Urge un cambio di paradigma, anche in edilizia. Profondo, rapido, esteso. In una parola, dirompente: o meglio, “disruptive”, come si dice ormai nel lessico degli innovatori. Innovatori che anche quest’anno si sono dati appuntamento a Riva del Garda per la settima edizione (quella primaverile) di REbuild, la piattaforma che raccoglie le avanguardie del settore delle costruzioni e ristrutturazioni in Italia.
Decarbonizzazione era la parola d’ordine di questa edizione. Un’istanza che, come ha sottolineato Gianni Silvestrini di Kyoto Club, se è in piena fase disruptive in campo energetico, in edilizia fatica ancora a essere recepita. “Il settore – ha detto – si configura come un enorme bacino di possibili interventi”. “Il patrimonio edilizio italiano è il più vecchio al mondo dopo quello della Germania. – ha ricordato Thomas Miorin, fondatore e presidente di REbuild – Con 17 milioni di unità immobiliari da riqualificare, da qui al 2050 ne dovremmo completare una al minuto!”.
Ci si potrebbe far prendere dallo sconforto. Ma a REbuild va forte una frase di Churchill: “Facciamo che questa crisi non vada sprecata”. Insomma, quella che pare una montagna difficile da scalare può rivelarsi una grande opportunità. Il punto, se mai, è come accelerare quel cambio di rotta che ormai non è solo auspicabile, ma necessario.
“Cambiando gli infissi di casa non si raggiungono certo gli obiettivi, serve un rinnovamento profondo e radicale”, ha chiosato Ezio Micelli, presidente del comitato scientifico di REbuild. Non i singoli interventi, dunque, ma un approccio rivoluzionato in tutta la filiera. Del resto, decarbonizzare non vuol dire solo ottimizzare i consumi energetici e passare alle rinnovabili, ma anche ridurre gli sprechi di risorse in ogni fase della vita di un edificio: dalla progettazione alla scelta dei materiali alla realizzazione delle componenti, dal cantiere alla riqualificazione fino alla dismissione. E questo significa mettere in campo le tecnologie digitali, l’edilizia off-site e i principi dell’economia circolare.
Costruire circolare
Il rifiuto costa poco. È la stortura che sin qui ha retto il successo del modello economico lineare, abituato a rimuovere dal conteggio il prezzo di tutto ciò che finisce in discarica. Tuttavia quel prezzo, non solo in termini ambientali ma proprio monetari, non è irrilevante come si pensava. Non lo è, ad esempio, per un costruttore che si trovi in cantiere, di fronte a un edificio da dismettere, demolire o ricostruire, e debba farsi carico dello smaltimento di tutte le macerie, i rifiuti e magari pure della bonifica dell’amianto. Da questa considerazione, tutt’altro che scontata, partono le politiche circolari di Arup (società internazionale di ingegneria e design) e Coima (piattaforma italiana per l’investimento immobiliare), che a REbuild hanno fatto il punto sulle sfide da affrontare nel settore edilizio per arrivare a chiudere il cerchio.
Essenzialmente si tratta di tre obiettivi, che riguardano l’intera filiera, dalla progettazione alla dismissione. Innanzitutto, ci si propone di aumentare la percentuale di interventi in modalità off-site. La prefabbricazione degli edifici in processi industrializzati e il loro successivo assemblaggio sul posto, consentono infatti di ottimizzare i tempi e i costi, di migliorare la sicurezza e di ridurre gli sprechi di materiali e risorse fino, addirittura, al 90%. Vantaggi che non valgono solo per la costruzione, ma anche per la riqualificazione. In questo campo, un esempio altamente innovativo è arrivato da Woodbeton con il suo Rhinoceros Wall: un esoscheletro multifunzionale che, applicato come un guscio sulle facciate degli edifici, permette di isolarli termicamente e nello stesso tempo renderli antisismici; il tutto senza far uscire i proprietari da casa e senza produrre macerie.
La seconda sfida è imparare a progettare per il disassemblaggio. Disegnare un edificio e sceglierne materiali e componenti già pensando al suo fine vita è un grande sforzo di lungimiranza, che però ripaga. Al momento della dismissione, prodotti e materiali ad alto contenuto riciclato o riciclabile potranno infatti essere reimmessi nel ciclo produttivo, generando nuovo valore. Il problema per chi progetta, al momento, è che il mercato ancora non offre una grande scelta di materiali certificati per la circolarità. La transizione è all’inizio, ma già diversi protocolli di sostenibilità tenuti in considerazione anche dal mondo della finanza (come Leed) hanno iniziato a includere criteri di circolarità per le componenti edilizie.
Infine, la flessibilità. Nell’economia circolare, prima del riciclo viene il riuso: principio validissimo anche per gli edifici. Progettare una struttura modulare e flessibile, per funzione e uso, la rende adattabile ai cicli di mercato. Un centro commerciale può trasformarsi in un hotel, o ancora diventare un condominio o sede di uffici. Rimettendosi così continuamente in gioco senza sprecare risorse e suolo.
Follow the money
Al cerchio manca ancora un anello: i soldi. Il punto, per essere prosaici, è capire in che direzione va la finanza. E pare, come si è ribadito più volte in questa edizione di REbuild, che alla finanza cominci a piacere molto la sostenibilità.
“I fondi di investimento oggi – ha spiegato Stefano Corbella di Coima – valutano positivamente l’edilizia off-site, la circolarità di processi e materiali, la flessibilità e modularità delle costruzioni. Il poter riconvertire un edificio da centro commerciale ad altra funzione, in qualche modo mette al sicuro dall’eventualità che l’immobile rimanga deserto per colpa, ad esempio, dell’e-commerce”.
Se la finanza si sposta verso l’edilizia sostenibile, il mercato della deep renovation rimane però ancora ristretto. Il che significa che i costi delle tanto necessarie riqualificazioni sono ancora troppo alti, sia per le famiglie che per molti enti pubblici. È un cane che si morde la coda, dal momento che se il mercato non si allarga i costi non potranno scendere. A rompere questo circolo vizioso ci sta provando una nuova realtà come Energiesprong, approdata di recente dall’Olanda anche in Italia.
“Si tratta – spiega Miorin – di aggregare la domanda per costruire un ambiente favorevole all’avvio di un processo su larga scala, che renda efficientamento e riqualificazione edilizia alla portata di tutti”. Il problema da risolvere non è tuttavia solo la scarsa disponibilità di fondi per realizzare gli interventi, ma è prima ancora la bassa produttività della filiera edilizia, che perciò tiene alti i prezzi. “Con l’industrializzazione, l’off-site, il recupero in ottica circolare dei materiali – conclude Miorin – questa produttività può aumentare, abbassando così i costi e innescando un vero mercato delle riqualificazioni”.
ReBuild, www.rebuilditalia.it/it