“Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni si prevede che tutti i nostri ghiacciai facciano la stessa fine. Questo monumento testimonia che siamo coscienti di ciò che sta accadendo e di ciò che è necessario fare. Solo voi saprete se abbiamo agito.” È questa la Lettera per il futuro impressa su una targa ai piedi del vulcano Ok, nell'Islanda sud-occidentale, dove, fino al 2014, si trovava l’Okjökull, il “defunto” la cui memoria vuole essere ricordata. Okjökull non aveva carne e ossa, non era una persona, ma il primo ghiacciaio d’Islanda a perdere il suo status e a essere, appunto, dichiarato “morto”.

Il requiem continua a riecheggiare per molti altri ghiacciai che stanno velocemente scomparendo, ma negli ultimi mesi a fare scalpore è stato l’annuncio di due paesi, il Venezuela e la Slovenia, che a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra hanno reso nota la morte di tutti i ghiacciai all’interno dei propri confini politici, perdendo, di fatto, una risorsa strategica e degli ecosistemi unici. L’Humboldt Glacier si trovava a 5.000 metri di quota nella Sierra Nevada de Mèrida, sulle Ande venezuelane, l’ultimo ghiacciaio rimasto in Venezuela dopo che altri cinque erano scomparsi nell’estate del 2011. In Slovenia, invece, è stata la montagna più alta delle Alpi Giulie, il Triglav, la cui cima raggiunge i 2.800 metri, a perdere l’ultimo ghiacciaio.

La comunità scientifica ha declassato questi corpi glaciali che non sono più veri e propri ghiacciai, ma dei corpi residuali di ghiaccio”, spiega a Materia Rinnovabile Guglielmina Diolaiuti, naturalista e glaciologa, professoressa all’Università degli Studi di Milano. “Cos'è allora un ghiacciaio? Un ghiacciaio è una massa di ghiaccio naturale che si forma a partire da neve trasformata, dotata di movimento e in equilibrio con il clima. Quando vengono a mancare una o tutte queste caratteristiche non si parla più di ghiacciaio ma di relitti, di corpi residuali o, per essere eleganti, di glacio-nevati, lo stadio che prelude all'estinzione di un ghiacciaio. Questo stadio in cui c’è ancora ghiaccio ma non con le caratteristiche per essere considerato ghiacciaio è quello che hanno raggiunto i ghiacciai del Venezuela e della Slovenia, due luoghi lontani ma accomunati da un destino infausto. C'è da dire che questa situazione si sta diffondendo in molte parti del mondo, tra cui le Alpi italiane, dove ormai da molti anni sempre più ghiacciai vengono classificati come glacio-nevati.”

Ghiacciai alpini al collasso

Secondo gli scenari climatici definiti dall’IPCC nel rapporto su oceani e criosfera, infatti, la copertura nevosa, i ghiacciai e il permafrost continueranno a diminuire nel Ventunesimo secolo in quasi tutte le regioni del mondo. Nelle zone a bassa quota, con ghiacciai più piccoli, come le Alpi europee, gli scenari indicano una sostanziale scomparsa di gran parte dei ghiacciai entro il 2100.

“Questa situazione deve allertare le nostre coscienze, perché il cambiamento climatico è già in atto”, continua Diolaiuti. “Il fatto che stiano scomparendo dei ghiacciai in alcuni paesi, le fortissime ondate di calore, gli eventi estremi sempre più frequenti e violenti dovrebbero rendere evidente la situazione in cui ci troviamo e orientare la nostra attenzione. Le anomalie metereologiche, come estati più fresche, esistono, ma bisogna tenere ben presente la distinzione tra meteorologia e climatologia. Quando noi parliamo di cambiamenti climatici parliamo di tendenze ultradecennali di trent'anni e oltre e se guardiamo il trend di aumento delle temperature atmosferiche dell'ultimo secolo c’è da preoccuparsi.”

L'arretramento della criosfera in alta montagna ha e continuerà ad avere impatti drastici sia sugli ecosistemi che sulla società. Influenza negativamente le attività ricreative, turistiche e culturali, contribuisce ad alterare la disponibilità e la qualità dell'acqua, con conseguenze per molti settori come l’agricoltura e la fornitura di energia idroelettrica. "La scomparsa dell'Humboldt, l’ultimo ghiacciaio del Venezuela, va molto oltre la perdita del ghiaccio. Significa anche perdita di habitat unici, di ambienti dal significativo valore culturale, di attività alpinistiche e turistiche", confessa al Guardian Caroline Clason, glaciologa e professoressa alla Durham University.

La velocità di fusione dei ghiacciai è in aumento

Ma ciò che preoccupa maggiormente è la velocità a cui i ghiacciai stanno fondendo. I climatologi che stavano studiando l’Humboldt prevedevano infatti che quest'ultimo sarebbe durato almeno un altro decennio, prima di fondere e ridursi a un'area di appena 0,02 chilometri quadrati. In Italia come in Venezuela la sinfonia non cambia e il destino a cui stanno andando incontro i ghiacciai sulle Alpi italiane è lo stesso.

“Dieci anni fa eravamo stati molto ottimisti e avevamo previsto come data di morte del ghiacciaio dei Forni, il più grande delle Alpi lombarde, il 2080, ma ci siamo poi accorti di un errore”, continua Diolaiuti. “Il nostro modello faceva fondere il ghiaccio solo sulla superficie, mentre in questi dieci anni abbiamo visto che il ghiaccio fonde sia all'interno che alla base, a causa di tutta l’acqua di fusione che scorre sopra e dentro il ghiacciaio. Acqua che provoca erosione meccanica ed erosione termica, portando a crolli e accelerando il regresso del ghiacciaio. Di fronte a queste evidenze abbiamo rivisto il modello e ora prevediamo la morte del ghiacciaio dei Forni e la sua rottura in tre piccoli ghiacciai di circo entro il 2060. E ancora potremmo essere ottimisti. Siamo nel 2024 e se la tendenza rimane l'attuale potremmo dover anticipare ancora la morte a metà secolo. Io spero di sbagliarmi, però, purtroppo, le tendenze attuali sono queste.”

 

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Immagine: ghiacciaio in fusione sulle montagne canadesi, Envato