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Da Stoccolma - Il 28 agosto, mentre si svolgeva la World Water Week, UN-Water e il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) hanno pubblicato tre rapporti per tracciare i progressi verso l'obiettivo di sviluppo sostenibile “acqua pulita e servizi igienici per tutti” (SDG 6). In dettaglio, i tre report riguardano l’avanzamento su base triennale relativo alla qualità dell’acqua in ambiente e alla salute umana (SDG 6.3.2), l’attuazione della gestione integrata delle risorse idriche con attenzione al cambiamento climatico (SDG 6.6.1) e lo stato degli ecosistemi legati all’acqua, con attenzione alla biodiversità (SDG 6.6.1). Si tratta di una valutazione di medio termine sull’SDG6, considerando che l'Agenda 2030 dell'ONU ha raggiunto il giro di boa temporale, essendo ormai a metà del suo percorso.

Stando ai documenti, nella maggioranza dei paesi del mondo, uno o più tipi di ecosistemi d'acqua dolce risultano attualmente degradati, inclusi fiumi, laghi e falde acquifere. La portata dei fiumi è significativamente diminuita, i corpi idrici di superficie si stanno riducendo o scomparendo, l'acqua è sempre più inquinata e la gestione delle risorse idriche sta deviando dagli obiettivi prefissati. Ma non tutto è perduto. I tre rapporti si basano infatti sulla più ampia serie di dati mai raccolta, in un momento in cui gli impegni politici globali per una gestione sostenibile dell'acqua stanno aumentando, come dimostrato dalla Freshwater Challenge e dall'approvazione a febbraio di una risoluzione sull'acqua nell'ultima Assemblea dell'ambiente delle Nazioni Unite. UNEP e UN-Water ribadiscono perciò le proprie raccomandazioni, dal miglioramento del monitoraggio ambientale a nuove strategie per attrarre risorse finanziarie.

I report triennali UN-Water e UNEP

Acqua dolce, nella metà del mondo ecosistemi degradati (SDG 6.6.1)

Rispetto allo stato degli ecosistemi (SDG 6.6.1) UNEP e UN-Water segnalano la degradazione di uno o più ecosistemi di acqua dolce in ben 90 dei 185 paesi che effettuano il monitoraggio di questo indicatore. La maggior parte di questi si trova in Africa, Asia centrale e Sud-Est asiatico. Altre regioni, come l'Oceania, mostrano invece miglioramenti. Il deterioramento non è però causato da un solo fattore, ma spesso da un cocktail di inquinamento, dighe, conversione del territorio, eccessivi prelievi d’acqua e cambiamento climatico.

Due di questi in particolare, climate change e uso del suolo, hanno portato alla riduzione della portata dei fiumi in 402 bacini, dato che segna un peggioramento di 5 volte rispetto all’anno 2000. Un numero molto più ridotto sta guadagnando flusso fluviale. La perdita di mangrovie causata da attività umane minaccia invece le comunità costiere, le risorse idriche, la biodiversità e il clima. Nonostante significative diminuzioni nel Sud-Est asiatico, il tasso complessivo di deforestazione si è stabilizzato nell'ultimo decennio. Per quanto riguarda laghi e altri corpi idrici superficiali, in 364 bacini in tutto il mondo questi stanno diminuendo o venendo completamente persi. Tuttavia, la costruzione di bacini contribuisce a un guadagno netto globale in acqua permanente, principalmente in regioni come Nord America, Europa e Asia.

Qualità dell'acqua (SDG 6.3.2), monitoraggio insufficiente: citizen science e satelliti tra le soluzioni

La metà più povera del mondo fornisce meno del 3% dei dati globali sulla qualità dell'acqua, con solo 4.500 misurazioni sui laghi rispetto alle quasi 250.000 necessarie. UNEP e UN-Water sottolineano l’urgenza di migliorare il monitoraggio, poiché entro il 2030 oltre la metà dell'umanità vivrà in paesi con dati insufficienti per gestire siccità, inondazioni, e l'inquinamento da acque reflue e deflusso agricolo.
Ma come colmare questo gap? Materia Rinnovabile lo ha chiesto a Dianna Kopansky, capa dell'Unità acqua dolce e zone umide della Divisione ecosistemi presso l'UNEP, coautrice del rapporto.

“Oltre allo sviluppo delle capacità di monitoraggio e valutazione della qualità dell'acqua, che il programma GEMS/Water dell'UNEP promuove da quasi 50 anni, esistono tre opzioni principali per colmare la carenza di dati sulla qualità dell'acqua”, spiega Kopansky. UNEP suggerisce “prodotti di osservazione della Terra basati su satelliti, modelli per la qualità dell'acqua e citizen science”, cioè il coinvolgimento attivo dei cittadini nella raccolta, analisi e interpretazione di dati. “Tutti hanno un ruolo da svolgere se vogliamo migliorare la disponibilità di informazioni sul cambiamento delle nostre acque dolci. Attraverso la World Water Quality Alliance, l'UNEP GEMS/Water sta lavorando con i partner per sviluppare queste tecnologie in modo da creare informazioni ‘SDG ready’ che possano essere combinate con i dati dei programmi nazionali di monitoraggio della qualità dell'acqua. Per garantire che questi approcci creino informazioni affidabili, devono essere convalidati con i dati generati nei paesi e dai paesi. Ciò significa che i sistemi di monitoraggio tradizionali, che prevedono stazioni di monitoraggio e laboratori, sono ancora molto importanti e necessari.”

