“Gli Stati Uniti e la Cina sono impegnati a cooperare tra loro e con altri paesi per affrontare la crisi climatica, che deve essere affrontata con la serietà e l'urgenza che richiede”. Con queste parole si apre la dichiarazione congiunta del 15 aprile dopo l’incontro a Shanghai tra John Kerry, l'inviato statunitense per il clima, e il delegato cinese Xie Zhenhua. Nonostante l’acuirsi delle tensioni su molteplici fronti, i due Paesi che emettono più anidride carbonica del pianeta promettono sforzi congiunti per raggiungere quanto prima la neutralità climatica. Una cooperazione che arriva proprio mentre i leader mondiali si preparano per un vertice virtuale sul cambiamento climatico organizzato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Al summit di due giorni, che inizia il 22 aprile in occasione della Giornata Mondiale della Terra, sono stati invitati 40 leader, tra cui il presidente cinese Xi Jinping. Secondo fonti del Washington Post, gli Usa potrebbero inoltre approfittare della platea globale per annunciare un nuovo, ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni del 50% al 2030 (rispetto alla baseline del 2005).
Passi in avanti, ma la Cina continua a investire sul carbone
“Si sono registrati sicuramente dei miglioramenti- conferma Luca Bergamaschi Co-Founder del Think Tank ECCO – rispetto agli ultimi mesi di tensione. Mostra che la questione del cambiamento climatico è una problematica collettiva e multilaterale e attraverso il faro dell’accordo di Parigi i due Paesi possono vedere la luce della cooperazione”. Entrambi i paesi - si legge nel patto - intendono sviluppare entro la COP26 di Glasgow le rispettive strategie a lungo termine volte alla riduzione di emissioni di gas serra implementato anche la riduzione graduale della produzione e del consumo di idrofluorocarburi presente nell'emendamento di Kigali al protocollo di Montreal.
John Kerry ha riferito ai media che nessuno vuole puntare il dito contro nessuno, ma è chiaro che che la Cina è il Paese più dipendente a livello energetico dal carbone e deve affrettarsi per raggiungere gli obbiettivi degli accodi di Parigi". I toni sono quelli del dialogo e della cooperazione che inevitabilmente mirano ad azioni multilaterali – ribaditi dalla United Nations Framework Convention on Climate Change e dall'accordo di Parigi - poiché senza un concreta riduzione delle emissioni cinesi, gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura medie al di sotto dei 1,5°C saranno vani. “La Cina non era mai stata così esplicita nel riconoscere la dipendenza del carbone – aggiunge Luca Bergamaschi - ma è ovvio che ci si aspetta di più perché la Cina sta continuando a costruire centrali a carbone”.
Decarbonizzazione della Cina: obbiettivo raggiungibile entro 2050
“Per un grande paese con 1,4 miliardi di persone, questi obiettivi non sono facilmente realizzabili – aveva detto il vice ministro degli esteri cinese Le Yucheng durante un'intervista all'Associated Press - Alcuni paesi chiedono alla Cina di raggiungere gli obiettivi prima, ma temo che non sia molto realistico". La Cina è attualmente responsabile di quasi il 30% delle emissioni globali di anidride carbonica. Puntare a zero emissioni entro il 2060 è un obiettivo ambizioso che manifesta l'impegno di Pechino a trasformare la sua enorme economia allontanandosi dai combustibili fossili. “Con le capacità organizzativa che possiede, La Cina potrebbe puntare ad una completa decarbonizzazione già entro il 2050 – prosegue Bergamaschi - perché primeggia nella produzione di batterie e nel settore fotovoltaico. Ha tutte le carte in regola per fare il salto verso le energie rinnovabili, cosa che in Italia non abbiamo dal momento che siamo passati dal carbone al gas, eredità molto pesante da dismettere”. Accompagnare attraverso politiche sociali la transizione è la vera sfida che dovrà affrontare presidente della Repubblica popolare cinese. “Uno dei problemi di Xi Jiping è di riuscire a creare quelle condizioni di occupazione e stabilità sociale in quelle regioni che sono economicamente dipendenti dalla carbone.
Nonostante i conflitti è tempo di competere
I rapporti conflittuali tra Cina e Usa che scaturiscono dalla sempre più attuale guerra tecnologica, dalla spinosa questione sui diritti umani e dagli scontri sui dazi commerciali, potrebbero influenzare anche le trattative sul clima. “Sia l’Europa che gli Stati Uniti non possono chiudere un occhio su problematiche importanti come i diritti umani, devono lavorare su questi temi parallelamente al piano climatico. L’approccio della politica estera americana è molto esclusivo e talvolta conflittuale che non aiuta sicuramente, quello europeo è più idoneo”. Cooperazione su investimenti, tecnologie e clima sono la ricetta secondo il co-founder del think tank ECCO che attiveranno una prosperosa competitività. “Se la Cina vuole vendere le turbine a carbone nel continente africano, è un problema di tutti. Ci deve essere una cooperazione di sviluppo anche nei Paesi terzi con obbiettivi di azzeramento di emissioni che stimoli una competitività di mercato più equa possibile”.
Di cosa si parla al summit
Il vertice è una tappa fondamentale sulla roadmap che porta alla COP26 di questo novembre a Glasgow ed è progettato per aumentare le possibilità di risultati significativi sull'azione globale per il clima. Riunirà il forum delle principali economie (MEF) sull'energia e il clima permettendo ai 40 leader invitati di intervenire su quattro temi principali: ambizione, tecnologia, finanza e adattamento. “Ci aspettiamo inoltre l’aumento delle ambizioni da parte di Stati Uniti, Canada, Giappone e Corea del Sud – conclude Bergamaschi – e vedremo se l’Italia porterà impegni nuovi”. Sarà la prima uscita di internazionale di del premier Mario Draghi sul clima.