Basti ricordare l’opera letteraria e di ricerca personale di H.D. Thoreau, il conservazionismo di John Muir, la denuncia di Rachel Carson di Primavera silenziosa, i movimenti ambientalisti antinuclearisti. E ancora, il lavoro di ricerca di Lester Brown con il suo Worldwatch Institute, Amory Lovins e il suo Rocky Mountain Institute, Bill McKibben, fondatore del primo movimento globale per fermare il cambiamento climatico. Infine, oggi, la nascita del movimento Sunrise e la nuova onda del Green New Deal, ben incarnato dalla politica Alexandria Ocasio-Cortez. Eppure nonostante tutto ciò, per anni, la penetrazione del concetto di economia circolare in Usa è stato limitato. Fino a pochi mesi fa il termine era assente nel discorso pubblico e specializzato. Pochi eventi sul tema, presenza minima sui media, e totale ignoranza della teoria, anche da parte di esperti e addetti ai lavori.

Oggi la musica è cambiata. Gli Usa hanno iniziato a lavorare sul concetto di economia circolare, sia nel settore privato sia in quello pubblico, come racconta lo speciale all’interno di questo numero di Materia Rinnovabile. Il 2020 sarà l’anno del boom a stelle e strisce. Merito della MacArthur Foundation, che sta investendo risorse e know-how, o forse merito della crisi dell’export dei rifiuti verso l’Asia, dell’emergenza plastica, della rinnovata emergenza climatica, con un presidente che ha annunciato di voler uscire a tutti i costi dall’Accordo di Parigi. Sicuramente chi ancora non ha compreso il potenziale della rivoluzione circolare made in Usa è proprio la Casa Bianca. Perché l’amministrazione Trump, perseguendo la sua filosofia nazionalista e protezionista, dovrebbe seriamente considerare un accordo con i democratici per un Circular Economy Act? La guerra commerciale in corso con il resto del mondo mostra la forte dipendenza statunitense dall’economia lineare, dove una fetta importante delle materie prime (per esempio le terre rare) è estratta e trasformata in prodotto molto spesso all’estero e infine spedita, consumata e tumulata negli Usa (circa il 65% dei rifiuti municipali finisce in discarica), creando il deficit commerciale che Trump tanto disprezza. Un’economia circolare americana aumenterebbe la resilienza, la sicurezza commerciale, rendendo alcuni settori maggiormente indipendenti dalla supply chain globale.

Allo stesso tempo per i candidati presidenziali democratici un Circular Economy Act, un disegno legge di amplio respiro tutto da disegnare, sarebbe una soluzione ambientalista, in linea con il Green New Deal di Aoc (Alexandria Ocasio-Cortez, ndr), ottima per diminuire l’impronta ambientale americana, rilanciare la ricerca e affrontare la questione climatica, aggirando gli ostacoli repubblicani. E magari sensibilizzare il pubblico a consumare di meno e pensare al fine vita dell’immensità dei prodotti che ogni giorno vengono buttati, dal food-waste alle plastiche monouso.

Quali sarebbero gli effetti a lungo termine? Innanzitutto si verificherebbe una riduzione delle emissioni legate all’estrazione, produzione e uso di prodotti e servizi, aggirando i veti dei climanegazionisti che invece potrebbero apprezzare la maggiore indipendenza economica americana dalla Cina e la fine della dipendenza dalle esportazioni di materiali da riciclare verso l’estero. Un’economia circolare, applicata in maniera estesa a livello federale avrebbe il ruolo non solo di allineare la produzione industriale Usa a quella europea (con cui si potrebbero realizzare programmi di ricerca congiunti e riallacciare tanti rapporti diplomatici interrotti), ma darebbe anche un’importante accelerata alla ricerca di soluzioni circolari. Una soluzione win-win e decisamente bipartisan. Chi regala a Donald Trump questo numero di Materia Rinnovabile?

Sunrise, www.sunrisemovement.org