Si è fatta notare per le sue proposte e per la spiccata vena politica, anche se molti la ricordano per aver risposto per le rime ad Andrea Giambruno, allora compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e alle sue parole sugli stupri. La neoeletta europarlamentare Benedetta Scuderi (gruppo Greens/EFA), classe 1991, già portavoce dei giovani dei Verdi Europei e cofondatrice dei Giovani Verdi Italiani, ha un curriculum vitae solido (laurea con lode in giurisprudenza e due master, uno su Sostenibilità ed energie conseguito alla Bocconi di Milano e l'altro in Politiche pubbliche all'University College of London) e idee ben chiare sul suo mandato europeo. Materia Rinnovabile l’ha raggiunta nel suo nuovo ufficio al Parlamento europeo per discutere delle nomine europee e delle azioni da intraprendere per la transizione industriale green.

Partiamo dal risultato elettorale. A che cosa è dovuto questo exploit dei Verdi e della sinistra in Italia?

Un programma forte, molto apprezzato dalla comunità scientifica e dalla società civile insieme a candidature forti come Ilaria Salis, Mimmo Lucano o Ignazio Marino che hanno dato visibilità alle proposte di un partito a cui non viene dato spesso spazio mediatico. Ha convinto una campagna fondata su meno ideologia e più azioni concrete, sostenuta da un lavoro sui territori importante, con tante persone nelle nostre liste molto valide, con tantissimi under 35, con competenze diversificate, dal clima alla giustizia sociale, dal lavoro ai temi LGBTQ. Questo ci indica la strada per consolidare il risultato e crescere ancora di più a livello nazionale.

Domenica in Francia Marine Le Pen potrebbe vincere sconfiggendo Macron, con effetti importanti anche in Europa. Che succederà?

Il mio primo sentore: non è tutto così nero come sembra. Ma sono preoccupata, in Europa c’è preoccupazione. Non so se è eccesso di ottimismo ma spero ancora che la sinistra si unisca e vinca, stanno ancora a pochi punti di distanza. La Francia ha un peso enorme in Europa e a livello globale, può spostare significativamente a destra il Consiglio e le istituzioni europee.

C’è un accordo sui top jobs: Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas. Ora la palla passa al Parlamento.

In questo caso l’ago della bilancia lo deve giocare S&D, abbiamo un PD in Italia che si erige a maggiore forza di opposizione. Per questo non si può includere ECR, la cui parte moderata è rappresentata da Giorgia Meloni. Le due opzioni che rimangono a popolari, liberali e democratici sono: o non fare niente e lasciare questa maggioranza in balìa dei franchi tiratori, o allearsi a noi Verdi e avere più certezze di stabilità e più forza sul Green Deal. Accogliere ECR vuol dire distruggere il Green Deal.

Quali sono i dossier su cui vorresti lavorare nei prossimi cinque anni?

Ancora non ci sono state le suddivisioni delle commissioni del Parlamento, ma il tema di mio interesse è la transizione industriale, non solo del segmento hard to abate, ma legata alla creazione di nuove industrie, come quelle delle energie rinnovabili, la filiera delle batterie, dell’economia circolare, sostenuta da ricerca e sviluppo. Dunque, spero di poter lavorare nella Commissione industria energia e ricerca (ITRE) e sostenere la transizione creando le giuste competenze, unendola anche ai temi sociali, dunque integrando le persone più escluse dal mondo del lavoro: donne, giovani, comunità discriminate e razzializzate, così da avere una transizione che non solo crei posti di lavoro, ma che lo faccia anche in modo equo e giusto.

La “transizione giusta” dovrà essere il leitmotiv del “Green Deal secondo atto”. Come lo si finanzierà?

Pensiamo a un contributo dei grandissimi patrimoni per un fondo per la decarbonizzazione legato alla Just Transition che potrebbe movimentare 200 miliardi l'anno semplicemente chiedendo un contributo piccolissimo, a partire dallo 0,5%, pensato a scaglioni per patrimoni sopra i 4 milioni di euro, una cosa iniqua secondo chi deve pagare ma che può movimentare risorse importanti. Poi ci sono i temi di armonizzazione della fiscalità a livello europeo, che può incrementare le risorse della transizione, di eliminazione dei paradisi fiscali dentro l’Unione e di lotta all’evasione, in cui l’Italia detiene un primato importante. Infine serve una tassonomia sociale da affiancare a quella tassonomia europea ambientale per investimenti sostenibili a impatto sociale positivo: in questo modo si caratterizzerebbero ulteriormente gli investimenti green che possono andare a particolare beneficio di individui e comunità. La finanza ha tantissime risorse, il compito del legislatore è quello di indirizzarla correttamente, evitando il business-as-usual.

Che posizione prenderete sui dazi alle frontiere?

Il commercio è inevitabile. Dire “non compriamo più dalla Cina” è tecnicamente impossibile. Se i dazi sono misure provvisorie devono essere accompagnate da misure strutturali. Se mettiamo dazi sulle auto elettriche cinesi e non incentiviamo la produzione di auto elettriche nel mercato europeo creando economie di scala non funziona. Per questo il lavoro sul rafforzamento dell’industria europea per la transizione è la chiave. Un altro tema su cui lavorare è una tassazione ambientale, per far sì che gli stessi identici standard europei vengano rispettati anche all’estero o dalle aziende inquinanti, allo scopo di favorire i produttori europei che, per rispettare i regolamenti e gli standard ambientali, hanno un aumento dei costi. Questo incentiverebbe un miglioramento ambientale a livello globale.

C’è una proposta per un Blue Deal sull’acqua. La supporterete?

Certamente, l'acqua è, almeno in una parte d'Europa, un tema che ci metterà in ginocchio se non affrontato bene, essendo una parte fondamentale della transizione. Basta vedere cosa sta succedendo in Sicilia.

E il New European Bauhaus, strumento di cultura e design legato alla transizione tanto caro a von der Leyen?

Sono scettica su questo tipo di progetti top-down, molto legati a eventi spot, un po’ fighetti, che non portano a una cultura consolidata. Piuttosto spenderei quelle risorse per formazione nelle scuole o nei posti di lavoro, con campagne di sensibilizzazione per educare davvero alla transizione. Serve una consapevolezza dal basso.

 

Immagini: Bendetta Scuderi