Puntare sulla decarbonizzazione e su una concreta transizione verso l’economia circolare e l’uso delle fonti rinnovabili non è solo una scelta etica, ma rappresenta anche un enorme vettore di sviluppo per l’Italia, in grado di far riprendere l’economia del nostro paese dallo shock provocato dall’epidemia di Covid-19, e di prepararla ad affrontare meglio le crisi future.
A dirlo sono una quarantina di analisti – tra cui l’ex ministro e presidente di ASVIS, Enrico Giovannini, e gli economisti Anastasia Pappas e Giovanni Dosi – interpellati dall’agenzia di ricerca e consulenza per i mercati energetici REF-E, che ha raccolto i loro contributi nel corposo rapporto “Ossigeno per la crescita”, pubblicato mercoledì 23 settembre.
Parola d’ordine: decarbonizzare
Si tratta, come spiega il curatore Matteo Leonardi, senior advisor di REF-E sulle policy per la decarbonizzazione, di un lavoro che ha l’obiettivo di supportare le scelte “dei decision-maker per fondare la ripresa sul solido pilastro della decarbonizzazione, una dimensione che solo se accompagnata dalle policy permette, in linea con quanto promesso dal premier Giuseppe Conte, una ripresa solidale con le generazioni future”. Le oltre trecento pagine di riflessioni dimostrano “in maniera sistemica”, infatti, come la transizione verso l’abbandono delle fonti fossili “offra un’opportunità di rinnovamento del sistema produttivo italiano tale da recuperare gli impatti della crisi e superare lo stallo dell’economia nazionale pre-Covid”.
La base comune da cui partono le analisi del report, come si legge nell’introduzione, è la constatazione che sia il Recovery Fund europeo – cioè il piano Next Generation EU (questo il nome ufficiale) da 750 miliardi di euro – che il budget comunitario 2021-27 “confermano la centralità di indirizzare le risorse economiche sugli obiettivi di decarbonizzazione, introducendo una condizionalità per almeno il 30% del budget su azioni su climate change ed un principio di coerenza di tutto il programma di spesa rispetto alla policy climatica”. In questo senso, quindi, “la vera riforma” che dovrà guidare i progetti italiani che saranno finanziati da Next Generation EU è “la condivisione dell’obiettivo di decarbonizzazione nell’amministrazione pubblica e tra gli attori economici, e la determinazione a fare coincidere la crescita con una strategia di innovazione” sul lungo periodo.
Non a caso, secondo Enrico Giovannini, “lo strumento messo in campo” dal governo “si chiama Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Parlare solo di ripresa ci fa dimenticare come anche la resilienza da futuri shock deve essere il nostro elemento guida. Se assumiamo questo punto di vista si capisce come serva un Piano con una visione sistemica per il futuro: non possiamo affrontare i problemi in maniera settoriale”.
Scenari
Il rapporto, partendo dai dati macroeconomici di quest’anno (crollo occupazionale, Prodotto interno lordo in discesa dell’8,4%, investimenti in calo al 16% del Pil, debito pubblico al 160%), traccia due possibili scenari per i prossimi anni. In quello virtuoso, il nostro paese riuscirà a spendere almeno l’80% delle risorse che arriveranno da Next Generation EU, e grazie alla coerenza delle policy sulla decarbonizzazione, sarà in grado di attivare gli investimenti privati nei settori chiave dell’innovazione tecnologica. In questo caso, gli effetti sulla nostra economia sarebbero imponenti, con un tasso di crescita medio annuo che potrebbe mantenersi vicino al 5% per qualche anno, prima di attestarsi – nel lungo termine – a livelli vicini al 2%. Inoltre, una traiettoria di questo tipo potrebbe sostenere la transizione energetica e generare le condizioni per il rientro del debito, dando una spinta al Pil – che crescerebbe del 30% entro il 2030 – e all’occupazione, in particolare giovanile, che nello stesso periodo salirebbe dell’11%. “I dati”, dice la presidente di REF-E, Pia Giovannini, “mostrano un significativo impatto sull’occupazione nello scenario virtuoso: l’aumento dei posti di lavoro porta il tasso di occupazione per la popolazione in età attiva dal 57% del 2020 al 68% nel 2030, ancora inferiore alla media europea ma con un forte miglioramento delle opportunità per i più giovani”.