La citizen science ha un grande potenziale per contribuire al raggiungimento dell'Obiettivo 6.3 degli SDG, aggiunge Kopanksy. “Con i nostri partner, tra cui EarthWatch, stiamo sostenendo diversi paesi pilota e per la prima volta due paesi, Sierra Leone e Zambia, hanno integrato i dati della citizen science con quelli delle autorità nazionali per la rendicontazione dell'indicatore 6.3.2 degli SDG. Speriamo che sia l'inizio della normalizzazione di questo approccio e, insieme ai partner della World Water Quality Alliance, abbiamo creato un policy brief (che sarà lanciato il 19 settembre) per contribuire a dare il via a questo processo. Tale approccio ha un valore per tutti i paesi e può fornire dati per i corpi idrici che non sono facilmente inclusi nei programmi di monitoraggio nazionali. Inoltre, consente di raccogliere dati a frequenze più elevate, aiutando a costruire un quadro più completo dell'evoluzione della qualità dell'acqua. Oltre ai dati aggiuntivi, la citizen science aiuta a colmare il divario tra le autorità nazionali e le comunità locali, che hanno più da guadagnare da una corretta gestione delle risorse idriche e che sono anche nella posizione migliore per attuare il cambiamento.”

Dianna Kopansky

Progressi inadeguati nella gestione delle risorse idriche in oltre 100 paesi

Bilanciare le esigenze concorrenti per un uso sostenibile dell'acqua da parte della società e dell'economia richiede l'implementazione della gestione integrata delle risorse idriche. Nel report dedicato all’Integrated Water Resources Managment – IWRM (SDG 6.6.1), si legge che 47 paesi hanno raggiunto completamente o quasi l'IWRM, 63 paesi devono accelerare l’attuazione, mentre 73 paesi hanno solo una capacità limitata per l'IWRM. All'attuale tasso di progressi segnalati, il mondo raggiungerà una gestione sostenibile dell'acqua solo entro il 2049. Ciò significa che entro il 2030 almeno 3,3 miliardi di persone in oltre 100 paesi probabilmente avranno quadri di governance inefficaci per bilanciare le esigenze idriche concorrenti.

Le soluzioni includono sbloccare finanziamenti attraverso la raccolta di entrate e gli accordi di recupero dei costi, investimenti in infrastrutture e gestione, nonché azioni coordinate, maggiore capacità istituzionale e migliori reti di monitoraggio. “Il valore sociale ed economico [delle risorse idriche] è indiscutibilmente elevato (il World Wildlife Fund stima che il valore economico totale quantificabile dell'acqua sia di circa 58.000 miliardi di dollari all'anno)”, spiega Kopanksy. “Ma le somme relativamente piccole necessarie per implementare i programmi di monitoraggio sembrano ancora eccessive: questa situazione deve cambiare e l'UNEP sta lavorando su più fronti per realizzare tale cambiamento.”

Scongiurare la mancanza di risorse finanziarie. Il nesso acqua-energia-cibo-ecosistemi

Rispetto alla gestione delle risorse idriche, esisterebbe un'ampia gamma di opzioni per aumentare i finanziamenti. Nel rapporto, UNEP e Un-Water formulano due raccomandazioni principali. “In primo luogo, è necessario che i ‘fondamentali’ siano corretti. Dobbiamo assicurarci che esistano meccanismi basati sul principio ‘chi inquina paga’. Ciò richiede istituzioni forti, dotate sia del mandato che della capacità tecnica di raccogliere le entrate. Poi – conclude Kopansky − dobbiamo far capire che gli investimenti nella gestione e nelle infrastrutture idriche sostengono altri settori economici e molteplici obiettivi di sviluppo, come quelli legati alla sicurezza alimentare ed energetica. Inoltre, i governi dovrebbero prendere in considerazione una serie di accordi di finanziamento misto adatti alle rispettive situazioni nazionali, di cui si trovano altri esempi nel rapporto. Ma affrontare queste due azioni chiave in modo coordinato avrà un impatto maggiore rispetto a quello che si otterrebbe affrontandole separatamente.”

Ed è proprio qui che entra in gioco il nesso acqua-energia-cibo-ecosistemi, un approccio che al suo centro ha l’interconnessione di queste risorse. “Se adottiamo questo approccio, il recupero dei costi non viene considerato solo nelle entrate dell'acqua, ma anche, ad esempio, nelle entrate per la produzione di cibo ed energia. Allo stesso modo, anche i contributi di bilancio nazionali potrebbero essere destinati all'acqua dai bilanci relativi all'agricoltura e all'energia. E dovrebbero esserlo.”

 

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Immagine di copertina: Envato