Secondo le stime della Ellen MacArthur Foundation, ogni secondo l’equivalente di un camion pieno di vestiti viene gettato in discarica o incenerito. L’industria della moda globale continua a crescere, ma solo l’1% del tessile viene effettivamente riciclato. Un trend che deve essere invertito, ridisegnando un nuovo fashion system secondo le coordinate dell’economia circolare.

Reinventare unindustria della moda che sia bella, fuori e dentro. È questo l’obiettivo dell’ambizioso programma della Ellen MacArthur Foundation per rendere il fashion system più circolare e sostenibile. Si parla di un settore di proporzioni enormi, che globalmente impiega oltre 300 milioni di persone ed è in continua crescita: si stima che solo negli ultimi 15 anni la produzione di abbigliamento sia raddoppiata, spinta dallo sviluppo della classe media ma soprattutto dal trend inarrestabile della fast fashion. Secondo una proiezione della stessa Fondazione, andando avanti di questo passo il mercato del tessile raggiungerà quota 160 milioni di tonnellate nel 2050.
Più abiti prodotti e venduti significa più abiti dismessi, inutilizzati, buttati, accatastati nei magazzini, sepolti nelle discariche, bruciati negli inceneritori. Con tutte le ovvie ricadute in termini di inquinamento, impronta di carbonio, consumo di risorse e di energia. Ma anche spreco di valore economico: si calcola che, globalmente,
i consumatori perdano l’equivalente di 460 miliardi di dollari ogni anno buttando via vestiti che potrebbero ancora essere usati. Un valore che può essere recuperato e uno spreco che va evitato. Come? Cambiando sistema. Anzi, ridisegnando completamente, secondo le coordinate dell’economia circolare, l’attuale fashion system.
Ne abbiamo parlato con
Marilyn Martinez, project manager per il Fashion Team della Ellen MacArthur Foundation.

MarilynMartinez

La Ellen MacArthur Foundation ha un vasto programma per rendere circolare la moda, ma questo settore sembra essere particolarmente difficile da trasformare in un'industria più sostenibile e rigenerativa. Quali sono le principali problematiche da affrontare?
Beh, penso che la moda sia difficile come qualsiasi altro settore. Sappiamo che l'industria della moda è per lo più lineare, come abbiamo svelato nel report A New Textile Economy del 2017. In quel rapporto si diceva che il 97% dei materiali proviene da risorse vergini finite e meno dell'1% viene riciclato per farne altri vestiti; inoltre, negli ultimi 15 anni la produzione di abbigliamento è raddoppiata e la media di utilizzo per ogni capo è diminuita del 36%, il che vuol dire che, ad oggi, circa ogni secondo un camion pieno di vestiti viene gettato in discarica o incenerito. Secondo dati del 2018, l'industria della moda è responsabile di circa il 4% delle emissioni di gas serra, che equivale alle emissioni annue combinate di Francia, Germania e Regno Unito. È perciò fondamentale trasformare il modello economico in senso circolare. Nella nostra visione di un'industria della moda circolare, i vestiti vengono usati di più, sono fatti per essere ri-fabbricati e sono realizzati con materiali sicuri, rinnovabili o riciclati. Questo è ciò per cui lavoriamo. Non è semplice, poiché si tratta di trasformare l'intero sistema, non bastano dei miglioramenti incrementali. Ad esempio, passare dall’energia prodotta da fonti fossili all'energia rinnovabile è un miglioramento incrementale; ridurre al minimo la quantità di sostanze chimiche nel processo di tintura dei vestiti è un miglioramento incrementale. Ma in realtà ciò di cui abbiamo bisogno è una riprogettazione, un re-design dell'intero sistema: tutto ciò che viene prodotto dovrebbe essere realizzato con i materiali giusti per essere durevole; tutti i capi dovrebbero essere immessi sul mercato attraverso modelli di business circolari che li mantengano in circolazione e, quando giungono alla fine della loro vita utile, dovrebbero essere raccolti, selezionati e riciclati in modo economicamente e tecnicamente sostenibile. Trattandosi di un'industria globale, la riprogettazione dell'intero sistema deve avvenire su scala globale.

