Località Villanova, a pochi minuti da Forlì, in Romagna. Qui sorge uno degli stabilimenti dell’Electrolux, multinazionale svedese attiva nella produzione di elettrodomestici. In questo impianto, durante lo scorso weekend, si è registrata una delle prime proteste legate al troppo caldo di quest’estate. “Chiediamo dieci minuti di pausa all’ora, distribuzione gratuita di acqua fresca e corretta refrigerazione degli ambienti − si legge in una nota sindacale − la modifica dell’orario di lavoro, in particolare, sarebbe importante per limitare i disagi creati dalle temperature torride.”
Il caso di Forlì non è un’eccezione. Quello appena trascorso è stato il giugno più caldo mai registrato da quando esistono le rilevazioni. Negli ultimi dodici mesi la temperatura media globale è sempre stata superiore di almeno 1,5°C rispetto al periodo preindustriale, quando ancora l’uomo non aveva iniziato a modificare il clima con l’emissione di gas serra. I dati li fornisce Copernicus, l’iniziativa dell’Agenzia spaziale europea che monitora l’atmosfera del pianeta.
Proprio in queste settimane la penisola, soprattutto nella sua parte meridionale, è avvolta da un’importante ondata di calore. Un promontorio di origine africana convoglia aria calda sul Sud Italia, portando le temperature vicino ai 40°C. La Sicilia è la regione più in crisi, perché l’evaporazione accelerata delle acque dovuta al caldo si aggiunge a una situazione di già grave siccità.
Le ondate di calore sono un problema sanitario ed economico reso sempre più intenso dalla crisi climatica. Ma, sulle soluzioni, in Italia si sta consumando uno scontro tra le organizzazioni dei lavoratori e quelle del mondo imprenditoriale.
Sindacati contro Confindustria
“Con l’arrivo del cambiamento climatico vediamo frequentemente giornate come queste, in cui lavorare è rischioso”, spiega a Materia Rinnovabile Davide Fiatti, segretario nazionale della FLAI, il sindacato agricolo della CGIL. I lavoratori delle campagne sono tra i più esposti ai pericoli delle alte temperature: l’estate scorsa si sono registrate morti di braccianti al lavoro a Brindisi, Foggia, Brescia. “La legislazione sul tema è lasca, si limita a dire che gli spazi devono essere idonei. Nell’agricoltura l’ideale sarebbe inserire per legge degli orari di stop”, continua Fiatti.
Il Ministero della salute invita in un opuscolo i datori di lavoro a ridurre l’attività nelle ore più calde, implementare un sistema di turni, aumentare la frequenza delle pause, garantire acqua e luoghi climatizzati per i momenti di riposo. Non abbastanza, per le organizzazioni che rappresentano i lavoratori di settori a rischio. Il 20 giugno si è tenuto al Ministero del lavoro un incontro tra sindacati e imprese. L’obiettivo era quello di trovare protocolli condivisi per affrontare l’emergenza caldo, ma si è concluso con un’impasse. “Le regole ci sono già. Questa è stata la nostra posizione al tavolo”, spiega a Materia Rinnovabile un portavoce di Confindustria.
Di segno opposto il parere della CGIL: “Abbiamo chiesto una temperatura oltre la quale interrompere il lavoro, sia per i settori outdoor sia per quelli indoor, e la cassa integrazione per le ondate di calore”, dice Sebastiano Calleri, responsabile sicurezza del principale sindacato italiano. “Solo quest’ultima richiesta è stata parzialmente recepita, ma non basta. Il governo non mostra nessuno sforzo per fronteggiare l’emergenza caldo, e le parti datoriali si sono dette indisponibili a qualunque accordo per affrontare il tema. Questo nonostante si calcoli che il caldo aumenti gli infortuni anche del 17%.”
