Radicale, visionario, eccentrico, ironico, inedito e fuori dagli schemi. Sfacciatamente, audacemente e goliardicamente utopistico. Lo si odia o lo si ama, ma certo non lascia indifferenti il progetto di socio-urbanistica immaginaria di Alan Marshall, neozelandese professore e ricercatore in Scienze Sociali alla Mahidol University di Bangkok. “Ecotopia 2121”, nato come programma di ricerca con gli studenti sul futuro ambientale e sociale delle città e poi diventato un volume dalle magnifiche illustrazioni, si compone di 100 visioni avveniristiche di città reali, trasformate in utopie verdi, a volte idilliche altre volte decisamente inquietanti o provocatoriamente assurde. Un lavoro interdisciplinare nel senso più ampio del termine, che fonde arte, narrativa, ecologia, sociologia, urbanistica e design, nella convinzione che per immaginare il futuro non ci si debba privare di nessuno strumento. Soprattutto della fantasia. Ne abbiamo parlato con Alan Marshall.

 

Come le è venuta l’idea?

“Il progetto Ecotopia 2121 è nato esattamente il primo gennaio 2013. Il 31 dicembre avevo preso un volo dal sud-est asiatico verso la Repubblica Ceca per iniziare un semestre di ricerca. Avevo programmato di trascorrere un’eccitante serata a bere grappa in un’affollata e nevosa festa di piazza, guardando uno spettacolo di fuochi d’artificio con sfondo di castello medievale affacciato da una collina sulla città. Ma ahimè… faceva troppo freddo! Il mio fisico abituato al clima tropicale non poteva reggere temperature di -10°. E così mi rassegnai a guardare i fuochi da dietro il vetro di una finestra, cercando un’idea per il mio nuovo progetto di ricerca. La vista che avevo di fronte mi fu in qualche modo di ispirazione: il primo dell’anno si fece spazio nella mia mente l’idea di realizzare degli ipotetici scenari di ideali ‘città verdi’.”

 

Almaty 2121 by A. Marshall

 

Da dove viene il termine Ecotopia?

“Sembra che la parola sia stata introdotta per la prima volta dal giornalista Ernest Callenbach. Era il titolo di un suo romanzo, pubblicato negli anni ’70, che immaginava la nascita di un’Utopia Verde, in stile hippy, sulla costa pacifica degli Stati Uniti. ‘Eco’ si riferiva ovviamente a ecologia, mentre ‘topos’ sta per luogo.

A parte il nome, non posso dire di essere stato direttamente influenzato dal lavoro di Callenbach. Lui prendeva molto più sul serio la costruzione immaginaria di una città ideale, dal momento che credeva fermamente nella versione ortodossa dell’Utopismo. Io, invece, sono stato maggiormente influenzato dall’‘Utopia’ di Thomas More, che con la sua spiazzante e provocatoria fantasia di un paese ideale, giocava, si burlava e ridicolizzava l’Inghilterra del 16° secolo.” 

 

Perché proprio l’anno 2121?

“In tutto il mondo, dal 2000 in avanti, molti urbanisti hanno adottato la ‘Visione 2020’ in diverse città per allineare la metafora dello standard 20/20 dell’acutezza visiva con l’anno 2020: una data futura ‘visibile’, a portata di identificazione e di influenza diretta. Volevo rimarcare il contrasto con questo concetto e ho scelto così una data in un futuro abbastanza lontano da distorcere questa chiarezza di visione. Guardando al 2121, la nostra visione progettuale e sociale non può essere perfetta, così come la nostra influenza diretta sarà probabilmente molto debole. Ora, dal momento che il 2121 ci appare piuttosto sfocato e incerto, per costruirne una visione diventa necessario l’aiuto dell’immaginazione.”

 

Antalya 2121 by A. Marshall

 

Parliamo delle 100 città che compongono Ecotopia. Una è Wellington, in Nuova Zelanda: la sua città natale. Ma come ha scelto le altre 99? Alcune sono quasi sconosciute…

“Alcune di queste città hanno colpito me e i miei studenti per le loro intriganti o originali storie di decadenza ambientale o di speranza ecologica: come Almaty in Kazakistan, La Paz in Bolivia o Moynaq che una volta era un porto sul Lago d’Aral, oggi in gran parte prosciugato. Altre sono state scelte solo in quanto città ‘Alpha’, conosciute in tutto il mondo e perché, con tutta probabilità, un pubblico interessato al progetto si aspetta di vederle incluse: metropoli come New York, Londra o Tokyo. Altri nomi, come Nador, Daway City e Gongshan, sono emersi da suggestioni degli stessi studenti che magari avevano visitato questi luoghi o semplicemente ne volevano sapere di più.”