Guardando invece allo scenario più conservativo, l’Italia riuscirebbe a spendere solo metà del “Recovery Fund”, in un contesto di riluttanza del settore privato all’innovazione accompagnato da una policy per la decarbonizzazione incerta. La prospettiva sarebbe quella di un parziale rimbalzo del Pil: la ricchezza prodotta tornerebbe ai livelli del 2014 soltanto nel 2024, e a quello pre-2008 addirittura nel 2030. Il tasso di crescita convergerebbe poco sopra l’1% nel lungo periodo, mentre il rapporto debito/Pil continuerebbe a veleggiare sopra il 140% e l’occupazione rimarrebbe lontana dalla media UE.
Insomma, “investire le risorse europee in nuove tecnologie che il settore privato percepisce ad alto rischio e in ricerca e sviluppo”, conclude Leonardi, “permette di fondare la ripresa economica su settori industriali che porteranno ad una sostenuta crescita nei prossimi decenni. Questo può esser fatto solo con il supporto di una policy determinata sull’obiettivo di decarbonizzazione”.
Le riforme per la decarbonizzazione
Sono cinque le aree di riforme necessarie individuate nel report per la riuscita di un piano sistemico di decarbonizzazione:
1 - fiscalità, con l’introduzione di un prezzo minimo del carbonio a parità di gettito, l’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi e delle ambiguità nei meccanismi d’incentivazione rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione, i bonus per l’ efficienza energetica;
2 - finanza sostenibile con strumenti per indirizzare risorse pubbliche ed investimenti privati ed emissione green bond;
3 - sostegno alle imprese nella transizione verso l’economia circolare con meccanismi di promozione ai beni circolari, ecobonus legato all’uso di materiali riciclati, alla misurazione, rendicontazione e formazione in economia circolare;
4 - potenziamento della domanda pubblica (procurement) di prodotti e servizi per la decarbonizzazione e adozione di Criteri ambientali minimi per tutti gli acquisti della pubblica amministrazione;
5 - lavoro, ovvero formazione di nuove professioni, contrattazione collettiva a supporto della transizione energetica e ambientale, creazione di impieghi pubblici green.
Accanto a questi macro-obiettivi, nel documento emerge poi la necessità di impegnare le risorse europee in tecnologie per la decarbonizzazione in almeno tre settori dell’industria pesante chiave dell’economia nazionale – ferro e acciaio, chimica, minerali non metallici – che sono responsabili di quasi il 50% dei consumi finali di energia e del 70% delle emissioni di gas serra dell’intera industria.
Altre indicazioni, infine, riguardano i settori alimentare (adottare pratiche agricole che aumentino la capacità di assorbimento della CO2 nei suoli con pratiche di agricoltura conservativa), dell’elettricità (sbloccare il processo autorizzativo per le fonti rinnovabili, portare avanti una riforma del mercato funzionale allo sviluppo delle rinnovabili, favorire la produzione di moduli fotovoltaici nazionali) e dei trasporti (rinnovare il parco autovetture, sviluppare i servizi ferroviari, sostenere la mobilità non motorizzata).
Uno strumento strategico
Un documento come Ossigeno per la crescita “fornisce analisi preziose, con risultati interessanti, di cui abbiamo un sincero bisogno”, dice Serena Giacomin, presidente dell’associazione Italian Climate Network (https://www.italiaclima.org/ ), che si batte contro il cambiamento climatico. Ora però, aggiunge, “sarebbe opportuno fare un passo oltre l’analisi: i dati forniti dal report devono necessariamente diventare uno strumento decisionale strategico per l’immediato futuro. Dobbiamo dar loro valore utilizzandoli per una efficace gestione del rischio e per costruire un paese più sicuro e ricco di opportunità. E per farlo abbiamo bisogno di una classe politica intellettualmente coraggiosa, che superi l’ostacolo dello status quo e ritorni a investire nell’innovazione tecnologica e politica”.
Punto di vista condiviso da Gianni Girotto, presidente (del Movimento 5 stelle) della commissione Industria del Senato: “Questo rapporto arriva buon ultimo a ribadire un concetto che molti studi di prestigiosi centri di ricerca dicono da anni, ovvero che le fonti rinnovabili sono un comparto più job intensive di quello delle fossili, e che quanto prima la transizione sarà portata a compimento, tanto più ci farà risparmiare”. Nel quadro del piano Next Generation EU, quindi, “ora occorre individuare con maggior precisione su quali filiere puntare, ma soprattutto vincere le troppe resistenze che, nelle istituzioni, ancora frenano” i provvedimenti che vanno in direzione del passaggio a un’economia verde e circolare.