L’acciaio è uno dei materiali a più alta impronta carbonica del mondo. Per ogni tonnellata prodotta vengono rilasciate in atmosfera due tonnellate di CO₂. Si tratta di un bilancio climatico critico che però è destinato a cambiare, visto il grande fermento attorno alle nuove tecnologie di decarbonizzazione. Ne abbiamo parlato con Andrew Purvis, direttore del dipartimento Sustainable Manufacturing presso la World Steel Association, che abbiamo intervistato durante il Global Energy Transition Congress, il Congresso mondiale della transizione energetica (GET). Purvis ci ha offerto una panoramica dei trend, delle sfide e delle tecnologie che rivoluzioneranno il modo di produrre l’acciaio.
Direttore Purvis, come sta procedendo il processo di decarbonizzazione dell’industria siderurgica?
Abbiamo la responsabilità di ridurre le emissioni e, per farlo, il processo di decarbonizzazione dovrebbe basarsi su un approccio a tre fasi: dobbiamo assicurarci che ogni tonnellata di acciaio sia prodotta nel modo più efficiente e con il minimo impatto possibile. Per esempio adottando protocolli operativi che permettono di ottenere materie prime di qualità efficientando il processo metallurgico. Questa è probabilmente la più grande opportunità a breve termine. La seconda fase affronta il tema della circolarità. Dall’inizio del millennio la crescita produttiva cinese è stata straordinaria e nei prossimi quindici anni una buona parte del loro acciaio raggiungerà il fine vita. Prevediamo che ci sarà grande disponibilità di rottami in Cina e in Europa. Ogni tonnellata di acciaio riciclata evita l’emissione di due tonnellate di CO₂.
Ma con la domanda di acciaio destinata ad aumentare il riciclo non sarà sufficiente. Cosa altro serve?
Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale nel modo di produrre acciaio. Però mi permetta subito di sottolineare il fatto che non ci sarà un’unica tecnologia in grado di farlo. Esistono anche impianti di cattura e stoccaggio di anidride carbonica, l’idrogeno da fonti rinnovabili oppure un processo a elettrificazione diretta utilizzato per produrre l’alluminio. Le prime dimostrazioni di queste tecnologie rivoluzionarie le stiamo vedendo ora. In Svezia il progetto della H2 Green Steel porterà sul mercato un acciaio di qualità probabilmente tra dieci anni. Ci sono posti come la Svezia in cui l’idrogeno funziona perché c’è tanta disponibilità di energia rinnovabile.
Qual è a oggi la tecnologia di decarbonizzazione più promettente?
Dipende dai paesi. Diverse aziende europee hanno scelto di puntare sull’idrogeno, anche se non sono convinto sia il silver bullet. Ma se allarghiamo lo sguardo e pensiamo all’Asia, da cui proviene il 70% dell’acciaio globale, credo che sarà la cattura e lo stoccaggio del carbonio ad avere un ruolo di primo piano. In ogni caso servirà un ecosistema attorno che supporti l’industria siderurgica. Dall’elettricità a basse emissioni di carbonio alle infrastrutture di storage ben conosciute dal settore oil & gas, fino al ruolo dei governi.
L’Asia ha in mano il pallino del gioco. Sono abbastanza ambiziosi gli obiettivi climatici delle compagnie cinesi e indiane?
Ho calcolato che il 90% dell'attuale capacità di produzione di acciaio nel mondo avviene in paesi con obiettivi Net Zero. Sì, si può sostenere che i target di neutralità climatica di India e Cina siano meno ambiziosi di quelli europei da centrare entro il 2050. Ma l'acciaio è la merce più scambiata al mondo, quindi se i produttori cinesi vorranno rimanere competitivi a livello internazionale dovranno proporre ai propri clienti prodotti sempre più sostenibili. E già numerose aziende asiatiche hanno annunciato obiettivi climatici simili a quelli europei.
A proposito di competitività, quali sono gli impatti del Carbon Border Adjustment Mechanism europeo sul mercato globale dell’acciaio?
Sul regolamento notiamo molto interesse da parte dei produttori asiatici e statunitensi che esportano in Europa. Ma anche altri paesi stanno pensando a un proprio CBAM. Nel Regno Unito si discute di un regolamento leggermente diverso da quello europeo. Australia e Stati Uniti adotteranno versioni ulteriormente differenti. Penso che se crediamo nel libero scambio dobbiamo assicurarci che questi sistemi non diventino barriere al commercio.
Con tutti questi cambiamenti radicali, soprattutto tecnologici, come vi state attrezzando per formare i lavoratori del futuro con le cosiddette green skills?
Stiamo lavorando con le università. Abbiamo creato la Steel University che è il nostro veicolo per comunicare le opportunità lavorative e i nostri corsi di formazione. E abbiamo anche fatto parte di un progetto europeo che ha mappato tutte le competenze green che i giovani lavoratori avrebbero bisogno per lavorare nell’industria sempre più elettrificata.
Immagine: Karla Villaizan, Unsplash