 

Il progetto è nato, appunto, nell’ambito del suo corso di Studi Sociali alla Mahidol University di Bangkok, città dove vive. Allora perché Bangkok non è nella lista?

“Io e i miei studenti, in realtà, avevamo ideato una serie di scenari su Bangkok. Ma tutti in qualche modo presupponevano una presa di posizione sulla drastica interferenza militare nella vita politica e civile della Thailandia del secolo a venire. Non sarebbe stato un problema parlarne se in questo momento la Thailandia avesse un governo civile, ma come si sa al potere c’è una giunta militare non eletta, che costantemente avverte gli intellettuali e gli studenti attivisti di non pubblicare materiali che critichino l’esercito. Così, per evitare qualsiasi problema ai miei studenti, ho deciso di conservare per il momento gli scenari di Bangkok nella nostra immaginazione, in attesa che nel paese torni la democrazia.”

 

Wellington 2121 by Alan Marshall

 

Quale è stata la città più difficile su cui lavorare? E la sua preferita?

“Bangkok è stata di certo la più difficile per le ragioni che ho già detto. Una a cui sono particolarmente affezionato è Birmingham. Perché ci ho vissuto da studente, ma soprattutto perché lo scenario immaginato mette in campo la storia, l’ecologia, il design, la sociologia e anche un bel po’ di poesia per creare una città realistica in cui sarei davvero felice di vivere. I miei scenari preferiti sono tuttavia quelli più irriverenti e satirici, come Minsk o Palo Alto.”

 

Come ha lavorato con gli studenti per costruire ciascuna delle visioni delle 100 città del futuro? 

“Visto che il mio ambito di ricerca all’università sono gli Studi Sociali, il punto di partenza in genere è stato la costruzione di una ‘narrativa del cambiamento sociale’, così da enfatizzare il ruolo di trasformazioni sia lente sia veloci verso città più ecologiche. Credo che gli studenti sarebbero andati pazzi per certi modelli sperimentali di progettazione urbanistica che sembrano fatti apposta per stuzzicare la loro fantasia. In realtà, io li ho istruiti su un preciso metodo di costruzione di scenari, ma ho forti sospetti che alcuni di loro abbiano prima disegnato le loro visioni, e solo dopo abbiano pensato agli ‘agenti di cambiamento sociale’ e abbiano infilato nel lavoro qualche tecnologia interessante o qualche originale sfida ambientale. Ma alla fine va bene così, se sono riusciti a dare un contributo alla riflessione sul futuro delle città che hanno scelto. In effetti, molti studenti inizialmente hanno avuto trovate piuttosto banali, stereotipate o troppo tecnologicamente determinate, così ho dovuto costantemente vigilare ed esercitare la loro immaginazione ecologica e sociale.”

 

London 2121 by A.Marshall

 

Che cosa si intende con “Fantasy Method of Urban Design”? Forse gli urbanisti hanno bisogno di un’iniezione di immaginazione?

“È il metodo che ho sviluppato per gli studenti e consiste in alcune fasi: scegliere un’opera significativa di genere fantastico o fantascientifico; elaborare un progetto urbanistico basato su quest’opera di fantasia per una città esistente; identificare e prevedere quali agenti di cambiamento potrebbero in effetti dar vita al progetto urbanistico disegnato; infine, dare forma grafica al progetto.

Uso questo metodo come uno strumento critico verso quel tipo di progettazione urbanistica che continua a tormentarci con le proprie visioni sponsorizzate e ‘aziendalizzate’ di città dominate dalla tecnologia. Le fantasie verdi di Ecotopia 2121 si offrono come alternative a quegli ‘illuminati’ e ‘innovatori’ che allegramente buttano i soldi dei contribuenti in fantasie urbane anti-democratiche e quasi tecno-dittatoriali come la Smart City, gli hyperloop, la fusione nucleare, le auto a guida autonoma, gli ascensori spaziali e il sea-steading.”

 

Quello delle smart cities è un mito già al tramonto? Molti futurologi, come Bruce Sterling, lo stanno ora criticando...

