Parlare di crisi climatica non piace alla stampa italiana. Questa la conferma che arriva dal nuovo monitoraggio periodico effettuato dall’Osservatorio di Pavia, un istituto di ricerca specializzato in comunicazione, e commissionato da Greenpeace. Secondo i risultati dello studio, che ha analizzato la frequenza e le modalità con cui i quotidiani italiani hanno trattato le notizie legate al clima nel primo quadrimestre del 2024, si è osservata una diminuzione nella copertura della crisi climatica.

In media, i principali quotidiani italiani hanno pubblicato 4,4 articoli al giorno che menzionano almeno marginalmente il clima o la transizione energetica. Tuttavia, gli articoli specificamente focalizzati sulla crisi climatica sono stati appena uno ogni due giorni. Lo studio ha inoltre evidenziato una forte dipendenza della stampa italiana dalle pubblicità delle aziende più inquinanti, come le compagnie petrolifere, del gas, del settore automobilistico, aereo e crocieristico. Con l'eccezione di Avvenire, sugli altri quotidiani si registrano in media quattro inserzioni pubblicitarie a settimana da parte di queste aziende, un numero superiore a quello degli articoli dedicati alla crisi climatica.

Sulla base dei dati forniti dall'Osservatorio, Greenpeace ha aggiornato la classifica dei principali quotidiani italiani utilizzando cinque criteri di valutazione: la frequenza con cui affrontano notizie inerenti alla crisi climatica; la menzione dei combustibili fossili come una delle cause principali; lo spazio dato alle aziende inquinanti; la presenza delle loro pubblicità nei quotidiani; la trasparenza delle redazioni riguardo ai finanziamenti ricevuti da queste aziende.

Anche questa volta, come emerso dai monitoraggi precedenti, solo Avvenire si avvicina alla sufficienza, ottenendo 5,6 punti su 10. Il Sole 24 Ore ha migliorato la sua posizione grazie a una maggiore copertura della crisi climatica, raggiungendo i 3,8 punti. Seguono, con punteggi significativamente insufficienti, il Corriere della Sera (3,4), La Stampa (3,2) e Repubblica (2,6).

Intervistata da Materia Rinnovabile, Daniela Fassini, giornalista che scrive di clima e ambiente per Avvenire, ci ha spiegato come mai, secondo lei, le notizie sulla crisi climatica siano ancora così minoritarie sulla carta stampata: “Quello della crisi climatica è un tema sensibile, ovvero un tema delicato da affrontare. Non è semplice barcamenarsi tra gli scettici (non dico anche negazionisti) e le dichiarazioni degli scienziati, che però spesso e volentieri devono essere tradotte per il lettore perché rischiano di essere troppo di carattere scientifico”.

Interrogata poi su quale fosse la linea editoriale del suo giornale e sul perché Avvenire riesca a distinguersi positivamente rispetto agli altri quotidiani nazionali, ci ha risposto: “Personalmente, il buonsenso e il racconto il più possibile chiaro e semplice. E quando parlo di buonsenso mi riferisco alla salute del pianeta: la nostra casa. Ecco, questa è la nostra linea editoriale: informare in modo puntuale sullo stato di salute del nostro pianeta e cercare di indicare soluzioni alla portata di tutti, dal semplice cittadino a chi ci governa, con l’aiuto di scienziati ed esperti. Quanto alla seconda domanda, noi abbiamo un faro: Papa Francesco e la sua Laudato Si’. Lui ci sprona a raccontare e noi siamo ben felici di farlo, per il bene di quella Casa Comune e per tutti gli uomini che credono di dover preservare la vita, in tutti i sensi”.

Daniela Fassini

Abbiamo poi chiesto anche a Giacomo Talignani, giornalista per Repubblica da più di 15 anni e collaboratore di Green&Blue (il sito online del gruppo GEDI dedicato all’informazione ambientale), di commentare quanto emerso dai dati del rapporto. “Io non credo che le notizie sulla crisi climatica siano minoritarie nella stampa”, ci spiega. “Ciò che manca è la capacità di raccontare la crisi climatica per quella che è. Faccio un esempio: spesso nei giornali si utilizza ancora la parola ‘maltempo’ per raccontare un evento estremo che ha flagellato un dato territorio. Insomma: la crisi climatica è qualcosa che aleggia nei giornali ma non riusciamo a chiamarla con il suo nome, a definirne le cause, che pure conosciamo tutti. Indubbiamente questo succede perché ci sono ancora dei forti interessi politici ed economici a non dare il giusto peso ai responsabili di questa situazione, e cioè i combustibili fossili. Sulla carta stampata si fa ancora fatica, nell’online sto vedendo dei passi avanti, anche perché sempre più lettori iniziano a vedere con i propri occhi gli effetti del cambiamento climatico e sono interessati a leggere dell’argomento. Un altro fattore che contribuisce a far sì che lo spazio destinato alla crisi climatica sia marginale, o quantomeno poco approfondito, riguarda, secondo me, anche la mancanza di competenze giornalistiche specifiche su questi temi.”

“Quanto a Repubblica – aggiunge commentando la performance della sua testata nella classifica di Greenpeace − lavoro in questo giornale da moltissimi anni e non ho mai riscontrato pressioni o difficoltà particolari a trattare determinati temi. Quello che manca forse nel mio giornale, ma direi più in generale nel panorama dell’informazione italiana su carta, è una sezione ad hoc che si occupi di clima e ambiente, magari uno spazio quotidiano che affronti questi argomenti.”

“Se parliamo della presenza di inserzioni pubblicitarie legate al mondo oil&gas – conclude Talignani − certamente ciò accade principalmente per motivazioni di tipo economico. Ma questo è un problema strutturale che affligge tutta la stampa. In molti casi la sopravvivenza di una testata dipende dai finanziamenti delle grandi aziende che chiedono pubblicità, e questo a prescindere dal prodotto che vendono. Nel merito, so che alcune università estere, penso al Regno Unito, hanno deciso di non accettare più fondi da compagnie fossili. Applicare un ragionamento di questo tipo nei media italiani sarebbe sicuramente più coerente con un certo tipo di racconto. Chiaramente si tratta di dinamiche che non mi riguardano direttamente perché sono un giornalista e non un imprenditore. Per fare un esempio, credo che per il finanziamento dei grandi eventi si può e si deve pensare di fare un passo indietro, evitando sponsorizzazioni di aziende inquinanti. Immagino però che parlando di pubblicità su media generalisti che raccontano tanti tipi di storie, tra cui quelle sulla crisi climatica, sia più complesso dire di no.”

Giacomo Talignani

 

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Immagine di copertina: Juan Manuel Sanchez, Unsplash