Ottimizzare l’uso delle risorse, recuperandole, valorizzandole, riutilizzandole e riciclandole. È questa, da 50 anni giusti, la missione di Tomra, colosso norvegese dell’economia circolare con sedi e uffici in tutto il mondo, dall’Europa alle Americhe, dal Medio Oriente all’Asia, dall’Africa all’Australia.
Se il core business della multinazionale è stato all’inizio quello della raccolta del packaging usato, attraverso le tante soluzioni di reverse vending machine progettate e installate in oltre 60 mercati internazionali, negli ultimi vent’anni Tomra ha diversificato la sua attività in vari rami, tra cui quello del riciclo. In particolare della plastica, che insieme al clima si può considerare la più grande sfida ambientale degli ultimi decenni.
Una sfida che la società norvegese affronta a suon di innovazione e ponendosi ambiziosi obiettivi. Materia Rinnovabile ne ha parlato con il giovane manager globale del segmento plastica di Tomra Recycling, Alberto Piovesan, incontrato a Milano in occasione di GreenPlast 2022.
Lei è il responsabile globale del segmento plastica di Tomra. Una bella responsabilità…
Sì, “bella” nel vero senso della parola! È una sfida stimolante e importantissima. Sono arrivato in Tomra tre anni fa con l’obiettivo di incrementare il focus sulla plastica, in particolare la selezione dei flake in base alla tipologia di polimero e al colore. Tomra è sempre stata forte in particolare nel segmento della pre-selezione, oltre che nel settore del reverse vending, che è dall’inizio il suo core business. La raccolta dei materiali e la loro selezione per il riciclo sono dunque i due rami principali di Tomra che, collaborando, ci consentono di avere un impatto reale.
Per inquadrare la questione plastica, la prima cosa sono i dati. Quanta plastica oggi viene effettivamente riciclata, in Europa e globalmente?
Dare dei numeri precisi è difficile. La percentuale che viene più spesso citata a livello mondiale si attesta attorno al 9% di plastica raccolta per il riciclo, ma la situazione è in costante evoluzione e va anche tenuto conto della disomogeneità dei sistemi di misurazione tra i vari Paesi. E comunque il punto è che, qualsiasi sia la quantità misurata, non è abbastanza e si deve fare di più e meglio.
Dai dati che noi di Tomra abbiamo a disposizione, sappiamo che l’86% della plastica non viene raccolta per il riciclo. Il 32% non va nemmeno in discarica, ma finisce dispersa nell’ambiente: una percentuale enorme e drammatica. Il 14% è avviata a inceneritore o termovalorizzatore, mentre il 40% finisce in discarica.
Circa il 14% viene invece raccolto e riciclato, ma solo il 2% entra in un sistema di close-loop, cioè di economia circolare perfetta. Tutto il resto è down-grading: si trasforma ad esempio una bottiglia in qualcos’altro, impedendo la realizzazione del ciclo chiuso nella filiera.
Tomra vorrebbe trasformare quel 14% in un 40% di imballaggi post-consumo raccolti, e il 2% in un 30% di plastica riciclata a ciclo chiuso. È questo l’obiettivo che ci siamo dati per il 2030. È ambizioso, ma la tecnologia l’abbiamo, la voglia di fare non manca e anche il senso di responsabilità. Se tutto ci aiuta, dovremmo arrivarci.
Tomra ha spesso dichiarato di promuovere sistemi olistici per le risorse e la gestione dei rifiuti. Cosa si intende?
Una volta che il prodotto è stato utilizzato e dismesso, bisogna poi raccoglierlo, selezionarlo e riciclarlo. Ci sono tre metodi di raccolta che compongono un sistema olistico di gestione delle risorse (Holistic Resource System - HRS) e aiutano a massimizzarne il recupero. I Deposit Return Systems (DRS) hanno dimostrato di ottenere tassi di raccolta e riciclaggio eccezionalmente elevati per i contenitori per bevande e questo è fondamentale per il riciclo bottle-to-bottle. C’è poi la raccolta differenziata di vetro, carta, rifiuti elettronici, tessili e organici che riduce la contaminazione dei flussi di materiale per rendere più efficace il riciclaggio, mentre gli imballaggi in plastica non devono essere necessariamente raccolti separatamente perché possono essere recuperati da un flusso di rifiuti misti.
Grazie alla selezione da rifiuti misti, il terzo pilastro dell'HRS, è possibile recuperare più plastica dai rifiuti solidi domestici e urbani e riciclarla in materia prima seconda di alta qualità.
Implementare questo approccio in paesi in cui non esistono infrastrutture di gestione dei rifiuti o con sistemi poco efficienti, consente di ridurre l'impronta di CO2, di recuperare più materiale per il riciclo e quindi di rispettare i target dell'UE. In complesso, l'introduzione di questo approccio permetterebbe di risparmiare 2,76 miliardi di tonnellate di CO2 all'anno entro il 2030.
