Mai come durante l’emergenza Covid-19 è emerso con evidenza lo stretto legame tra salute pubblica e ambiente. E la gestione dei rifiuti è uno dei punti critici di questa complessa relazione. Per questo la Commissione Ecomafie sta conducendo, da metà maggio, un’inchiesta capillare e a tutto tondo sulle problematiche del settore rifiuti connesse all’emergenza sanitaria. Dalla capacità degli impianti di trattamento alla tenuta del sistema di raccolta urbana, fino a quello che ormai è diventato un tema caldo delle ultime settimane: l’utilizzo, il riutilizzo, a volte lo spreco e soprattutto lo smaltimento di guanti e mascherine sanitarie.
La tenuta del sistema rifiuti
L’aumento significativo della quantità di rifiuti sanitari e la capacità del sistema di assorbirla è stata una delle preoccupazioni maggiori in questi mesi. La notizia è che il sistema ha retto. Lo ha dichiarato il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa durante la prima delle audizioni della Commissione Ecomafie. A dar corpo alla dichiarazione sono arrivati poi, qualche giorno più tardi, i dati forniti da Ispra. Il direttore generale Alessandro Bratti e la dirigente del Centro Nazionale per il Ciclo dei Rifiuti Valeria Frittelloni hanno riferito che nel bimestre marzo-aprile 2020 si è osservata una riduzione della produzione di rifiuti urbani pari a circa il 10%, e una diminuzione della raccolta differenziata sempre del 10%. Il calo della raccolta urbana, quantificabile in circa 500mila tonnellate in meno, è andato così a compensare l’aumento dei dispositivi sanitari (guanti e mascherine in primis) da smaltire. Un aumento che, come aveva già spiegato Frittelloni a Materia Rinnovabile, è per il momento solo ipotizzabile, non avendo ancora il dato reale: si stima però che la quantità totale da gestire sarà compresa tra le 150mila e le 450mila tonnellate.
Per quanto riguarda gli impianti di trattamento dei rifiuti sanitari, tutti quelli presenti sul territorio nazionale sono in grado di gestire fino a 340mila tonnellate di materiali, di cui 220mila tramite incenerimento e 120mila con sterilizzazione. In periodi ordinari la quantità effettivamente trattata si aggira sulle 145mila tonnellate (96mila tramite incenerimento, 50mila con sterilizzazione); il che significa, come ha sottolineato anche il Ministro Costa, che rimangono quasi 200mila tonnellate di capacità inutilizzata.
Sommersi dalle mascherine
Gettarle via subito oppure lavarle e riutilizzarle? E quante volte lavarle? E una volta buttate, incenerirle o provare a riciclarle? Le mascherine sanitarie forse non diventeranno i “nuovi sacchetti di plastica”, ma l’uso massiccio che - volenti o nolenti – si è ora costretti a farne sta ponendo un problema. Non solo in Italia, come hanno precisato in Commissione i rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità, il presidente Silvio Brusaferro e la dottoressa Federica Scaini, che hanno parlato del dibattito internazionale sulla possibilità di ricondizionamento delle mascherine FFP2 e FFP3 (cioè quelle filtranti). “Il ricondizionamento porta con sé numerose criticità, soprattutto di natura biologica e meccanica, oltre che di sicurezza degli operatori addetti alla sanificazione dei dispositivi, al momento non risolte”, ha spiegato, in un’altra audizione, il Ministro della Salute Roberto Speranza. E ha aggiunto che, per quanto riguarda le mascherine chirurgiche usa-e-getta, “al momento non sono disponibili test sulle caratteristiche di prodotti monouso ricondizionati”.
Altra questione è il riuso delle cosiddette “mascherine di comunità”, ovvero le protezioni non professionali adatte alla vita quotidiana. In questo caso, ha detto Speranza, è raccomandato il riutilizzo attenendosi però alle indicazioni sul numero di lavaggi dato dai singoli produttori. Secondo il Ministro Costa, la quantità mensile di mascherine potrebbe ridursi di un terzo proprio grazie all’impiego di quelle lavabili e riutilizzabili. Costa ha anche ipotizzato l’installazione nelle aree urbane di appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti, che potrebbero essere posizionati fuori dalle farmacie, come per i medicinali scaduti.
“È la prima volta che si usano diffusamente guanti e mascherine chirurgiche nella nostra vita quotidiana e, a prescindere dalla già adeguata capacità di trattamento o dalle tecnologie di riciclo, tutte le istituzioni devo tener presente l'importanza della prevenzione a monte del rifiuto, contro ogni uso indiscriminato. Continueremo perciò ad approfondire questo aspetto”, ha infine dichiarato il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.
Le ricadute sul comparto della valorizzazione e riciclo
I problemi affrontati dal comparto rifiuti in questi mesi non riguardano, tuttavia, soltanto le mascherine. Il lockdown e il fermo di una buona parte della produzione industriale ha avuto, com’era prevedibile, una pesante ricaduta anche su tutto l’ecosistema della raccolta, riciclo e valorizzazione dei materiali di scarto.
Lo ha messo in evidenza Andrea Fluttero, presidente di FISE Unicircular (Unione imprese dell’economia circolare). “Nelle settimane dell’emergenza – ha dichiarato durante l’audizione in Commissione Ecomafie - le filiere di recupero di materia, come quelle dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), pneumatici fuori uso, indumenti usati, veicoli a fine vita, hanno fronteggiato l’assenza di domanda di materiali da avviare a riciclo”. Gli impianti di raccolta, cioè, si sono trovati nella difficile situazione di dover accogliere i rifiuti in ingresso, ma di non poterli rivendere alle fabbriche e avviarli così al riciclo. Fluttero ha fornito dati piuttosto eloquenti: la vendita di plastica da RAEE e fine vita delle auto è diminuita del 60%, quella di pneumatici fuori uso e polverino da essi derivante è calata del 30%, mentre la richiesta di macerie da costruzione e demolizione ha subito una flessione del 60-80%.
Questo ha fatto nascere la richiesta di deroghe ai limiti di stoccaggio nei centri di raccolta. Richiesta che, come aveva già ricordato il Ministro Costa nella prima audizione in Commissione, è stata recepita nel decreto “Cura Italia”, che all'articolo 113-bis consente “il deposito temporaneo di rifiuti fino ad un quantitativo massimo doppio rispetto a quanto previsto dal Testo unico ambientale, e con un limite temporale massimo di durata non superiore a 18 mesi”. La norma, peraltro, è stata molto criticata dal mondo dell’ambientalismo e vista come una “licenza di accumulare” pericolosamente indulgente.
Dal canto loro, però, i presidenti delle associazioni di imprese legate al comparto rifiuti – FISE Assoambiente e FISE Unicircular – chiedono una maggior attenzione e aiuto da parte delle istituzioni perché, avvertono, “nelle aziende in difficoltà del settore si rischiano infiltrazioni di interessi criminali”.