Tra le parole chiave della strategia per una moda circolare c’è l’espressione “catturare l'intero valore”. Cosa significa?
Per fabbricare un prodotto, ad esempio una maglietta, è necessario prima di tutto coltivare il cotone, e per farlo bisogna usare terra e acqua; poi bisogna lavorare il cotone e inserirlo nel ciclo manifatturiero. Tutte questi passaggi richiedono l’utilizzo di molte risorse naturali ed economiche, che sono così racchiuse in quella maglietta. Quindi se viene indossata solo una decina volte - che è quel che avviene in certi casi in Europa o negli Stati Uniti - e poi viene gettata via per finire in discarica, l'intero valore non verrà catturato. Non si sfrutta il valore delle risorse utilizzate per produrre la maglietta e probabilmente nemmeno il valore pagato per acquistarla. Il punto allora è: come possiamo effettivamente mantenere quella maglietta al suo valore massimo in modo che venga utilizzata di più e non diventi uno spreco? Quali processi devono essere attivati per garantire che i capi vengano indossati di più, prima di essere riciclati?
Le
attuali filiere della moda sono state pensate e avviate circa 20 anni fa per un mercato che non esiste più. Sono progettate secondo logiche lineari per flussi unidirezionali, in cui è l’industria che dice alle persone cosa dovrebbero acquistare e quando. L'intero sistema è stato costruito per ridurre al minimo il costo di produzione di un singolo articolo, piuttosto che ottimizzarne l’uso e cercare di massimizzare il riutilizzo locale e globale. Quindi, catturare l'intero valore significa chiedersi: come possiamo ridisegnare il sistema in modo che l'industria della moda generi effettivamente più entrate senza fabbricare più prodotti? come possiamo creare più flussi di entrate per un singolo prodotto e catturare il pieno valore dei prodotti che già esistono?

Arriviamo così ai nuovi modelli di business che costituiscono i pilastri di un sistema circolare: noleggio, vendita di seconda mano, riparazione, ri-fabbricazione. In che modo possono essere redditizi per l'industria?
Semplicemente perché si basano sulla consapevolezza che il business as usual non funziona a lungo termine. Un'economia lineare si basa sull'estrazione di risorse vergini limitate per realizzare prodotti che non saranno utilizzati a lungo e finiranno in discarica o inceneriti. Ma visto che le risorse sono limitate, è chiaro che non si può crescere indefinitamente. Quindi il punto è trovare un modo per generare più entrate senza bisogno di fabbricare più prodotti. I modelli di business circolari, come la vendita dell’usato, il noleggio o la riparazione, consentono alle aziende di creare più flussi di entrate per prodotto, in modo da disaccoppiare efficacemente la crescita dall'estrazione di risorse vergini limitate. Si vende un capo, poi si generano entrate attraverso i servizi di riparazione per quello stesso capo oppure rivendendolo altre volte nel caso il primo acquirente non lo voglia più. L’obiettivo, insomma, è ottenere più transazioni finanziarie per uno stesso prodotto, moltiplicandone la resa.

Il nuovo libro realizzato dalla Fondazione - “Circular Design for Fashion” - raccoglie contributi di leader del settore e designer famosi. Qual è il punto di vista dell'industria della moda sulla transizione circolare?
La transizione circolare è in realtà una questione di logica economica e di buon senso. Si tratta di creare un modello economico migliore per una crescita migliore del settore. Tutti coloro che hanno contribuito al volume “Circular Design for Fashion” vedono il design circolare come un'opportunità per l'industria di prosperare in futuro, ovvero di continuare a generare entrate visto che, come ho spiegato, se non cambiamo il modo di produrre e consumare, in 5-10 anni non saremo più in grado di crescere tanto quanto stiamo facendo oggi.
Per realizzare questo libro abbiamo parlato con molti creativi che in questo momento stanno cercando di trasformare l'industria della moda da una delle principali cause di problemi globali come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità in una parte della soluzione. Si chiedono, insomma, come sia possibile applicare questi principi nel loro lavoro quotidiano, in modo da contribuire direttamente a risolvere i problemi attraverso i prodotti che immettono sul mercato. È una nuova pratica trasformativa che diventerà presto lo standard nei processi creativi di design.

Come definiamo dunque il design circolare?
Partiamo dal fatto che tutto si basa sul design, visto che è necessario progettare il prodotto, i processi, il sistema, tutto. Quando parliamo di design circolare, quindi, non intendiamo solo la progettazione di prodotti durevoli, fatti con materiali riciclati o pensati per la riciclabilità. Il design circolare va oltre il design di prodotto, si tratta di un cambiamento radicale del sistema. Si tratta letteralmente di ridisegnare il sistema avendo in mente i principi cardine dell’economia circolare, ovvero Eliminate, Circulate, Regenerate: eliminare l’idea di rifiuto, far circolare le risorse, rigenerare l’ambiente.
Tutte le persone che hanno contribuito al libro, circa 80 creativi e designer, raccontano cosa significa per loro il design circolare. Quello che emerge è che si tratta di un viaggio e di una pratica collaborativa. È
un modo diverso di pensare: si collabora, si testano i risultati e si ripetono quelli buoni. Ed è un viaggio perché ciò che è possibile oggi è diverso da ciò che sarà possibile fra tre o cinque anni. Gli obiettivi continueranno a spostarsi un po’ più in là e noi continueremo a inseguirli e a migliorare.

Immagine: Keagan Henman (Unsplash)

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