di dollari. Che ci siano margini di miglioramento e di investimento è largamente riconosciuto dalla stessa Farm to Fork Strategy della Commissione europea così come dalla Ellen MacArthur Foundation.

Quest’ultima vede opportunità di investimento nei percorsi di educazione e formazione rivolti ai membri dell’industria agricola, ai consumatori e agli agricoltori oltre che negli strumenti e nelle tecnologie al fine di creare mercati resilienti per il cibo coltivato in maniera rigenerativa.

 

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