La lotta al consumo di plastica monouso non è mai stata tanto difficile quanto negli ultimi due anni. Con il diffondersi della pandemia di Covid-19, la fame di plastica del mondo (umano) si è trasformata da incosciente dipendenza a necessità imprescindibile.
Resistente, leggera, economica, igienica, la plastica è da sempre la migliore opzione per dispositivi medici monouso e di protezione personale, i cosiddetti PPE, ovvero mascherine, guanti e visiere. Il loro utilizzo, prima molto limitato, è ovviamente cresciuto in modo esponenziale durante l’emergenza sanitaria, tanto da essere già arrivati a produrre, globalmente, più di 8 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica legati alla pandemia. Lo ha calcolato uno studio appena pubblicato dal PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA), che lancia un nuovo allarme per gli oceani: di tutta la plastica generata dalla pandemia, già 26mila tonnellate sono infatti finite in mare.

La pandemia della plastica monouso

Lo studio, redatto da ricercatori dell’Università di Nanjing in collaborazione con l’Università della California, dimostra chiaramente come l’emergenza Covid-19 abbia fatto aumentare esponenzialmente la domanda di plastica monouso, gravando su un problema già fuori controllo. Il team di ricercatori, guidati dai cinesi Yiming Peng e Peipei Wu, ha calcolato che fino al 23 agosto 2021, in 193 paesi, sono stati generati 8,4 milioni di tonnellate di rifiuti plastici legati alla pandemia, dei quali circa 26mila tonnellate sarebbero finite negli oceani.
Secondo le stime, il grosso di questa produzione di rifiuti arriva dagli ospedali (il 73%), ma nel conto la ricerca ha incluso anche l’aumento di packaging dovuto all’impennata del commercio online registrata durante i vari lockdown nel mondo.

Dagli ospedali agli oceani, via fiume

Il problema fondamentale – spiegano i ricercatori - è che lo smaltimento e il trattamento di questi rifiuti non tiene il passo con la crescita abnorme della loro produzione. Soprattutto in quei paesi che, anche se meno colpiti dal virus, avevano già problemi di gestione dei flussi di plastica. Lo dimostra il confronto dei dati: dei 212 milioni di casi di Covid-19 confermati a fine agosto, la percentuale più alta (47,6%) era nelle Americhe, circa il 31% in Asia e il 17% in Europa, ma il 46% dei rifiuti plastici non correttamente smaltiti e trattati, e che finiscono nell’ambiente, arriva dall’Asia, a cui seguono l’Europa con il 24% e il Nord e Sud America con il 22%. L’alta percentuale dei paesi asiatici è dovuta anche all’uso massiccio di mascherine facciali da parte della popolazione, abitudine diffusa già prima del Covid soprattutto nelle grandi (e inquinate) metropoli. Globalmente, il grosso della plastica monouso dispersa nell’ambiente arriva tuttavia dagli ospedali.
“Questo costituisce un grave problema di lungo periodo per gli ecosistemi marini”, scrivono i ricercatori. Dall’inizio della pandemia,
migliaia di tonnellate di mascherine, guanti, visiere e kit per i tamponi sono finite nei 369 maggiori sistemi fluviali del mondo e da qui negli oceani. I tre grandi fiumi che fino ad ora hanno accumulato e trasportato la maggior quantità di rifiuti plastici legati al Covid si trovano in Asia e sono lo Shatt al Arab (5200 tonnellate), l’Indo (4000 tonnellate) e lo Yangtze (3700 tonnellate). Seguono il sistema fluviale formato da Gange e Brahmaputra (2400 tonnellate) e un fiume europeo, il Danubio, che ha finora trasportato 1700 tonnellate di rifiuti plastici generati dalla pandemia. Globalmente, il 73% del carico di questi rifiuti che finisce in mare è trasportato dai grandi corsi d’acqua dell’Asia.

Dall’emergenza sanitaria a quella della plastica monouso

Se è vero che l’emergenza pandemica è almeno in parte rientrata, non lo è e non lo sarà a breve quella della plastica utilizzata per i dispositivi sanitari. Le misure di protezione e contenimento, come è facilmente prevedibile, andranno ancora avanti per un bel po’ di tempo. I ricercatori di Nanjing e di San Diego hanno fatto qualche previsione a riguardo: entro la fine del 2021, scrivono, i casi di Covid-19 confermati raggiungeranno almeno i 280 milioni e il totale dei rifiuti in plastica non trattati arriverà a 11 milioni di tonnellate, di cui 34mila saranno riversate dai fiumi nell’oceano. Si tratta di stime conservative, ammoniscono gli autori dello studio: ad esempio, per quanto riguarda il consumo di mascherine facciali, i numeri considerati sono decisamente inferiori rispetto a un’altra ricerca pubblicata lo scorso luglio.
In ogni caso la questione non può più essere ignorata, visto che, oltre ai consueti e ormai conosciuti problemi di inquinamento, questo tipo di rifiuti sanitari porta inediti rischi per la salute, tra cui la possibile ulteriore diffusione del virus SARS-Cov2 in mare.
È
tempo, insomma, di preoccuparsi di come gestire anche la pandemia di plastica monouso