Insieme all’edilizia e all’industria, i trasporti rimangono una priorità assoluta nelle strategie di decarbonizzazione. Secondo i dati del World Resource Institute riferiti al 2020, auto (compresi i trasporti pubblici), navi e aerei contribuiscono al 16,2% delle emissioni totali, con l’aviazione e i trasporti navali che pesano per il 3,6%. Il dato allarmante però che in molti paesi, in particolare Europa, Cina e Usa, la maggior parte dell’aumento delle emissioni è dovuto ai trasporti su gomma. Secondo molti esperti la soluzione è una rapida transizione verso i trasporti elettrici (attualmente l’1,5% del totale parco veicoli) e la dismissione dei motori diesel e benzina (in Francia accadrà nel 2040, in Svezia già nel 2030, in California nel 2035), accompagnata dall’impiego di una serie di combustibili alternativi. L’Unione Europea si è già data il target di impiegare il 14% di energie rinnovabili nei trasporti al 2030. Dentro questo obiettivo si celano soprattutto biocarburanti che possono derivare da colture alimentari e foraggere (con un tetto del 7%;) da grassi animali e olio da cucina usato (1,7% come soglia) oppure prodotti da residui agricoli e rifiuti solidi urbani (1,7% come baseline di produzione). Nella lista dei carburanti alternativi però sono inclusi anche carburanti come l’idrogeno (H2), il gas naturale liquefatto (LNG) e il gas naturale compresso (CNG), incluso il biometano, derivato dagli scarti. Sebbene poco apprezzato dagli ambientalisti, il gas rimane un’opzione sul tavolo come carburante di transizione, con un ruolo crescente soprattutto negli autotrasporti. Ma, come racconta Rudi Bressa in un approfondito articolo di scenario, un mix di idrogeno, carburanti sintetici a base di ammoniaca e biocarburanti avanzati, potrebbe rendere trascurabile questa opzione.
Il boom inatteso dell’idrogeno
Inatteso invece il boom dell’idrogeno che, dopo anni di stallo, e nonostante l’impiego nel settore dei trasporti pubblici, nel 2020 ha fatto registrare un’impennata degli investimenti potenziali, sostenuti peraltro con le proposte inviate dagli stati alla commissione Eu per ricevere i finanziamenti previsti dal piano Next Generation EU. Secondo l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (IRENA), entro il 2050 il 6% dei consumi energetici finali nel mondo potrebbe essere soddisfatto con l’idrogeno pulito. Come spiega Maurizio Bongioanni, numerose case automobilistiche stanno presentando modelli di auto a idrogeno, anche se la vera sfida è tra l’idrogeno blu, prodotto usando fonti fossili e sfruttando i sistemi di CCS per compensare le emissioni, e idrogeno verde da fonti rinnovabili, che però al momento sono interamente sfruttate per la generazione di corrente elettrica e non hanno ancora un prezzo conveniente.
Il vantaggio dei biocarburanti
Il vantaggio concreto dei biocarburanti è quello di catturare tramite il processo di crescita di nuova biomassa la CO2 che viene liberata nel processo di combustione. A patto però che questo non vada a interferire con i mercati alimentari (come accaduto con i biofuel di prima generazione) oppure non porti a deforestazioni di larga scala, come sta accadendo in Brasile, e come spiegato splendidamente nell’inchiesta firmata da Elisabetta Tola, special guest di questo numero di Materia Rinnovabile.
Compagnie come Nextchem o Neste stanno innovando e rendendo sempre più efficienti i processi di bioraffinazione e produzione. Il futuro di queste soluzioni molto dipenderà a livello internazionale dai meccanismi regolatori nazionali e internazionali. Alcuni paesi sapranno sfruttare l’opportunità e diventeranno leader di tecnologie chiave per la transizione energetica (idrogeno?), altri rimarranno invischiati in tecnologie destinate a un rapido declino, specie se le innovazioni nel settore elettrico porteranno a una riduzione dei costi delle batterie e renderanno circolari i processi di fine vita delle componenti usate nel processo. Nei prossimi dieci anni ci attende sfida all’ultima goccia di biocarburante.
Per approfondire, scarica e leggi il numero 34 di Materia Rinnovabile.