Con l’aumento delle tensioni geopolitiche e la conseguente corsa dei titoli legati alla difesa, l’interesse del mercato verso i criteri ESG, dopo i record raggiunti durante la pandemia di Covid-19, è andato gradualmente diminuendo, tanto che il 2023 ha fatto registrare per la prima volta una riduzione, pari a 2,5 miliardi di dollari, del flusso globale dei fondi sostenibili (fa eccezione l’Europa, con flussi netti positivi).

Una fase di rallentamento, che potrà servire da stimolo a migliorare gli aspetti criticabili: già da tempo si discute della necessità di maggiore trasparenza, adattamento e semplificazione per un settore caratterizzato dalla proliferazione dei provider che forniscono i rating, ciascuno con le proprie metriche, per un totale di circa 600 standard diversi.

Il Regno Unito verso una legge sui rating ESG

A questo obiettivo, oltre all’UE, lavora anche il Regno Unito, che il prossimo anno presenterà un disegno di legge per regolamentare le agenzie che valutano le prestazioni ambientali, sociali e di governance: lo ha annunciato Rachel Reeves, Cancelliera dello Scacchiere (antico titolo per il Ministero delle finanze), prima donna ad assumere questo ruolo lo scorso luglio, quando il Partito Laburista ha stravinto le elezioni. L’obiettivo è “ottenere finanziamenti per le aziende migliori, più innovative e più sostenibili, liberando così il potenziale del paese”, ha spiegato durante il suo recente tour a Toronto, dove ha incontrato i responsabili del settore fondi pensione canadese e ha discusso di investimenti in energia pulita con Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra, come scrive il Financial Times.

Al momento in UK manca un sistema di controllo su come le organizzazioni creano i criteri ESG e valutano di conseguenza le aziende: dato che i rating influenzano quali azioni e obbligazioni vengono inserite nei fondi di investimento commercializzati come sostenibili, secondo Reeves una maggiore chiarezza aiuterebbe la crescita della finanza green britannica, mentre la permanenza di criteri considerati opachi potrebbe portare a disinvestimenti ingiustificati. Sarà la Financial Conduct Authority, il principale organismo di regolamentazione finanziaria d’Oltremanica, a fissare le regole del nuovo regime, a cui si potrebbe poi affiancare un nuovo watchdog, ovvero un ente di controllo (letteralmente: cane da guardia), per verificarne la corretta applicazione.

Rating ESG, Regno Unito e UE a confronto

La Cancelliera porta avanti un ​​lavoro già avviato nel marzo 2023 dal suo predecessore, il conservatore Jeremy Hunt, che però non aveva ancora presentato un progetto quando il suo partito è stato sconfitto alle urne. L’idea è quella di allineare la legislazione britannica sulle agenzie di rating ESG alle raccomandazioni internazionali, in particolare al sistema creato dall’Unione Europea, che si sta muovendo rapidamente verso un rinnovamento del quadro normativo, mentre negli Stati Uniti, oltre alla mancanza di una regolamentazione incisiva, è in corso una crociata da parte repubblicana contro i fondi sostenibili, con il rischio che un nuovo mandato di Trump possa spingere le aziende, anche quelle che avevano fatto grandi passi avanti, come JPMorgan, a tirarsi indietro.

L’iniziativa britannica “va nella giusta direzione, già tracciata dall’Unione Europea con l’accordo sul Regolamento sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance”, spiega a Materia Rinnovabile Giancarlo Giudici, professore ordinario di corporate finance al Politecnico di Milano - School of Management. Secondo le nuove norme, le agenzie di rating ESG dovranno essere autorizzate dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e sottostare alla sua vigilanza, oltre a dover rispettare gli obblighi di trasparenza, in particolare sulla metodologia e sulle fonti di informazione. “Oggi, a causa della proliferazione di soggetti più o meno autorevoli sul mercato, che pubblicano scoring e rating di sostenibilità, la stessa azienda può ricevere valutazioni abbastanza diverse, positive o negative, da diversi analisti, sia per diversità di metodi, sia per valutazione di merito. Il risultato è una certa confusione. Occorre quindi dare delle regole, così come accade per il rating sul merito creditizio.”

Giancarlo Giudici

L’importanza di una metodologia trasparente

L’aspetto più rilevante, su cui non a caso l’UE pone particolare attenzione, è la chiarezza riguardo ai criteri utilizzati: “In alcuni casi è impossibile ricostruire le valutazioni ESG date da importanti player sul mercato, poiché la loro metodologia non è pubblicamente disponibile”, prosegue Giudici. Un rating ESG è, sostanzialmente, una media pesata fra valutazioni, assolute o relative: nel primo caso, per esempio, si valuta un'azienda osservando se inquina poco o tanto, nel secondo si valuta se inquina più o meno di altre imprese comparabili. “I gradi di libertà sono dunque tantissimi: la scelta dei pesi delle diverse variabili, le variabili da considerare, la valutazione di merito. Senza trasparenza è impossibile entrare nel merito”.

Il futuro dei fondi ESG

Diverse sono le strategie che i fondi ispirati a logiche ESG possono attuare: “Se alcuni si focalizzano su specifici obiettivi legati, ad esempio, ai Sustainable Development Goals (SDGs) dell’ONU, altri sono più generalisti e magari si limitano ad affiancare ai criteri tradizionali, basati sulla redditività, un esame del profilo di sostenibilità dell'impresa in cui investire”. La trasparenza anche in questo caso è un fattore determinante: “La prossima revisione della regolamentazione europea, che oggi distingue fra fondi Articolo 6, Articolo 8 e Articolo 9, e che ha generato insoddisfazione, incentiverà i prodotti del risparmio gestito a meglio focalizzare i propri obiettivi, anche per favorire la transizione sostenibile di imprese che operano in contesti inquinanti e ad alte emissioni di carbonio”.

Tra le sfide più importanti per il futuro c’è anche quella di ampliare il raggio d’azione degli analisti ESG sulle imprese oggi non ancora coperte: “Attualmente c’è un’abbondanza di dati sulle quotate di grande dimensione, mentre siamo ancora agli albori per le Mid Cap e le PMI, quotate e non”. Se finora queste realtà non sono state obbligate a pubblicare dati sulla sostenibilità, “progressivamente dovranno adeguarsi, anche perché i loro fornitori vorranno avere dati sull'impatto ambientale e sociale”.

 

Immagine di copertina: Rachel Reeves, HM Treasury via Flickr