Più uno sul pallottoliere dei casi di contenzioso climatico. Il 9 maggio 2023 Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani hanno notificato alla multinazionale dell’Oil&Gas Eni un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società energetica e – in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante – nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti. Gli attori chiedono l’accertamento dei danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito tramite lo sfruttamento di risorse fossili.
Eni in tribunale: cosa chiedono Greenpeace Italia e ReCommon
Denominata #LaGiustaCausa, la campagna che promuove l’iniziativa legale contro ENI è la prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia e si inserisce nel novero delle cosiddette climate litigation, azioni di contenzioso climatico il cui numero complessivo, a livello globale, è più che raddoppiato dal 2015 a oggi, portando il totale di cause a oltre duemila.
La causa arriva poco più di un mese dal 29 marzo, data in cui la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo è stata chiamata per la prima volta a decidere in che misura uno Stato debba ridurre in modo più significativo le proprie emissioni di gas serra per tutelare i diritti umani della propria popolazione. Nell’azione legale, a fianco di Greenpeace Italia e Recommon, vi sono anche alcuni cittadini che provengono da aree già colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici, come l’erosione costiera dovuta all’innalzamento del livello del mare, la siccità, la fusione dei ghiacciai. I 12 chiederanno al Tribunale di Roma l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata da parte del colosso energetico.
“La Regione in cui vivo, il Piemonte, subisce già oggi gli effetti di una drammatica siccità, come dimostra il bassissimo livello delle precipitazioni registrato quest’inverno”, racconta Rachele, una delle cittadine che ha fatto partire la causa civile nei confronti di Eni insieme a Greenpeace Italia e ReCommon. “Un problema che probabilmente si aggraverà in futuro. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato, tra l’altro, è il maggiore azionista, possa portare avanti anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici”
Gli attori che hanno intentato la causa chiedono inoltre che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi secondo il dettato dell’Accordo di Parigi sul clima. Viene infine chiesta la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di Eni, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi.
Una strategia industriale da rivedere
Le due associazioni e gli attori coinvolti valutano che l’attuale strategia di decarbonizzazione di Eni sia palesemente in violazione degli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società, come anche riportato nei giorni scorsi da Materia Rinnovabile. Ritengono inoltre inaccettabile che, a fronte di extra profitti record realizzati nel 2022, Eni continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale. La conferma di Claudio Descalzi al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, renderebbe inoltre quest’ultimo “complice di scelte che aggravano la crisi climatica”.
“Faccio causa a Eni e alle realtà statali che la controllano perché le loro strategie non rispettano gli accordi di Parigi in termini di emissioni di CO2” -ha dichiarato invece Vanni - “L’operato di Eni contribuisce ad aggravare notevolmente la crisi climatica, con conseguenze sempre peggiori per me e per il mio territorio, il Polesine. Nei pressi del Delta del Po, il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto o di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra”.
La replica di Eni*
La replica di Eni non si è fatta attendere. “Eni prende atto dell’iniziativa annunciata oggi da ReCommon e Greenpeace. - fa sapere un portavoce - Eni dimostrerà in Tribunale l’infondatezza dell’azione messa in campo e, per quanto necessario, la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione, che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese.
Eni si riserva a sua volta di valutare le opportune azioni legali per tutelare la propria reputazione rispetto alle ripetute azioni diffamatorie messe in campo da ReCommon, a partire dal ruolo che l’associazione ha cercato di ritagliarsi nell’ambito della vicenda giudiziaria Opl245 terminata con la totale insussistenza delle accuse e danni reputazionali alla società e alle sue persone”.
Immagine: Envato Elements
* News integrata con il paragrafo "La replica di Eni" il 10 maggio 2023 h 06.40