Nuove ricerche stanno scoprendo le potenzialità del fico d’India in un’ottica di economia circolare. Da soluzione efficace contro la desertificazione a fonte di biomateriali, questa pianta può aiutarci a contrastare il cambiamento climatico e a ridurre l’utilizzo di plastica.
Il fico d’India contro la desertificazione
Chiunque abbia avuto la fortuna di guidare per le strade della Sicilia rurale, tra coste cinematografiche e paesaggi desertici, avrà notato sicuramente quelle piante ai bordi della strada che sembrano essere immuni al clima arido della regione.
C’è una ragione per cui il fico d'India prospera in una zona così calda e secca ed è la stessa ragione per la quale sta venendo studiato e apprezzato ben oltre il suo utilizzo alimentare. Questa pianta infatti, grazie alla sua conformazione biofisica, ha bisogno di pochissima acqua per sopravvivere, riuscendo a immagazzinarne molta nei tessuti, sotto forma di idrogel.
Michele Russo conosce bene le proprietà di questa pianta. Imprenditore agricolo di Caltagirone (Catania), insieme alla moglie ha fondato Caudarella, azienda che ruota attorno alla coltivazione e alla trasformazione del fico d’India. “Quando ho deciso di iniziare un progetto di agroecologia nel piccolo terreno di famiglia sono partito dall'unica pianta che non aveva richiesto cure nel tempo in cui il terreno era stato abbandonato”, racconta Michele.
L’azienda è nata con l’obiettivo di diventare da subito 100% circolare “per due motivi: uno ambientale e uno economico: utilizzare tutte le parti del fico d’India ci permette di non sprecare risorse utili e non dover pagare per smaltire quegli sprechi. Dall’altra parte il surplus di produzione ci fornisce, con un po’ di creatività, fonti di reddito aggiuntivo oltre alla vendita del frutto”.
Michele produce infatti marmellate, birre, gelati e persino olio di semi di fico d’India.
Michele e Vittoria dell'Azienda Agricola Caudarella.
Ma c’è dell’altro. L’azienda è stata scelta per partecipare al progetto Desert Adapt, del programma europeo LIFE. “L’università di Palermo mi ha contattato perchè era interessata al mio caso. Stiamo studiando insieme il potenziale che la coltura del fico d’India ha nel contrastare la desertificazione: ci si è resi conto che è un sistema economico e scalabile che può essere utilizzato per arricchire il suolo in molte zone della Sicilia a rischio desertificazione o già desertificate.
L’obiettivo principale del Progetto Desert Adapt è documentare e sviluppare strategie innovative che favoriscano l’adattamento al cambiamento climatico contribuendo a migliorare sia la qualità del suolo che lo sviluppo vegetale in aree del Mediterraneo a rischio desertificazione.
La malta di fico d’India
Dalla conservazione degli habitat naturali a quella di opere d’arte il passo è breve.
Loretta Bacchetta, ricercatrice del laboratorio di bioprocessi e bioprodotti dell’ENEA (l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) racconta che “l’idea di una malta per il restauro nasce da una riflessione con i colleghi dell’ufficio di beni culturali. Il gel presente all'interno delle pale del fico d’India veniva infatti utilizzato da alcune civiltà precolombiane per dipingere. Assieme al Collegio di Michoacan abbiamo iniziato nel 2014 un progetto di ricerca finanziato dal MAECI (Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale) per studiare l’uso della mucillagine del fico d’india (un polisaccaride presente all’interno delle pale, nda) nelle operazioni di restauro. Abbiamo scoperto che la mucillagine è un ottimo fissativo e ha una biorecettività molto bassa. Questo significa che quando questa sostanza organica viene inserita in un contesto inorganico non rischia di venire degradata da funghi o microrganismi. Inserita a livello di malta (gesso e acqua), la mucillagine rende la consistenza del composto più omogenea, migliora la porosità e la resistenza alla pressione meccanica. Queste proprietà la rendono la migliore soluzione per il restauro rispetto alle altre alternative organiche.”
Le pale per la produzione della malta arrivano da San Cono (Catania) dove gli agricoltori biologici di fico d’India cercavano una destinazione per gli scarti di potatura. Così si è formata una sinergia industriale “che è uno degli obiettivi principali alla base delle attività dell’ENEA” conclude Bacchetta.
Dalla Sicilia al Messico, una bioplastica commestibile
Se l’Italia è il primo produttore di Fico d’India in Europa, il primo produttore al mondo è il Messico. Il fico d’India, comunemente detto nopal in Centro America, è infatti un frutto già largamente utilizzato in questo paese e non poteva quindi che arrivare da qui una delle scoperte più interessanti riguardo a questa pianta.
La ricercatrice Sandra Pascoe Ortiz nel suo laboratorio.
Sandra Pascoe Ortiz, professoressa di ingegneria chimica all’Universidad del Valle de Atemajac, ha infatti brevettato un procedimento per produrre bioplastica a partire dal succo del nopal.
Studiando la varietà più diffusa, opuntia ficus indica, Pascoe Ortiz ha notato come la composizione di zuccheri e gomme del nopal è la stessa alla base della creazione di sostanze bio polimeriche, ovvero i “mattoni” che formano la plastica.
Estraendo e miscelando il succo del nopal con glicerina, proteine e cere naturali si ottiene un liquido che viene poi laminato ed essiccato: il materiale finale è una bioplastica atossica, biodegradabile e commestibile.
Ad oggi la produzione impiega 10 giorni per passare dalla pianta al prodotto finale ma il laboratorio di Pascoe Ortiz sta svolgendo ulteriori ricerche per ridurre i tempi di produzione, scalare ed efficientare il processo di produzione di questo materiale.
Design sostenibile
Sempre più designer e creativi stanno studiando i processi naturali per capire come riutilizzare scarti di produzione industriali e trovare ispirazione per nuovi prodotti sostenibili.
La Lampada di fico d'India realizzata dal designer Renato Belluccia.
Per quanto riguarda il nopal, ci sono le suggestive lampade di Renato Belluccia, fatte interamente da scarti di fico d’India, il progetto Sikalindi che realizza parti di mobili in fibra di fico d’India, l’ecopelle a basso impatto e alternativa più sostenibile rispetto a pelli animali e sintetiche. Ci sono addirittura gli occhiali da sole fatti di fibra di nopal.
Da una pianta spesso ignorata ai lati delle strade a “superfood” dalle mille proprietà, quante opportunità può portare un cambio di prospettiva.