La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi. È questo il titolo del rapporto che ReCommon ha pubblicato il 7 novembre, in doppia concomitanza con l’inizio della COP27 di Sharm el-Sheikh e con il primo incontro bilaterale tra il Presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi e il premier italiano Giorgia Meloni.
Nella pubblicazione, l’associazione esamina il “rapporto fin troppo stretto e proficuo” delle compagnie fossili Eni e Snam, della principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, e dell’assicuratore pubblico SACE con il leader egiziano.
Egitto e la sospensione dei diritti civili, ben prima di COP27
In molti nelle ultime settimane (per non dire mesi) si sono interrogati sulla necessità di organizzare in Egitto la 27esima Conferenza delle Parti sul Clima. Il dilemma nasce dalla gestione non certo democratica da parte del governo egiziano dei rapporti con il mondo delle opposizioni, vere o presunte. Secondo Amnesty International, al-Sisi, in carica dal 2014, si sarebbe macchiato di innumerevoli crimini: repressione dei diritti alla libertà d’espressione e associazione, mandati di comparizione illegali, misure cautelari extragiudiziali, tortura, pena di morte, discriminazione di genere. Per non parlare delle persone arbitrariamente detenute. Sono infatti migliaia – tra difensori dei diritti umani, giornalisti, studenti, politici e imprenditori – le persone colpite dalla “macchina della sicurezza” del regime. Tra questi figurano anche Giulio Regeni, ricercatore italiano assassinato nel 2016, e Patrick George Zaki, attivista e ricercatore egiziano dell’Università di Bologna, prigioniero di coscienza tutt’ora costretto in uno stato di detenzione preventiva che, di rinvio in rinvio della sentenza, non sembra avere fine.
Due casi, quelli appena menzionati, che a livello diplomatico hanno provocato solo attriti e niente conseguenze. Anzi, negli anni l’export italiano nel Paese non ha subito flessioni, arrivando nel 2021 a sfiorare i 3,8 miliardi di euro, vendite di armamenti e investimenti in fonti fossili inclusi, anche da società partecipate dallo stato italiano.
Eni e Snam, il ruolo dell’Oil&Gas italiano in Egitto
Eni è una delle quattro società che ReCommon accusa di continuare a investire in Egitto, paese nel quale si trova il volume maggiore delle riserve di gas della compagnia petrolifera, oltre il 20% del totale. La produzione nel Paese della principale multinazionale energetica italiana, partecipata dallo Stato, rappresenta il 60% del totale nazionale. Inizialmente - si legge nel report – “sembrava che il cane a sei zampe avesse puntato i piedi in seguito all’uccisione di Regeni, ma gli interessi legati al giacimento di Zohr – scoperto pochi mesi prima – hanno poi derubricato ogni discussione su democrazia e diritti umani. Grazie soprattutto ai progetti di Eni, il regime di al-Sisi ha conquistato un ruolo di primo piano sullo scacchiere energetico internazionale”.
Situazione non molto diversa per Snam, il più grande operatore del sistema di trasporto del gas in Europa nonché società partecipata dallo Stato italiano, che nel 2021 ha finalizzato l’acquisizione del 25% della East Mediterranean Gas Company (EMG), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon tra Israele ed Egitto, anche noto come “Peace Gas Pipeline”. Infrastruttura che gli autori del rapporto definiscono “sicuramente strategica per gli scambi energetici tra i due paesi e nodale per le mire del Generale al-Sisi, ma anche opaca nella sua composizione societaria, su cui pendono ombre pericolose.”
Intesa Sanpaolo e SACE, credito e garanzie per gli investimenti internazionali
Sono gli istituti di credito e le istituzioni finanziarie a permettere l’attuazione di tutti questi investimenti infrastrutturali. Tra queste c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo. “Partecipata anche dallo Stato egiziano – fa sapere ReCommon nel report - Bank of Alexandria si vanta di essere il canale privilegiato per gli investimenti italiani nei settori strategici per l’Egitto, in primis il comparto Oil&Gas e quello dell’acquisto di armi, tanto ‘caro’ al regime.”
Infine, ultimo ma non meno importante attore nel controverso tessuto di relazioni tra Italia ed Egitto, c’è SACE. Sigla di Servizi Assicurativi del Commercio Estero, SACE è l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze che sostiene gli investimenti delle imprese italiane all’estero. Se le cose vanno male, la società rimborsa le aziende oppure le banche che hanno prestato soldi alle aziende per i loro progetti: in entrambi i casi con soldi pubblici.
Dal suo insediamento a oggi, il regime di al-Sisi avrebbe beneficiato di almeno 3,9 miliardi di euro di garanzie emesse da SACE. Una cifra che tiene conto solamente delle operazioni relative a quei progetti che possono avere ripercussioni ambientali e sociali che vanno da gravi a irreversibili: raffinerie, oleodotti, gasdotti, centrali termoelettriche, petrolchimici, dighe e altre mega-infrastrutture. Secondo ReCommon “l’importanza rivestita dall’Egitto nel portafoglio di SACE si evince da due operazioni di garanzia: quella per la raffineria MIDOR e quella per la raffineria di Assiut, avvenuta a febbraio 2022”. Entrambe sarebbero le più grandi mai emesse da SACE nel settore Oil&Gas.
Riguardo il report di ReCommon, interrogata da Materia Rinnovabile, SACE ha preferito non commentare.
Image: Zbynek Burival (Unsplash)