A fine luglio l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l'accesso a un ambiente pulito e sano come un diritto umano universale. Questo nuovo diritto sarà fondamentale per affrontare la triplice crisi planetaria dovuta a cambiamento climatico, perdita di biodiversità, accumulazione di sostanze inquinanti e rifiuti negli ambienti naturali.

Risoluzione storica

Con 161 voti a favore e otto astensioni, il 26 luglio l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione storica che dichiara l'accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile un diritto umano universale.
La risoluzione
non è di per sé giuridicamente vincolante, ma stabilisce uno standard e secondo gli esperti avrà implicazioni a catena per le leggi e le politiche nazionali e per le future cause legali.
"Il benessere delle persone in tutto il mondo e la sopravvivenza delle generazioni future dipendono dalla salute del nostro pianeta", ha detto il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, secondo il quale questa decisione aiuterà gli Stati ad accelerare l'attuazione dei loro obblighi e impegni in materia di ambiente e diritti umani.
Il
diritto a un ambiente pulito e sano si aggiunge agli altri diritti umani fondamentali già riconosciuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. In una intervista alcuni giorni prima del voto, il relatore speciale sui diritti umani e l'ambiente alle Nazioni Unite David Boyd aveva spiegato che la risoluzione cambierà la natura stessa del diritto internazionale dei diritti umani, perché “anche se queste risoluzioni possono sembrare astratte, in realtà sono un catalizzatore per l'azione [e] cambiano la prospettiva delle persone, che passeranno dall'implorare a chiedere ai governi di agire".

Uno strumento per affrontare la triplice crisi planetaria

La risoluzione arriva dopo anni di campagne da parte di un gruppo di Paesi, di migliaia di Ong e di esperti delle Nazioni Unite. Agli inizi del mese di luglio la Corte suprema del Brasile ha dichiarato che l'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici deve essere considerato come un trattato sui diritti umani e deve prevalere sulle leggi nazionali. I sostenitori sperano che l'ultima risoluzione dell'Assemblea Generale possa portare ad altre decisioni come queste.
Secondo il Segretario generale António Guterres i
l nuovo diritto riconosciuto sarà fondamentale per affrontare la triplice crisi planetaria, cioè le tre principali minacce ambientali interconnesse che l'umanità si trova attualmente ad affrontare: il cambiamento climatico, l'inquinamento e la perdita di biodiversità, tutte menzionate nel testo della risoluzione.

Potenziali ripercussioni nei processi per disastro e inquinamento ambientale

"La risoluzione potrà avere in futuro degli effetti molto importanti in termini ambientali", spiega a Materia Rinnovabile Giuseppe Giarletta, Presidente del Centro di Azione Giuridica (CeAG) Campania e avvocato che assiste Legambiente Campania come parte civile nel primo processo in Italia per disastro e inquinamento ambientale da plastica in mare.
Nel 2018 il depuratore pubblico del comune di Capaccio Paestum (Salerno) ha avuto due incidenti consecutivi durante i quali 126 milioni di biomateriali plastici del tipo biochip (dischi bianchi) sono stati rilasciati nel fiume Sele e sono arrivati nel Mar Tirreno. Attualmente, solo 5,5 milioni dei biochip perduti sono stati recuperati sulle spiagge italiane e francesi e otto persone sono sottoposte a procedimento penale. "È difficile dire al momento se la risoluzione dell'UNGA potrà avere un impatto anche su questo processo, ma cercheremo di evidenziare come i fatti contestati siano l'ennesimo gravissimo, e non più tollerabile, episodio di degrado ambientale da contrastare per il bene di tutti", spiega l'avvocato che con il suo gruppo di lavoro ha previsto delle sessioni di approfondimento sui risvolti pratici della risoluzione.

Una spinta per l’approvazione del crimine di ecocidio?

Secondo gli esperti affermare semplicemente il diritto a un ambiente sano non è sufficiente. Gli Stati devono attuare i loro impegni internazionali e intensificare i loro sforzi. Cosa li incentiverà a farlo? Non possiamo contare solo sulla buona volontà e sull'ambizione”, dice a Materia Rinnovabile Jojo Mehta, Co-Founder & Executive Director di Stop Ecocide International e Chair di Stop Ecocide Foundation. “Il prossimo passo logico è quello di criminalizzare l'ecocidio (danni gravi e diffusi o a lungo termine all'ambiente), fornendo il quadro mancante per catalizzare una rapida attuazione degli accordi ambientali multilaterali.
dal 1972, quando si celebrò la Conferenza sullo Sviluppo Umano di Stoccolma, che la comunità internazionale discute del riconoscimento del crimine di ecocidio nell'ambito del diritto internazionale. Nel 2015 il movimento End Ecocide on Earth ha proposto una modifica allo Statuto di Roma, che istituisce la Corte Penale Internazionale, per far riconoscere l'ecocidio come un crimine contro l'umanità. Il riconoscimento del crimine di ecocidio aprirebbe le porte ad una giustizia preventiva attraverso l'istituzione di meccanismi di controllo ambientale e sanitario su scala globale.
“Il nostro diritto umano fondamentale è il diritto alla vita, ma non varrebbe molto se l'omicidio non fosse un crimine. Allo stesso modo, dobbiamo criminalizzare i danni più gravi alla natura se vogliamo proteggere il diritto a un ambiente pulito e sano”, conclude Jojo Mehta.

Immagine: Pietro De Grandi (Unsplash)