Le richieste dei sindacati
A livello generale i sindacati centrano le proprie richieste su allargamento delle maglie della cassa integrazione e individuazione di temperature massime oltre le quali non lavorare. Ma settore per settore le rivendicazioni possono mutare. “In agricoltura assieme alla temperatura massima sarebbe utile ragionare su orari nei quali astenersi dal lavoro. La contrattazione, che è provinciale, ci permette peraltro di individuare misure aggiuntive ritagliate sul clima di ogni territorio”, aggiunge Fiatti. “Certo, poi le leggi vanno anche fatte rispettare, e in campagna non sempre i controlli sono adeguati.”
In tutte le nazioni europee si riconosce il diritto alla salubrità del posto di lavoro, ma quasi mai si indicano con precisione temperature limite. Tra i grandi paesi, solo la Spagna prevede nel proprio codice del lavoro che il termometro non possa salire sopra i 27°C per le attività d’ufficio, e sopra i 25° in caso di attività che implicano sforzo fisico. Ma si tratta di limiti, specifica la legge, validi solo per i lavori indoor.
L’impatto economico delle ondate di calore
L’impatto delle ondate di calore sulla sicurezza non è l’unica ragione per cui il caldo estremo può preoccupare le imprese: la letteratura scientifica indaga da tempo gli effetti dannosi dell’aumento delle temperature sulla crescita economica.
L’impatto economico delle ondate di calore si può dividere in due grandi categorie. La prima è rappresentata dagli effetti che le alte temperature provocano direttamente sui prodotti finiti, tipicamente agricoli, e sui materiali necessari alla produzione. La siccità che sta colpendo la Sicilia offre un esempio. “Il frumento duro è la coltivazione più diffusa per estensione in Sicilia, ma quest’anno è calata del 60% a causa della siccità”, spiega Giuseppe di Micieli, docente di agraria all’Università di Palermo. “Manca anche il foraggio per gli animali: la produzione è scesa dell’80%.” In queste situazioni l’ondata di calore è spesso concausa, si somma cioè ad altri fattori: nel caso siciliano, alle mancate piogge primaverili e invernali.
C’è poi l’influsso delle alte temperature sulla produttività. È l’impatto economico più diretto, e per questo più studiato. Uno studio molto ripreso lo scorso anno, commissionato dalla compagnia assicurativa tedesca Allianz, stimò l’impatto delle ondate di calore che tra maggio e agosto 2023 colpirono Cina, Stati Uniti ed Europa Meridionale in un calo dello 0,6% del prodotto interno lordo globale. La perdita di produttività deriva sia dalla maggiore difficoltà a svolgere i medesimi compiti con temperature più alte, sia dalla necessità di interrompere il lavoro nelle ore calde.
Lo studio di Allianz evidenziò anche come i danni sono tanto maggiori quanto meno è sviluppata l’economia che li subisce. Secondo i ricercatori la perdita maggiore si registrò in Cina, -1,3% del PIL nazionale, mentre tra i paesi occidentali meno colpiti ci fu la Francia, con appena un -0,1%. L’Italia perse in quei mesi per via del calo della produttività correlato al caldo eccezionale lo 0,5% del PIL.
Il riscaldamento globale cambia il lavoro
Secondo il Rapporto Europa di The Lancet Countdown on Health and Climate Change, pubblicato a maggio di quest’anno, “un aumento della temperatura oltre l'ottimale ha già ridotto l'offerta di lavoro nelle aree più calde d'Europa, mentre nelle regioni europee relativamente più fredde l'offerta di lavoro ha beneficiato del riscaldamento”. Il saldo, però, è negativo. Sempre nello stesso lavoro si legge come dal periodo 1965-95 al periodo 2016-20 si siano perse in media 17 ore di lavoro a testa nel corso dell’anno a causa dell’aumento delle temperature. I maggiori cali percentuali nelle ore lavorate sono stimati in Andalusia, nelle Isole Baleari, a Cipro e nella regione dell'Egeo meridionale.
L’Italia, per via della sua posizione geografica, è più esposta di altre nazioni agli effetti della crisi climatica. Per un paese mediterraneo, i rischi delle ondate di calore, sanitari ed economici, sono già oggi una realtà da affrontare. Anche e soprattutto da parte di imprese e lavoratori.
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