Alla fine l’annuncio del presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti è arrivato: l’ orso che ha ucciso il 5 aprile il runner 26enne Andrea Papi in Val di Sole sarà abbattuto. Identificato grazie all’esame del Dna, l’esemplare femmina JJ4 nel 2020 era già stato oggetto di due ordinanze contingibili e urgenti – la prima per l’abbattimento, la seconda per la sua cattività – entrambe poi sospese dalla giustizia amministrativa, anche grazie alla pressione degli animalisti.
Tuttavia, se ormai per JJ4 è cronaca di una morte annunciata, Fugatti ha invece confermato l’ulteriore volontà di procedere all’abbattimento di altri tre plantigradi (maschio MJ5 incluso) e dimezzare il numero di esemplari presenti in Trentino, riducendoli a circa cinquanta, per mettere in sicurezza quelle stesse comunità che lamentano danni a cose, animali e – purtroppo – persone.
Ma quale sarà il costo di questa strategia dal punto di vista dei servizi ecosistemici? Si può cioè tradurre in termini economici la futura perdita del lavoro svolto da questi predatori nel regolare gli ecosistemi montani lasciandoli sani, selvaggi e ricchi di biodiversità? Proviamo a capire meglio magari il senso della presenza di un animale che uccide decine di volte meno rispetto ai cani domestici, che in Europa solo nel 2016 aggredivano a morte 45 persone?
Ecologia economica: perché valutare i servizi ecosistemici (anche dell’orso)
“Il tema della valutazione economica della ricchezza della vita sulla terra e quindi della biodiversità è un tema fondamentale e purtroppo abbastanza complesso, perché i sistemi economici che abbiamo messo in piedi hanno creato un mondo che ci vede fuori o addirittura al di sopra della natura”, spiega a Materia Rinnovabile Gianfranco Bologna, Presidente Onorario della Comunità Scientifica del WWF Italia. “Se noi beviamo, mangiamo, respiriamo è grazie alla natura che ci circonda, che ogni giorno ci mette a disposizione gratuitamente servizi ecosistemici, come ad esempio la produzione di ossigeno attraverso la fotosintesi clorofilliana. Eppure, nel nostro sistema economico ciò che accade in natura è visto come un prodotto di un’esternalità, che però nei fatti dà valore a quell'indicatore totemico dell'economia attuale che è il PIL, il prodotto interno lordo, cioè tutti quei beni e servizi prodotti da una nazione in un anno.”
È possibile fare questo calcolo, ossia contabilizzare tutto ciò che sta dietro questo sistema e che ci consente di avere questi benefici? Non ancora, anche se negli ultimi anni, visto il rafforzarsi del consenso internazionale intorno all’impossibilità di una crescita materiale continuativa e illimitata in un mondo dai limiti fisici chiari, ci sono stati dei tentativi. “La Commissione Statistica delle Nazioni Unite ha cominciato a ragionare al cosiddetto System of Environmental Economic Accounting (SEEA), adottato nel 2021 – continua Bologna – C’è stata poi la commissione istituita dal ministero dell’Economia e delle Finanze britannico guidata dal professore emerito dell’Università di Cambridge Partha Dasgupta, che ha prodotto la cosiddetta Dasgupta Review, una valutazione economica importantissima del valore della biodiversità. Tuttavia, oggi non siamo in grado di poter valutare in maniera precisa il valore economico di un orso. Il punto è invece che qualsiasi essere vivente ha un ruolo nel sistema in cui si trova. E ciò va considerato.”
Non solo servizi ecosistemici: orso e promozione turistica
Ma quali sono i servizi ecosistemici svolti dagli orsi? “In Europa ci sono solo degli studi sui servizi ecosistemici ed ecologici dell'orso in Scandinavia, però alcuni ambienti sono simili alle Alpi, per cui si può affermare che anche da noi l’orso ha un ruolo molto importante per la biodiversità, essendo prevalentemente vegetariano”, spiega Clara Tattoni, ricercatrice presso l'Unità di analisi e gestione delle risorse ambientali dell’Università dell’Insubria e consigliera del GLAMM - Group for Large Mammals Conservation and Management dell'Associazione Teriologica Italiana. “La percentuale di proteine animali nella loro dieta, circa il 5-10%, è principalmente legata a insetti, formiche e api e in minima parte a carcasse o predazioni. Questo fa sì che disperdano i semi anche molto lontano da dove hanno mangiato, contribuendo alla ricchezza floristica. Vengono anche chiamati ‘ingegneri del bosco’ perché nutrendosi di formiche che spesso fanno il nido nei ceppi di legno morto, gli orsi creano delle aperture che permettono la crescita di nuovi alberi. Il problema di questi servizi ecosistemici è che sono molto difficili da misurare, ad esempio per il fatto che la dispersione dei semi, sebbene in proporzioni diverse, viene fatta anche da molti uccelli o perché solo ora, grazie ai crediti di carbonio, stiamo trovando il modo per dare un prezzo al ciclo del carbonio.”
Volendo provare a ricucire il rapporto delle popolazioni locali con gli orsi, ma non potendo quantificare in maniera precisa il valore economico dei servizi ecosistemici, insieme al suo gruppo di ricerca, nel 2017 Tattoni ha provato così a valutare un altro servizio – gratuito, anche se non legato all’ecosistema - svolto dall’orso alpino: il marketing. La pubblicità indiretta è infatti molto importante per la promozione di una destinazione turistica.