“Sì, è interessante vedere come alcuni teorici urbanisti ora esaltino le dumb cities (le città stupide) come un’alternativa più giusta e democratica, più favorevole ai lavoratori e meno monopolizzata da Google e Amazon rispetto alle smart cities. Ciò che io, personalmente, critico delle smart cities sono soprattutto i problemi che incontrano nei paesi in via di sviluppo, e che abbiamo messo in luce nello scenario di Mumbai 2121 (In Ecotopia 2121, è immaginata come una città divisa in due: da una parte i soliti slums, senza gabinetti né elettricità; dall’altra una smart green city che adotta tutte le tecnologie più all’avanguardia, un ghetto dorato e ipertecnologico da cui sono tenuti fuori i cittadini di serie B, ndr).”

 

Minsk 2121 by Alan Marshall

 

Cosa pensa dei vari progetti di ideali “città verdi”, costruite da zero, che regolarmente balzano agli onori delle cronache? Qualcuno l’ha particolarmente colpita?

“Alcune sono visivamente impressionanti. Ci siamo arrangiati con fotocamere digitali, photoshop e modelli architettonici fatti con tappi di bottiglie di plastica, non possiamo certo competere con i budget stellari di studi architettonici internazionali americani o cinesi. Detto questo, sappiamo tutti che le città ideali edificate da zero sono appannaggio dei dittatori o dei colossi della tecnologia. Alcune nascono come greenwashing, allo scopo di bonificare siti industriali abbandonati; altre per diventare una sorta di vanaglorioso lascito in eredità; altre semplicemente per fare miliardi di dollari. Si possono trovare alcune città costruite da zero in Ecotopia 2121, ma in genere sono lì con intenti satirici.”

 

Uno degli aspetti che più colpiscono del progetto Ecotopia 2121 è che ogni ritratto di città è costruito sia come un lavoro di arte visiva sia come un breve racconto, creando così una narrazione a tutto tondo. Questo ci riporta al libro di Amitav Ghosh, La grande cecità, e al suo appello a scrittori, artisti e storyteller di varia natura per creare un immaginario narrativo sulla crisi ambientale e sul cambiamento climatico. Perché, secondo lei, scienziati e attivisti ambientali non riescono mai veramente a raggiungere il grande pubblico?

“Negli ultimi 50 anni, molti scienziati di orientamento ecologista sono stati determinanti nel coinvolgere il pubblico e hanno co-creato il movimento ambientalista. Ma le risorse del movimento ambientalista non sono ancora paragonabili al potere delle industrie, dei governi autoritari, del conservatorismo sociale degli stati e del mercato globale. Questi settori possono utilizzare l’arte e la fantasia tanto quanto la legge, il capitale o il potere politico per continuare a promuovere l’attuale modello di industria globalizzata. Il progetto Ecotopia 2121 offre dunque cento proposte per rovesciare, superare, spostare e trasformare la nostra società industriale in una società ecologica. Certo, questo significa che arte e immaginazione hanno un ruolo importante, ma lo hanno anche, ovviamente, la progettazione, la politica, le leggi, l’economia, l’ingegneria, la psicologia e ogni altra espressione della civiltà umana.”

 

So che sta lavorando a un nuovo progetto: Frankencities, una versione distopica di Ecotopia 2121. Di che si tratta?

“Be’, una delle prime reazioni da parte dei lettori agli scenari utopici di Ecotopia è stata: ‘Sì, bello, ma chi prendiamo in giro? Il mondo nel 2121 sarà con tutta probabilità una sporca, buia landa disastrata e climaticamente devastata!’.

Siccome ho una certa simpatia per questo tipo di critiche, ne ho fatto tesoro e ora sto preparando 100 versioni distopiche di città del futuro, che partono dal presupposto di una sconfitta del movimento ambientalista e di una vittoria del modello industriale.” 

 

Il libro che raccoglie il progetto “Ecotopia 2121” è stato pubblicato nel 2016, giusto 500 anni dopo “Utopia” di Thomas More, che lei citava. Qual è dunque il ruolo del pensiero utopico oggi? Lo abbiamo buttato fuori dalla porta della politica, può rientrare dalla finestra del movimento ambientalista?

“Per quanto mi riguarda, la spinta utopistica innesca l’idea che un mondo e una società ‘migliori’ siano possibili. Se non siamo capaci nemmeno di immaginarli e non riusciamo a comunicare queste nostre visioni, allora il mondo è davvero destinato a diventare una distopia.”  

 

 

Ecotopia 2121, www.ecotopia2121.com

Immagine in alto: Moynaq 2121 by SKDiz & A. Marshall