Proprio sui rifiuti misti si concentrava la ricerca resa nota qualche mese fa da Tomra e condotta in un impianto sperimentale in Norvegia. Dai dati emergeva che la selezione della plastica da mixed waste può dare risultati migliori della raccolta differenziata. Potrebbe essere la base per rivoluzionare i nostri sistemi di raccolta?
Con quell’impianto siamo arrivati a un tasso di recupero dell’83% partendo dal 28% della situazione iniziale.
Chiaramente ci sono paesi che hanno già un ottimo sistema di raccolta differenziata e funzionano bene in questo modo. Ma con la nostra tecnologia e il business case in Norvegia con Ivar IKS, dimostriamo che è possibile recuperare i materiali riciclabili dai rifiuti misti raggiungendo tassi di recupero più elevati. Insomma, non ci sono scuse per non recuperare e riciclare i materiali.
Quali sono, oggi e nel prossimo futuro, le principali sfide nel campo del riciclo della plastica?
Il riciclo della plastica è oggi l’anello chiave che permette di entrare davvero nell’economia circolare.
Ma i materiali vergini sono attualmente ancora più economici della plastica riciclata, una tendenza che non fornisce sufficienti incentivi finanziari. Quindi, se non si arriva ad ottenere un materiale riciclato di alta qualità che sia concorrenziale con la materia prima vergine, non si innescheranno mai delle economie di scala.
Ci sono inoltre delle leggi che richiedono al materiale determinate caratteristiche. Ad esempio, per il PET delle bottiglie va eliminato il pvc, perché questo può poi generare del benzene e dei componenti tossici nel momento in cui lo si riscalda in fase di estrusione. Se il pvc non viene eliminato, la plastica riciclata non può venire utilizzata per produrre nuove bottiglie.
Essere in grado di purificare il flake al punto tale da renderlo adatto all’estrusione (durante la quale avviene poi una ulteriore purificazione) è dunque fondamentale.
Oggi il procedimento comincia inoltre ad estendersi oltre al PET: si cominciano a trattare le poliolefine, il pvc e vari polimeri tecnici che non hanno a che fare con il food, ma sono importanti per altri settori, ad esempio quello degli apparecchi elettrici ed elettronici, che richiedono materia prima di altissima qualità. Un domani, che secondo me è molto vicino, arriveremo ad offrire materia prima seconda anche per questi settori, a patto che, appunto, la plastica riciclata venga purificata ad alti livelli prima dell’estrusione. Una nobilitazione del materiale riciclato che le tecnologie di Tomra di sicuro possono aiutare a raggiungere.
Quali sono gli altri punti “caldi” da tenere d’occhio nei prossimi anni?
È un momento frizzante per il mercato dei materiali, per vari motivi. L’aumento dei costi dell’energia – dovuto anche alla crisi internazionale - sta spingendo la domanda in direzioni alternative. Le direttive europee sull’economia circolare, d’altra parte, avevano già dato il via al moto propulsivo nel settore del riciclo, spingendo tutti gli attori dell’industria a impegnarsi nel riciclare di più e meglio. Inoltre c’è una maggiore consapevolezza dei consumatori che spinge il marketing a includere credenziali green nei loro prodotti.
Tutto questo si traduce in un aumento della domanda di materiale riciclato e quindi in una maggiore concorrenza per assicurarsi i feedstock necessari alla produzione. Questo porta a dover ampliare la scelta: se prima si accettava materiale solo con un certo tasso di purezza, adesso si comincia ad attingere anche da fonti, per così dire, meno pulite.
La sfida principale in questo momento è quindi un aumento delle contaminazioni in input. La difficoltà perciò sta nel raggiungere livelli di purezza sempre più elevati, come richiesto dal mercato, ma con un materiale più “sporco”. È una bella sfida tecnologica, che come Tomra affrontiamo sia dal lato pre-sorting che dal lato flake-sorting, con le nostre tecnologie sempre in evoluzione. Arriveranno novità sia nell’innovazione tecnologica che di processo che permetteranno di ricavare sempre più qualità da un input sempre meno puro.
Altra sfida è aumentare la portata: più domanda c’è di materiale riciclato, maggiore deve essere la capacità di ogni linea di recycling.
Insomma, alta purezza, maggiori portate, ma con materiali in ingresso peggiori: è la tempesta perfetta. Per affrontarla, la cosa migliore da fare è investire in innovazione. In Tomra non abbiamo certo la sfera di cristallo, ma abbiamo 50 anni di esperienza e un vastissimo ventaglio di tecnologie che ci permettono di capire in anticipo quali saranno le tendenze e le richieste del mercato. Nei prossimi anni e mesi lanceremo diverse novità nel campo dell’innovazione tecnologica, di processo e anche per quanto riguarda le applicazioni, per rispondere sempre meglio alle diverse richieste che ci arrivano.
Abbiamo una visione e una missione: ogni macchina che riusciamo a installare è un piccolo passo verso un sistema di riciclo più efficiente.
Immagine: Shutterstock