“Nel 2011 l’emittente inglese BBC era venuta proprio in Trentino per girare un documentario intitolato Predators in your backyards allo scopo di mostrare come i grandi carnivori vivessero a contatto con ambienti antropizzati. Grazie a un precedente studio sull’orso marsicano eravamo consapevoli che sulla stampa, soprattutto in quella nazionale, nonostante aggressioni come la recente vicenda, l'orso veniva presentato in maniera positiva. Abbiamo quindi stimato il valore pubblicitario equivalente che l'orso rendeva al territorio grazie alle apparizioni sui giornali e televisioni nazionali. Il valore di questo tipo di pubblicità superava di gran lunga la spesa per rimborsare i danni che occasionalmente questa specie provoca all'apicoltura e all'allevamento: secondo i nostri calcoli, comprare lo spazio pubblicitario nel solo 2011, l’anno del documentario BBC, sarebbe costato 2 milioni di euro. Negli altri anni, invece, il valore non è mai sceso sotto i 600 mila euro; quindi, un ordine di grandezza davvero paragonabile a quello che investe la Trentino Film Commission, che nel 2011 erogava 800 mila euro a fondo perduto per far apparire il Trentino in pubblicità o trasmissioni televisive. Un ritorno economico sul territorio che nel 2020 veniva valutato intorno al 300%, giustificando così il paragone tra una mancata spesa pubblicitaria e la spesa sostenuta per riparare i danni causati dall’orso”.
La strategia di abbattimenti apre una domanda: coesistenza o convivenza?
Ricapitolando: gli orsi svolgono indubbiamente sia un servizio prezioso per gli ecosistemi (anche se attualmente non lo possiamo valutare economicamente in maniera precisa) sia un servizio (questo sì stimabile) in termini di promozione turistica dei territori. Un legame tra grande carnivoro e comunità montane che evidenzia i vantaggi dei progetti di reintroduzione e conservazione come Life Ursus, il progetto europeo che all’inizio egli anni 2000 riportò l’orso in Trentino e che prevedeva il raggiungimento di 50-60 esemplari nell’arco di qualche decina d’anni. Un numero ormai superato e che il presidente Fugatti vuole ristabilire in fretta attraverso la strategia degli abbattimenti. Eppure, in altre parti del mondo la coesistenza è possibile. E il piano di abbattimenti potrebbe non essere una buona idea dal punto di vista della conservazione.
“Nell’ambito del reportage in cui sono impegnata (WANE - We Are Nature Expedition) che ho ideato per documentare l’impatto delle attività umane sulla biodiversità e raccontare casi di successo che dimostrassero la possibilità di creare un nuovo rapporto tra uomo e natura, tra luglio e settembre ho viaggiato tra Canada e Alaska. Nel mio caso, ho avuto la fortuna di imbattermi in più di un orso (principalmente orsi neri) sia durante questo reportage che in altre occasioni negli Stati Uniti. A settembre, poi, ho avuto un faccia a faccia con un esemplare maschio di grizzly impegnato a fare incetta di salmoni in un fiume, in Alaska. E in quei momenti la preparazione è davvero tutto”, racconta Valeria Barbi, politologa e naturalista, autrice di Che cos’è la biodiversità oggi (Edizioni Ambiente, 2022).
“Sia in Canada che in Alaska, ogni parco e area naturale è però disseminata di cartelli informativi su come comportarsi in caso di incontro con svariate specie e, per ognuna, è specificato il comportamento da seguire. C’è poi la figura del Ranger che è fondamentale sia perché pattuglia i luoghi che perché spiega precisamente ai visitatori cosa fare. Prima di entrare a Yellowstone, ti spiegano persino come usare il Bear Spray. Ci sono poi opuscoli informativi, cartelloni pubblicitari e progetti seri di costruzione di Bear smart communities dove i cittadini vengono preparati alla coesistenza con l’orso e vengono implementati progetti collaterali (come la costruzione di corridoi per la fauna selvatica) che sono fondamentali per limitare al minimo la possibilità di incontro tra uomo e orso, o tra uomo e fauna selvatica in generale così da tutelare entrambi.”
E sono proprio informazione e divulgazione a mancare, nella gestione trentina della convivenza, come conclude Tattoni: “Negli ultimi anni sulla comunicazione si poteva fare di più. Dopo il passaggio di competenze dal Parco Naturale Adamello e Brenta alla Provincia nella gestione dell’orso e poi degli altri grandi carnivori, tutti gli anni veniva pubblicato un opuscolo presentato al pubblico in una serata ufficiale, stampato e distribuito gratuitamente. Da quando si è insediata questa giunta, l’opuscolo c'è solo online e non viene più fatta una presentazione alla cittadinanza. Riguardo, poi, al piano di abbattimenti: la rimozione di un orso sicuramente non va a cambiare i servizi ecosistemici forniti. Invece, sulla riduzione della popolazione a metà non ci sono leggi che prevedano questo e neanche evidenze scientifiche che dicano qual è il numero massimo di orsi che un ambiente può tollerare. Dimezzarli, a mio avviso, metterebbe in pericolo tutta la popolazione di orsi. Lo stesso studio di fattibilità del progetto Life Ursus individuava 50 come numero vitale, cioè numero minimo di orsi perché la popolazione potesse persistere nel tempo.”
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